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Gheddafi perderà, intervista al generale Fabio Mini

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Fabio Mini, che ha comandato la Forza internazionale a guida NATO in Kosovo, analizza gli esiti dell’intervento in Libia. La sua convinzione è che Gheddafi sarà sconfitto abbastanza rapidamente.

Generale Mini, in giro c’è grande pessimismo sugli esiti dell’intervento militare in Libia. Lei cosa prevede? A noi sembra abbastanza scontato che Gheddafi dovrà cedere; non ci pare imbattibile.

Gli esiti degli scontri militari dipendono dai rapporti di forza, prima di tutto. E in questo caso l’asimmetria è totale, naturalmente a favore di chi sta attaccando. Sul piano militare l’esito è scontato: Gheddafi è già sconfitto. La no-fly zone priva il colonnello del controllo dello spazio aereo. Fra breve, come risultato dell’embargo, non avrà armi sufficienti. Se la coalizione riuscirà a coordinarsi in modo più efficiente, ci vorranno un paio di settimane. Altrimenti qualche mese.

Il nodo del coordinamento è effettivamente molto delicato. È escluso che possa passare alla NATO, come chiede l’Italia? 

L’operazione in atto non è una vera operazione congiunta. C’è una sommatoria di operazioni nazionali. La cosa non incide più di tanto sulla costruzione della no-fly zone perché esistono procedure automatiche NATO, a cui i singoli paesi si adeguano, sul controllo dello spazio aereo. In altri termini: la “pulizia” dello spazio aereo è semplice, inclusa la eliminazione delle difese aree integrate. Sarà molto più difficile passare alla soppressione delle forze di Gheddafi sul terreno. Perché in questo caso non esistono procedure automatiche a cui attenersi. E potranno nascere frizioni fra i paesi che partecipano all’operazione.

Anche questo problema, tuttavia, non va drammatizzato. Operazioni con “lead nations” ci sono già state, per esempio in Albania e in Iraq.

Qual è l’obiettivo vero dell’intervento in Libia? Nella Risoluzione 1973, l’obiettivo è la protezione dei civili: si tratterebbe, insomma, di usare la forza per obiettivi umanitari. Ma accanto a questo c’è chiaramente la volontà di liberarsi di Gheddafi, con un “regime change” forzato dall’esterno.

Aggiungerei un terzo obiettivo, che mi sembra ancora più decisivo: rendere omogeneo il Mediterraneo per le forniture energetiche. Non possiamo dipendere dall’Algeria e lasciare che Gheddafi minacci l’interruzione delle forniture. La vera posta in gioco è la sicurezza energetica. Tanto è vero che la Germania, che non dipende dalla Libia ma dalla Russia, ha preferito tenersi in disparte. È un bene, secondo me, che il sistema Gheddafi crolli: il colonnello faceva in teoria da garante ma dava soldi ai capi locali. Il problema è che non ci siamo creati un interlocutore al posto di Gheddafi, cosa che abbiamo invece fatto altrove.

Ma la Risoluzione dell’ONU è una base legale sufficiente per il tipo di operazioni che si stanno compiendo? La Lega araba comincia ad avanzare delle riserve.

La Risoluzione prevede l’utilizzo di “tutte le misure necessarie” per la protezione dei civili. È una base sufficiente, perché attiva il Capitolo VII della Carta dell’ONU. La Risoluzione esclude in modo esplicito, peraltro, un’occupazione del paese con truppe di terra. Per il resto, la coalizione sta compiendo le azioni che ci si aspettavano. È Gheddafi a non avere accettato né questa Risoluzione né la Risoluzione precedente. E sono le sue minacce a destabilizzare la sicurezza internazionale.

Semmai, la Risoluzione è generica su chi debba attuare l’enforcement. Non ha dato mandato a un gruppo di paesi o ad organismi regionali. Piuttosto, ha invitato gli Stati membri ad assumersi le proprie responsabilità. Di qui una “coalition of the willing”, con i suoi limiti.

Attivare la NATO sarebbe stato impossibile, d’altra parte, viste le resistenze arabe.

Non solo arabe. Anche della Francia, che rivendica il proprio ruolo nazionale. E, per motivi diversi, della Turchia e della Germania, che si è astenuta in Consiglio di sicurezza.

Il caso della Germania è molto interessante. Sta esercitando la sua potenza ritrovata in modo “ostruttivo”: fate pure, ma non con me. La Germania dovrebbe tenere la stessa posizione nel Consiglio atlantico, dopo averla assunta nel Consiglio di sicurezza. L’asse con la Francia non tiene proprio, in politica estera. Perché gli interessi di Berlino sono ad Est e sono globali. Il Mediterraneo non è una priorità.

Ma è una nostra priorità obbligata. Anche se non lo volessimo, nel Mediterraneo ci siamo.

Sì, certo. Il nostro problema non è di rivendicare ruoli nazionali che comunque faremmo fatica ad assolvere. È di pensare essenzialmente al dopo-Gheddafi. Dobbiamo attivarci su questo, con un’azione di diplomazia parallela. Nel dopo-Gheddafi siamo già.