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Dopo il voto, una Germania ancora più tedesca

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Quale ruolo ha avuto la politica europea nella campagna elettorale tedesca e quale ruolo assumerà nelle trattative di coalizione che si apriranno tra qualche giorno? Di primo acchito, si potrebbe dire un ruolo marginale. E questo non certo perché le sorti dell’Europa e della moneta unica non interessino ai tedeschi, quanto perché i principali partiti rappresentati al Bundestag, estrema sinistra esclusa, hanno una visione molto simile sulle cause della crisi e sulle ricette da adottare per porvi rimedio.

In particolare, ad uscire rinforzata dalle urne non è tanto l’unione cristianodemocratica e cristianosociale, quanto il modo della signora Merkel di guardare alla realtà del Continente: la crisi in corso è una crisi del debito, in buona parte pubblico; occorre risparmiare per tornare ad essere dinamici e produttivi; solo a condizione che si metta ordine nei conti e si approvino riforme strutturali, è pensabile ottenere l’aiuto finanziario tedesco. Su queste basi si è fondata la politica europea della Cancelliera nella scorsa legislatura. L’opinione pubblica ha mostrato di gradire quest’interpretazione che dipinge la Germania ad un tempo come vittima e come controllore, e ne ha premiato l’attuazione che è stata invece tanto criticata al di là dei confini. Per socialdemocratici e verdi risulterà estremamente difficile poter prescindere da questa visione della realtà, ormai pienamente introiettata dalla vasta maggioranza dell’elettorato. Anzi, se già nella passata legislatura è stato quasi impossibile per SPD e Grüne riuscire a distanziarsene, ciò accadrà a maggior ragione nella legislatura che si sta per aprire.

Nel programma dell’SPD non si trova infatti alcuna menzione degli eurobond o di altre forme di comunione del debito, né è ipotizzabile che queste possano essere usate adesso come ricatto per formare una coalizione di governo; nel programma degli ecologisti si rinviene esclusivamente la proposta di un fondo di riscatto, una sorta di surrogato di eurobond, proposto dal consiglio dei cinque saggi dell’economia, ma rigettato dall’esecutivo per motivi – si dice – strettamente tecnico-giuridici. Di fronte ad un tale consenso tra le forze politiche sulle decisioni da prendere per rimettere in piedi l’unione economica e monetaria, era pressoché impossibile poter litigare in campagna elettorale. Nelle rare occasioni nelle quali socialdemocratici ed ecologisti hanno tentato di attaccare la Cancelliera per la sua gestione lenta ed inefficace dell’eurosalvataggio, sono stati immediatamente tacciati di scarsa credibilità e affidabilità. E a ragione: fin dal 2010, con una piccola parentesi iniziale sul primo pacchetto di aiuto alla Grecia, la socialdemocrazia ha infatti ratificato ogni decisione di politica europea della coalizione cristiano-liberale. Lo stesso hanno fatto i Grüne.

Ecco allora perché, al di là delle sfumature nei toni, per tutta la campagna elettorale l’Europa è rimasta quasi sempre sullo sfondo: il rischio di parlarne troppo diffusamente avrebbe aumentato non soltanto le chances dell’Alternativa per la Germania (AfD) di entrare in Parlamento, ma anche messo in luce le contraddizioni dell’opposizione rosso-verde. Dinanzi ad un esito elettorale traumatico per le sinistre tedesche, sarebbe paradossale se le cose fossero ora destinate a cambiare ed esse sposassero improvvisamente tesi più radicali. La visione (a suo modo) europeista della Cancelliera rimarrà intatta nel tempo, mentre a socialdemocratici e verdi, costretti in una coalizione con i democristiani, toccherà continuare a seguire la signora Merkel sulla sua strada a meno di non voler virare bruscamente a sinistra, imbarcando, magari a metà legislatura, Die Linke, in un governo a tre. Un governo che sarebbe però sbilanciato su posizioni difficilmente compatibili con quelle della maggioranza dell’opinione pubblica e rischierebbe di sfaldarsi.

Qualunque coalizione si formerà nelle prossime settimane, sia che si torni ad una Große Koalition sia che si inauguri una alquanto inedita alleanza nero-verde, il capitolo Europa non sarà senz’altro quello che causerà più grattacapi ai negoziatori di ogni colore nella fase delle trattative. Su unione bancaria, aiuti alla Grecia, OMT, integrazione fiscale e politica, prevarrà la linea prudente della Cancelliera in continuità con quanto deciso nell’ultimo quadriennio. È semmai sul resto, dalle imposte su famiglie e imprese al salario minimo generalizzato fino alla transizione energetica in vista dell’uscita dal nucleare, che ci sarà verosimilmente spazio maggiore per compromessi politici più significativi.