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Gli equilibri interni tedeschi nella fase finale della legislatura

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La prossima sentenza della Corte costituzionale può condizionare in maniera determinante il futuro di breve e medio periodo della politica tedesca. I giudici di Karlsruhe potrebbero infatti decretare che il Fiscal Compact e l’ESM (il Meccanismo europeo di stabilità – vale a dire il “fondo salva-stati” permanente) sono incompatibili con il diritto costituzionale vigente. In questo caso, ai partiti della Bundesrepublik spetterebbe il compito di trovare una maggioranza di due terzi in entrambe le Camere per introdurre le necessarie modifiche al Grundgesetz, la Costituzione della Repubblica federale.

E potrebbe addirittura darsi che la Corte ordini o raccomandi anche lo svolgimento di un referendum confermativo successivo alle modifiche stesse: un’eventualità che sempre più dirigenti politici sembrano ritenere plausibile, quando non desiderabile. Voci autorevoli in favore di un appello al popolo, ascoltate nelle ultime settimane, sono quelle del ministro delle finanze (il democristiano Wolfgang Schäuble), del presidente della Baviera (il cristiano-sociale Horst Seehofer), e di esponenti socialdemocratici di primissimo piano (quali il leader del partito Sigmar Gabriel e l’ex ministro delle finanze Peer Steinbrück).

L’anno pre-elettorale potrebbe dunque aprirsi all’insegna di un grande confronto nazionale sul futuro dell’Europa, che tocchi temi non più solo economici, ma politico-costituzionali. La discussione può dirsi di fatto già cominciata: un articolo firmato dai filosofi Jürgen Habermas e Julian Nida-Rümelin e dall’economista Peter Bofinger (uscito a inizio agosto sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung e diffuso anche dalla stampa internazionale) ha aperto un ampio dibattito. Nato come contributo alla piattaforma programmatica della SPD, vi si trova un accorato appello in favore di un’assemblea costituente (Verfassungskonvent) europea, che toccherebbe alla Germania richiedere di fronte ai partner comunitari. Un passaggio necessario, secondo gli autori, a far compiere all’UE l’ineludibile trasformazione in un’entità più integrata dell’attuale, e democraticamente più legittima. Una strada contro la strategia dei continui rattoppi – trattato dopo trattato – che non riescono a frenare né la crisi dei debiti né il diffondersi dell’euroscetticismo e dei rigurgiti nazionalisti.

Secondo Bernd Ulrich, il vicedirettore del prestigioso settimanale Die Zeit, quella difesa dai tre intellettuali di area socialdemocratica è un’ipotesi rischiosa: meglio a suo parere un percorso “per prove ed errori”. Senza fughe in avanti, quindi, poiché un’assemblea costituente avrebbe il solo effetto di drammatizzare ulteriormente un quadro politico continentale già piuttosto complicato, e troppo confusamente in movimento per riuscire a reggere un dibattito sul “fine ultimo” dell’unità europea.

Il campo del dibattito in corso in Germania è dunque determinato dai vincoli del Grundgesetz tedesco esistente, da una parte, e dagli slanci verso una Verfassung europea tutta da immaginare, dall’altra.

Il partito di Angela Merkel si presenta all’appuntamento – gli ultimi mesi di una legislatura turbolenta come poche altre nel recente passato – confortato da sondaggi che evidenziano il consenso di cui la Cancelliera gode; sia in virtù della sua Europapolitik, apprezzata dalla maggioranza dell’opinione pubblica, sia grazie ad indici macroeconomici confortevoli (PIL in crescita, disoccupazione al 6,8%). La CDU punterà proprio sulla bontà di questa linea di europeismo prudente e severo – lontano dai toni populistici cari al quotidiano Bild, di alcuni settori del suo stesso partito, della bavarese CSU, e della liberale FDP. Il partito della Cancelliera voler sgomberare il terreno da ogni possibile tema socialmente delicato, sul quale i democristiani intravedano il rischio di essere identificati come insensibili o arretrati. Discorso che vale, ad esempio, per l’energia nucleare o per i diritti degli omosessuali, sui quali le posizioni della CDU tendono ormai a rendersi indistinguibili da quelle tradizionalmente tenute dalle sinistre.

Intanto, SPD e Grünen, che non mancano mai di ribadire la loro intenzione di governare insieme dal settembre del 2013, stanno tentando una sorta di mossa del cavallo nel delicato scacchiere della questione europea: vogliono dimostrare come la politica della Cancelliera conduca, in realtà, proprio alle conseguenze che Merkel dice di voler evitare. La temuta Vergemeinschaftung der Schulden, quella “messa in comune dei debiti” che spaventa l’elettorato tedesco, esiste già, secondo la sinistra rosso-verde. Ed è della peggior specie, argomenta l’opposizione, perché si trova nelle mani della Banca Centrale Europea (direttamente o attraverso i “fondi salva-stati”) e quindi sottratta al controllo democratico dei parlamenti nazionali ed europeo. Meglio regole precise per una vera condivisione e una garanzia comune dei debiti – questa la tesi – piuttosto che lasciar fare la BCE con gli acquisti sul mercato primario o secondario dei titoli dei paesi in difficoltà come Spagna e Italia.

La sfida alla Merkel sul suo terreno – la difesa degli interessi dei contribuenti tedeschi nella gestione della crisi europea – sembra dunque la strada scelta dalle opposizioni di sinistra. Per questa ragione è probabile che per la SPD la cosiddetta K-Frage, la questione cioè del candidato alla Cancelleria, si giochi nella scelta fra solo due dei tre potenziali aspiranti: Frank-Walter Steinmeier e Peer Steinbrück – escludendo il Segretario del partito, Sigmar Gabriel. Entrambi situati su posizioni moderate nel partito, hanno anche un profilo più “tecnico” rispetto all’altro componente del terzetto (il più estroso segretario del partito Gabriel): Steinmeier e Steinbrück risultano, anche secondo i sondaggi, più credibili all’ora di immaginarli nei vertici di Bruxelles a cercare di trovare il bandolo della matassa delle complicate questioni comunitarie. Essendo entrambi situati su posizioni moderate nel partito, è lecito ipotizzare che al segretario Gabriel toccherà, in una razionale divisione dei ruoli, il compito di “coprire a sinistra” insieme alla numero due Andrea Nahles. E segnali in tal senso si possono già cogliere dal tono di alcune recenti uscite pubbliche dello stesso Gabriel, come quella nella quale non ha avuto problemi nell’accostare alla “criminalità organizzata” le banche svizzere.

La decisione sarà presa molto probabilmente soltanto a gennaio, dopo le elezioni in Bassa Sassonia, quarto Länder del paese per popolazione con otto milioni di abitanti. Sarà una prova generale del successivo voto federale, anche in considerazione del fatto che la regione di Hannover non possiede un’identità politica marcata, avendo conosciuto l’alternarsi di governi a guida CDU o SPD.

Dalle urne di gennaio dipenderà probabilmente anche la sorte del leader della FDP, l’attuale Vicecancelliere Philipp Rösler, considerato dai più incapace di condurre i liberali ad oltrepassare la soglia del 5% necessaria ad entrare nel Bundestag. Compito che invece potrebbe essere brillantemente assolto dal leader del partito in Nordreno-Westfalia, Christian Lindner.

Nel voto di gennaio, infine, verrà testata ancora una volta la tenuta del Partito dei Pirati, al quale i sondaggi attribuiscono attualmente un più che soddisfacente 8%. In un anno, peraltro, tutto è possibile: che il fenomeno Piratenpartei si sgonfi o che si consolidi definitivamente. Molto difficile, invece, l’eventualità che i pirati possano o vogliano essere tenuti in considerazione per qualunque ipotesi di coalizione di governo: la distanza tra l’utopia della “democrazia liquida” che sostengono nei loro documenti e certe michelsiane “leggi ferree” della politica istituzionale è ancora troppo grande.