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“G+”: perché l’Europa è ancora nel gioco

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Il Presidente dell’Istituto Affari Internazionali risponde a Gregorio Bettiza:
Sono sempre sorpreso quando qualcuno scopre il declino dell’Europa come potenza globale. Ma non lo sapeva già dalla metà del secolo scorso (e magari anche dal 1919)? La cosa sorprendente non è il declino delle potenze europee, su cui sono state già scritte intere biblioteche, ma la lentezza di tale declino e, di converso, l’evidente difficoltà dimostrata da altre potenze a prenderne il posto. Ora si favoleggia della Cina (e un po’ meno del Brasile o dell’India) come ieri si favoleggiava del Giappone o dell’Unione Sovietica (sì, perché c’è stato anche qualcuno che credeva che fosse quello il futuro centro degli equilibri mondiali). Questa lettura della politica internazionale, degna della cronaca di un Gran Premio automobilistico, non mi ha mai appassionato: il problema non è chi arriva primo, ma come riesce ad organizzarsi, se pure ci riesce, per gestire gli equilibri mondiali.

E’ qui, purtroppo, che mancano candidati credibili. Ci sono gli Stati Uniti, certamente. Per un po’ erano stati l’iperpotenza e poi erano diventati la potenza indispensabile. Ora si esita sull’una come sull’altra definizione, ma ci si consola con l’affermare che nessun altro può svolgere il loro ruolo: una sorta di filosofia alla Candide della superpotenza. L’ossessione per il ruolo della leadership risolutrice ci viene oggi presentata in versione Hollywood: arriva l’eroe (Bush, Obama, o magari Al Gore o altri a scelta), forse un po’ malconcio, ma comunque sempre il più forte, che trasporterà il mondo verso nuove sorti e progressive. Questa lettura infantile della storia non ha alcuna base realistica naturalmente, anche se alimenta le affabulazioni giornalistiche. Il mondo, più che di un leader, ha bisogno di politiche più efficaci e di compromessi più avanzati.

Per arrivare a tanto sarà necessario il concorso e l’accordo di molti diversi soggetti. Non mi piace molto il giochino del “G+”, per cui la soluzione verrà solo se si riuscirà ad azzeccare il numero giusto alla G-roulette (ovvero “girouette”?) dal 2 in su. Già, perché il G-1 del precedente inquilino della Casa Bianca sembra ormai un po’ troppo consumato e in bancarotta, o forse potrebbe avere il ruolo dello zero? Suggerisco questa idea gratuitamente ai neo-sistemisti.

Il problema è quello di convincere potenze economiche che non hanno alcuna voglia di sacrificarsi per il bene comune a giocare una partita che non sia a somma zero. Questo l’Europa, sia pure confusamente, sembra averlo intuito, ed è per questo che ha ancora un ruolo (oltre che per il suo pur sempre rispettabile peso specifico). Quando lo comprenderanno a fondo anche altre potenze “emergenti” esse riusciranno a candidarsi per il ruolo di co-leaders. Ma ovviamente il problema maggiore ce l’hanno proprio gli Stati Uniti, perché saranno loro, che sono e si sentono il numero uno, a dover cedere maggiori fette di potere, influenza e libertà d’azione. Se sapranno farlo, il mondo globale americano ritroverà ordine e compattezza, e la leadership di Washington continuerà, sia pure con regole diverse. Se non ci riusciranno, andremo incontro ad un periodo di crescente destabilizzazione in cui perderemo un po’ tutti, ma chi perderà più di tutti saranno proprio gli Stati Uniti.

Si capirà quindi quanto questa mia tesi sia in dissenso con quella di Gregorio Bettiza, per il quale tutto ciò che guadagnerà l’Asia lo perderà l’Europa. Certamente, era grottesco lo spettacolo dell’affollamento di governi e semi-governi europei di ogni grandezza e natura, al G-20 (+qualcosa) di Londra: ma nessuno può seriamente pensare che simili riunioni, di brevissima durata, siano qualche cosa di più di photo opportunities, buone per fare immagine. In questo Obama, che sembra uno dei pochissimi ad avere ancora una forte popolarità tra il suo elettorato, è stato gentile e generoso, regalando indulgenze  ai suoi molti corteggiatori. Questi Vertici nascondono in realtà un processo negoziale continuo, e servono soprattutto a fissare lo stato dell’arte ad un determinato momento, oltre che a svolgere l’importantissima funzione sacrale di annuncio della verità e della concordia ritrovate. L’affollamento era quindi parte del gioco.

Più seriamente mi preoccupa il fatto che, sotto la spinta della crisi economica e della confusione internazionale, troppi governi europei pensino di recuperare margini di consenso politico interno affermando la priorità assoluta dei loro cosiddetti “interessi nazionali”. Nessuno stato europeo oggi è in grado di condurre una politica di “sacro egoismo”, senza pagarlo a grandissimo prezzo. Questo lo sanno più o meno tutti, ma è comunque pericoloso che la politica giochi con questo tipo di immagini, creando aspettative che dovranno poi essere crudelmente deluse. Ecco, molti sono convinti che l’Europa che gioca il ruolo di un Brown, di una Merkel o di un Sarkozy, quando sono ispirati (il che non sempre avviene) sia poco più o poco meno di una mosca cocchiera. Io credo invece che l’Europa esista ancora e conti nel mondo proprio perché riesce ancora a produrre idee di governabilità e può persino, a volte, rivelarsi esemplare. Quando ci riesce è, a pieno titolo, un leader, anche se è meno potente oggi di ieri.