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Dinamismo e libertà individuali: l’evoluzione delle economie occidentali

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Il dibattito sulle difficili circostanze delle economie occidentali dal 2008 e sulle strategie che possano stimolare la ripresa dov’essa ancora latita, e irrobustirla dov’è già arrivata, si è concentrato sulle politiche monetarie e fiscali e sugli aspetti macroeconomici del problema. Quest’ottica di breve periodo perde di vista le cause più profonde del cambiamento economico e sociale in corso anche perché trascura l’importanza dei valori e delle motivazioni individuali nel funzionamento dell’economia e della società. Non sono ancora tanti i casi in cui l’andamento ciclico del capitalismo è letto in termini delle percezioni e dei valori delle persone, oltre che sulla base dei dati macroeconomici che lo caratterizzano. Eppure, l’evidenza empirica suggerisce che le caratteristiche delle istituzioni – incluse quelle deputate a contrastare il ciclo economico – e le chance della ripresa dipendono dalle ricostruzioni intellettuali del sistema economico; e che queste sono iscritte, a torto o ragione, nelle menti degli operatori economici e dai valori diffusi e condivisi nella società. Se tali fattori vengono trascurati, ne risentono l’interpretazione degli avvenimenti e, soprattutto, la qualità delle prescrizioni per favorirli o contrastarli.

Diseguaglianza e valori individuali
Consideriamo un caso utile per questi fini analitici: le istituzioni che contrastano la diseguaglianza. Per esemplificare, prendiamo due società identiche in tutto e, in particolare, per il livello di diseguaglianza nella distribuzione dei redditi. Queste due società si differenziano, però, per le cause o, più esattamente, per la percezione che le persone hanno delle cause della diseguaglianza. Nella prima società l’allocazione delle risorse è, a occhi di mondo, riconducibile allo sforzo personale profuso da ciascuno. Fattori pure importanti nel successo economico quali le rendite di posizione o la ricchezza ereditata sono ritenuti poco influenti. Nella seconda società, invece, l’opinione diffusa è che i soldi li facciano i privilegiati, o perché beneficiari di favori particolari inaccessibili a molti o in virtù di condizioni di partenza più favorevoli. Lo stesso grado di diseguaglianza è percepito quindi in maniera diversa nelle due società. Nella prima, la diseguaglianza non sarà considerata come un oltraggio alla giustizia sociale, ma l’effetto delle scelte individuali e dei diversi talenti. Nella seconda società, la stessa diseguaglianza sarà considerata ingiusta in quanto conseguenza di fattori non correlati alle scelte o ai talenti.

La diversa percezione della diseguaglianza ha conseguenze sulle caratteristiche delle istituzioni. L’evidenza empirica mostra che, dove la diseguaglianza è interpretata come il frutto marcio del privilegio, le istituzioni saranno chiamate più frequentemente a raddrizzare le iniquità determinate dall’allocazione delle risorse, in nome di un senso innato di giustizia procedurale che pretende che le regole della gara siano le stesse per tutti. Lo stesso senso di giustizia non vorrà avvalersi del ruolo redistributivo delle istituzioni dove la diseguaglianza è percepita come giusta in quanto la compensazione delle differenze sarebbe un premio non dovuto allo scarso impegno e alle modeste dotazioni di abilità. Le cause della diseguaglianza quindi contano nella formazione della domanda di protezione sociale e nel disegno delle istituzioni e delle strategie utili a restaurare la crescita.

Consideriamo un altro caso: il ruolo dei valori di autodeterminazione individuale – che possiamo chiamare valori emancipativi. L’espandersi delle libertà politiche nel corso della seconda metà del secolo scorso ha favorito la diffusione di nuove forme di libertà personale volte alla realizzazione dell’individualità di ciascuno. Sono sorte così nuove dimensioni della libertà personale che consentono la realizzazione di prospettive di vita, prima nemmeno immaginabili, e il raggiungimento di più alti gradi di soddisfazione personale.

Allo stesso tempo, l’espansione negli stessi anni delle libertà economiche ha ampliato lo spettro delle possibilità di scelta e favorito la realizzazione delle individualità: ciò è avvenuto sotto forma, questa volta, dell’individuazione di identità personali eterogenee e adattabili a stili di consumo finemente diversificati. Gli esempi sono numerosi: l’arricchimento dell’esperienza televisiva, la scelta di piani assicurativi sanitari personalizzati, i pacchetti di accessori delle automobili, le scarpe da jogging, gli occhiali da sole, persino il consumo di forme artistiche e di prodotti culturali di nicchia. La dimensione attuale del capitalismo ci consegna una realtà tailor made che favorisce l’espressione di identità originali e, in ultima analisi, la realizzazione della visione che ciascuno ha di se stesso.

L’accrescimento delle libertà personali e delle possibilità di scelta ha messo in moto un processo di empowerment individuale in cui i valori emancipativi agiscono come motivazioni che spingono le persone all’azione, al fine di forgiare e manifestare in maniera originale la propria vita. Tutto questo è desiderabile, ma non è neutrale nel disegno delle istituzioni che prevarranno in una società. Il processo di empowerment, infatti, si accompagna all’estensione di nuove forme di diritti positivi. L’evidenza empirica, per quanto ancora limitata, suggerisce che le motivazioni personali e l’insieme dei valori che ciascuno persegue siano un potente motore di richieste di intervento delle istituzioni al fine di cristallizzare le istanze dell’empowerment in beni pubblici, spesso molto locali e indubbiamente costosi. Ne sono esempi gli interventi a favore di gruppi che sollevano istanze particolari — per esempio di natura etnica o culturale — ovvero la relazione tra il livello delle petizioni e delle proteste, da una parte, e l’andamento della spesa pubblica, dall’altra. Ancora una volta, aspetti motivazionali e comportamentali, marginali nell’analisi economica tradizionale, hanno effetti significativi sul disegno delle istituzioni e sulla bolletta fiscale dei contribuenti.

Così come contribuiscono al disegno delle istituzioni, le motivazioni, le percezioni e i valori delle persone hanno rilevanza anche nel disegno delle strategie politiche utili a stimolare e irrobustire la ripresa nel lungo periodo. In società in cui l’empowerment personale è centrale e in cui le forme della partecipazione politica sono diversificate e diffuse, possono prevalere soltanto istituzioni allineate con le percezioni della gente, poiché sono le uniche politicamente sostenibili. La sfida è capire se, oltre ad essere sostenibili, siano anche capaci di rimettere le economie occidentali solidamente nel binario della ripresa. Se interpretata in questi termini, la sfida assume un sapore fondativo: quali sono i valori diffusi che favoriscono il successo economico e la prosperità immateriale delle società? E, ancora più importante, come possiamo facilitarne l’evoluzione?

Le implicazioni per le politiche pubbliche
Una risposta alla prima domanda è stata suggerita da Edmund Phelps, già vincitore nel 2006 del Premio Nobel per le scienze economiche. I valori che stiamo cercando sono quelli dell’umanesimo moderno, raggruppati attorno all’idea del dinamismo economico e sociale. Si tratta di valori di autonomia personale che includono il desiderio di auto governarsi e di esprimere se stessi; l’accettazione della competizione quale strumento di prova della bontà delle proprie idee e scelte economiche; il desiderio di lasciare un segno nella sfera di influenza di ciascuno; la determinazione a detenere il controllo del corso della propria vita.

Quando questi valori hanno prevalso nel mondo occidentale, il modello economico e sociale ha prodotto benessere materiale e soddisfazione personale. Ne dà conferma, anzitutto, la storia recente dell’Occidente, in cui i valori moderni hanno giocato un ruolo fondamentale nel garantire l’accrescimento della prosperità immateriale e del benessere. E lo dimostra, ancora una volta, l’evidenza empirica. In un recente libro — da me scritto assieme a Pietro Navarra — sulle strategie che l’Italia dovrebbe mettere in atto per affrontare il cambiamento di questi anni, i valori che sostengono il dinamismo sono associati a numerose attitudini pro-sociali che riflettono un’alta qualità della vita — fiducia interpersonale, bassa litigiosità, disponibilità all’impegno politico e sociale, imprenditorialità — e a maggiori livelli di reddito pro capite.

Senza negare l’importanza delle variabili macroeconomiche per la ripresa, in un’ottica di lungo periodo il problema che affligge il mondo occidentale è che i valori del dinamismo sono in declino, per diverse ragioni. In parte, il processo di empowerment individuale ha seguito una direzione contraria all’affermazione del dinamismo. L’estensione dei diritti positivi e delle assicurazioni sociali ha contribuito a creare istituzioni che, paradossalmente, rendono più difficile la realizzazione personale e richiedono interventi suppletivi dello Stato, ulteriormente restringendo gli spazi di auto affermazione individuale. È in questo senso che vanno lette le difficoltà a fare impresa e, in generale, il declino delle istituzioni, rilevati in diversi paesi: per esempio in Italia e negli Stati Uniti, come evidenziano i Worldwide Governance Indicators, misurati dalla Banca Mondiale.

In parte il minore dinamismo è dovuto alla crescente difficoltà di inclusione economica delle persone più svantaggiate. Nei 25 anni successivi alla seconda guerra mondiale era possibile coltivare il sogno di entrare a fare parte della classe media anche per molti di quelli che ne erano esclusi. La produttività del lavoro cresceva a tassi ben maggiori del livello pressoché stagnante dei nostri giorni; la globalizzazione non aveva prodotto le sue conseguenze in termini di competizione sui livelli meno qualificati della forza lavoro che oggi, invece, manifesta. La difficoltà di inclusione ha effetti demotivanti sulle scelte individuali di partecipazione alla vita economica e accresce la pressione per forme di assicurazione sociale che tutelino dall’impossibilità di accedere a migliori standard di vita.

Accanto a queste forze di lungo periodo si è aggiunta una nuova circostanza problematica per le sorti del dinamismo: l’estendersi e il rafforzarsi dei legami tra lo Stato e gli interessi delle imprese. Le forme di questo fenomeno sono disparate. La complessità e la pervasività della regolamentazione dei settori economici è certamente una sua manifestazione. Quando le regole che disciplinano un settore economico e che dovrebbero proteggere la società da comportamenti non finalizzati all’interesse pubblico sono racchiuse in leggi di qualche migliaio di pagine, è difficile non sospettare che, in realtà, l’obiettivo che si persegue è proteggere gli interessi economici di chi nel settore già opera, a danno delle opportunità di concorrenza oltre che del fine ultimo dell’interesse collettivo.

Se i valori che supportano il dinamismo sono in declino e se le cause della loro evanescenza sono comunque note, quali politiche possiamo immaginare per ridare smalto al dinamismo e irrobustire e stimolare la ripresa nel lungo periodo? Friederich Hayek ha scritto che il corso di una società può essere modificato solo con un cambiamento delle idee. È vero; ma la sfida interessante proposta da questa frase sta tutta nell’identificazione delle idee che possano facilitare il cambiamento.

Il successo del dinamismo è stato reso possibile da un sottostrato diffuso di valori aperti all’esplorazione di nuove strade nella vita, nell’economia e nella società. Questa disponibilità alla sperimentazione è connessa a valori di auto-realizzazione e tolleranza ma anche alla presenza di istituzioni che non limitino le manifestazioni individuali. Peraltro, dove la manifestazione dell’individualità di ciascuno è piena, il grado d’intrusione delle istituzioni statuali nella vita economica è minore. In queste circostanze, attribuire allo Stato il ruolo dell’arbitro invece che quello del giocatore e il compito di garantire a tutti l’opportunità di competere validamente è un’operazione politicamente sostenibile e favorevole per le prospettive d’incremento della prosperità materiale e immateriale.

Il successo della sperimentazione sociale e il livello d’innovazione economica e sociale che prevale in una società sono quindi intimamente connessi alla diffusione dei valori dell’autonomia personale. Accompagnati a istituzioni non invadenti, i valori di autonomia personale contribuiscono a rafforzare l’ideale della società aperta, una società fatta di istituzioni che non limitino la competizione, favoriscano l’eguaglianza dei punti di partenza e riducano le rendite di posizione, e di persone tolleranti nei riguardi della sperimentazione sociale, anzi disponibili ad inglobarla nel tessuto politico che le lega in un’unica comunità di individui.