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Germania: ipotesi di nazionalizzazione e clima politico

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Il benessere ha bisogno di crescita e la crescita di libertà. Se necessario anche quella di fallire”, aveva dichiarato la Cancelliera l’11 gennaio scorso al Die Welt am Sonntag commentando la situazione critica di Commerzbank. In breve tempo, la Merkel ha dovuto rivedere le sue posizioni più liberali e allinearsi invece con chi giudica necessario, almeno in tempi eccezionali, un intervento statale. Nessuno, però, si aspettava che la virata sarebbe stata tanto drastica da ipotizzare persino la possibilità dell’esproprio.

L’economia tedesca è oramai da tempo in recessione. Gli indicatori più significativi non mostrano spiragli di miglioramento. Nazionalizzare istituti bancari in difficoltà può, quindi, diventare uno strumento a cui ricorrere, per tamponare e arginare gli effetti della crisi. Ma, qual è il prezzo politico da pagare per il Governo, e soprattutto per la Cancelliera, a pochi mesi dalle elezioni?

Tutti gli indicatori economici sono negativi. A cominciare dall’indice Ifo, dal nome dell’istituto di ricerca che rileva la fiducia delle imprese tedesche. A febbraio, l’indice si è attestato al 82,6 per cento, valore minimo degli ultimi decenni (a gennaio era 83). Il presidente dell’Istituto, Hans-Werner Sinn, ha commentato il dato aggiungendo che le imprese restano scettiche circa la possibilità di un miglioramento congiunturale a medio termine. Questo pessimismo è condiviso da Norbert Walter, capo economista della Deutsche Bank, il più grande istituto bancario del paese. Walter prevede che l’economia tedesca subirà una contrazione di ben 5 punti percentuali del Pil nell’anno in corso. Le previsioni del Governo si limitano ad una contrazione dell’ordine del 2 o 2,5 per cento. Certo è, che con un calo del 2,1 per cento del Pil registrato nel quarto trimestre del 2008, lo spazio per l’ottimismo è ridotto. Sul fronte occupazionale, le notizie non sono migliori. Si prevede, per l’anno in corso, che il numero di disoccupati crescerà di oltre 800.000 unità. Volkswagen è stata solo l’ultima delle case automobilistiche ad annunciare il ricorso dell’istituto della Kurzarbeit (la settimana corta) per circa due terzi dei suoi 92.000 lavoratori.

Dopo vari tentennamenti, il governo ha deciso di agire in maniera aggressiva. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un progetto di legge che permette al Governo federale di nazionalizzare, anche ricorrendo all’esproprio, i gruppi bancari in difficoltà. In questa ipotesi estrema, possibile solo entro fine giugno 2009, verrà utilizzato il fondo di 500 miliardi creato alla fine del 2008. Il provvedimento, che è appunto di natura temporanea, ha in realtà un obiettivo specifico: la Hypo Real Estate (HRE), istituto specializzato in mutui immobiliari con sede a Monaco. La HRE è oramai sull’orlo del fallimento, nonostante i sussidi (un mix di linee di credito e garanzie pari a 102 miliardi di euro) messi a disposizione a fine anno. Nell’ultimo trimestre del 2008, la perdita ammontava a quasi 3,1 miliardi di euro. Dopo il passaggio al Bundestag, il disegno di legge verrà discusso al Bundesrat all’inizio di aprile.

Il governo ha assicurato che, prima di ricorrere all’esproprio delle azioni, lo Stato tenterà di nazionalizzare la banca con un incremento del capitale dell’istituto. L’esproprio sarebbe quindi una soluzione d’ultima istanza, che il  governo vorrebbe evitare anche per non entrare in conflitto con gli azionisti. In particolare, il gruppo d’investitori americano JC Flowers che detiene il 24 per cento.

 In questa difficile situazione, ha dichiarato la Merkel, l’esproprio può essere  “l’unica misura che abbiamo a disposizione”. Una misura volta ad evitare che un eventuale fallimento della banca possa avere un effetto domino su tutto il sistema creditizio tedesco, con effetti disastrosi per la fiducia sui mercati finanziari. La parola Enteignung (esproprio) è stata fino ad ora un termine tabù, che riporta alla memoria gli espropri nazisti a danno degli ebrei. Le reazioni dell’ala più liberale dei Cristiano Democratici non si sono fatte attendere. “Ogni forma d’esproprio distrugge i fondamenti della nostra economia basata sul libero mercato” si è affrettato a dichiarare Karl Lauk, presidente del consiglio dell’economia della Cdu/Csu. Fermo dissenso anche dal mondo dell’industria: “non possiamo assolutamente accettare un esproprio delle banche” ha affermato il presidente dell’associazione degli industriali Hens-Peter Kertel, preoccupato per il  rischio di fuga dei capitali stranieri.

La Merkel si è difesa, cercando di dimostrare la coerenza del provvedimento con la linea adottata fino ad ora dal Governo. Infatti, già nel pacchetto anticrisi varato in ottobre, si parlava della possibilità di un intervento del Ministero delle Finanze nel capitale delle banche in difficoltà. La spiegazione della Cancelliera questa volta non ha convinto. Sia all’esterno che all’interno del partito, la proposta di legge è stata interpretata come un’altra delle iniziative di “stampo socialista”, intraprese dal suo governo, dopo gli aumenti dei sussidio per la disoccupazione e l’estensione del salario minimo ad altri settori oltre a quello postale.

In questa fase di grandi incertezze, la Merkel sembra mancare di una chiara linea d’azione in campo economico. Il passaggio dall’immobilismo iniziale dello scorso ottobre alla possibilità dell’esproprio ha disorientato molto elettori. E ha creato una tale irritazione all’interno della Cdu da indurre Werner Munch, ex-Governatore della Sassonia, a lasciare il partito dopo quaranta anni di militanza. Munch non si sente più rappresentato dalla Cancelliera, non convivendone la linea politica ed economica. Il disagio è tale che qualcuno tra i Cristiano Democratici più radicali già pensa al successore della Merkel alla presidenza del partito. Un possibile candidato potrebbe essere il Governatore della Bassa Sassonia e Vice Presidente della Cdu, Christian Wulff: giovane e dinamico, avrebbe l’appoggio della parte più conservatrice del partito, oggi in dissenso con la Cancelliera. 

Cambiare il candidato prima delle elezioni è comunque un’ipotesi  poco probabile. La Merkel, sebbene pesantemente criticata e indebolita all’interno del suo partito, gode ancora di una grande popolarità. Gli ultimi sondaggi indicano che il 55 per cento degli elettori la vuole alla guida del partito anche dopo le elezioni.

Se la popolarità della Merkel sale, quella della Cdu scende, attentandosi al 33 per cento, al di sotto del pur insoddisfacente 35,2 conquistato nel 2005. Attualmente, i Liberali della Fdp sono l’unico partito in crescita di consensi. Il motivo è semplice: non avendo incarichi di governo, non vengono associati alla crisi. Tuttavia, le ricette liberiste da loro proposte potrebbero spaventare un elettorato già provato dalla grave situazione economica, e risultare al contempo poco credibili. Sarà, infatti, sempre più difficile per la Fdp continuare ad invocare un alleggerimento della pressione fiscale in tempi di esplosione del disavanzo.

Anche i Liberali devono quindi procedere con cautela, prendendo a modello il pragmatismo della Cancelliera. Se vogliono ritornare a governare, devono raggiungere insieme alla Cdu la soglia del 50 per cento. Ad oggi i sondaggi oscillano ancora, se pur leggermente, al di sotto di questa soglia.