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I cattolici americani al bivio, fra tradizione e futuro

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La presenza in forze dei cattolici nel panorama religioso americano risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando gli Stati Uniti cessarono di essere una nazione uniformemente protestante a causa dell’immigrazione da Irlanda, Germania e, più avanti, Italia e altri paesi europei. Un’immigrazione che si innestò allora in un contesto già caratterizzato da profondi cambiamenti socio-economici (culminati nella guerra civile); e che, anche per questo, generò una forte reazione xenofoba, con la nascita di un movimento nativista anti-cattolico denominato know-nothing. Tale pregiudizio contro i cattolici, considerati culturalmente riprovevoli e fedeli più al Papa di Roma che allo stato, perdurò per oltre un secolo, tanto da costringere John F. Kennedy, nel 1960, al famoso discorso sulla separazione tra fede e politica.

Allo stesso modo di altre minoranze dal difficile inserimento, come quella afroamericana e più tardi i latinos, i cattolici hanno a lungo votato in maggioranza per il Partito Democratico (a fronte di un Partito Repubblicano che tradizionalmente raccoglieva i voti dell’establishment protestante), con la creazione nelle metropoli della costa orientale di un’alleanza triangolare tra partito, sindacati e parrocchie cattoliche per sopravvissuta per oltre un secolo. Una situazione favorita dal funzionamento del sistema politico americano, in cui l’elettorato è spesso organizzato e strutturato più per gruppi (sociali, etnici, religiosi, professionali) che per orientamenti ideali. I Democratici giunsero così a candidare alla presidenza un esponente cattolico, Al Smith, già nel 1928 – cioè  oltre tre decenni prima di Kennedy.

La fedeltà dei cattolici per il Partito Democratico rimase solida fino alla seconda guerra mondiale (negli anni Trenta e Quaranta, Roosevelt ottenne ancora i tre quarti dei loro consensi, e Truman il 65%). Nel dopoguerra – salvo eccezioni come quella di Kennedy – essa tuttavia è calata progressivamente, con una ripartizione dei voti tra i due partiti che si avvicina sempre più a quella dell’elettorato in generale. I cattolici (cresciuti in numero fino a rappresentare ¼ dei votanti) sono diventati così un gruppo up for grabs, in bilico tra i due partiti. Repubblicani come Dwight Eisenhower, Richard Nixon e Ronald Reagan hanno mostrato il potenziale del GOP rispetto a questo gruppo di elettori: molti dei cosiddetti Reagan Democrats, ad esempio, erano di matrice cattolica.

La tesi più accreditata spiega questo spostamento con il cambiamento di status sociale di molti cattolici, che nel corso del Novecento sono entrati a far parte della classe media, assumendo una visione del mondo non molto diversa da quella dei protestanti (non a caso, la percentuale di cattolici che si autodefinivano “conservatori” è cresciuta dal 36 al 51% tra gli anni Settanta e gli anni Novanta). A riorientarsi verso i Repubblicani sono stati soprattutto i cattolici bianchi, mentre le minoranze etniche (in particolare i latinoamericani) rimangono tuttora più fedeli ai Democratici.

Questo spostamento dei cattolici verso una filosofia più conservatrice, in particolare sulle social issues, contrasta con le tendenze liberal che i Democratici hanno sviluppato nel corso del Novecento, e trova sempre più consonanza nelle piattaforme repubblicane influenzate della destra cristiana. Allo stesso tempo, gli elettori religiosi non si mobilitano più esclusivamente per gruppi, ma piuttosto sulla base di questioni specifiche (come l’aborto e i diritti dei gay) su cui si ritrovano persone e movimenti di diverse confessioni. I cattolici, così come la maggior parte dei credenti in generale, sono sempre più attratti dai Repubblicani, mentre i Democratici si connotano in modo crescente in senso laico.

Per i cattolici (e per altre fedi un tempo guardate con diffidenza, come quella dei Mormoni), questo significa la fine del pregiudizio da parte protestante: il che si riflette anche nelle gerarchie del Partito Repubblicano, in cui riescono a raggiungere posizioni di vertice anche con l’appoggio degli evangelici. Con l’esito paradossale che Rick Santorum e Newt Gingrich, i due principali rappresentanti dell’ala conservatrice della destra cristiana nelle primarie repubblicane del 2012, sono entrambi cattolici.

Oggi, la forte presenza cattolica in entrambi i grandi partiti è ben rappresentata dai candidati vicepresidenti, Biden e Ryan, che incarnano due anime molto diverse del cattolicesimo americano: l’ala conservatrice alleata della destra cristiana protestante, e quella progressista. Militanze che riflettono due diversi orientamenti della Chiesa americana: una che privilegia le questioni morali e sessuali, e che si riconosce nei vertici conservatori della Chiesa stessa (in particolare l’arcivescovo Timothy Dolan, presidente della conferenza episcopale USA); l’altra secondo la quale essere cristiani significa soprattutto lottare contro la povertà e per i diritti civili, e che si esprime in una parte del clero e dell’associazionismo laico di base, di orientamento più liberal. Due visioni del mondo scarsamente compatibili, che creano forti tensioni tra i fedeli americani, non solo in ambito strettamente politico.

Se, come pare possibile, i cattolici saranno uno degli aghi della bilancia tra i candidati presidenti, l’esito del confronto dipenderà da come i due partiti sapranno rapportarsi a questi elettori e da quanto i candidati sapranno essere convincenti nell’inquadrare i loro programmi anche in termini cristiani: vincerà il cattolicesimo come impegno etico-morale proposto dai Repubblicani, oppure il cattolicesimo come impegno sociale e civile proposto dai Democratici?