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Come la Cina è diventata il motore dell’economia tedesca

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Nel 2005 Business Week descriveva Volkswagen come un esempio di “come non avere successo in Cina”. Per il settimanale, l’azienda di Wolfsburg stava per essere stroncata dall’ingresso nel mercato di modelli di auto iper-economici, tanto che la quota di mercato era crollata al 20%, rispetto al 40% del 2001[1]. Ma il 2005 cinese equivale quasi a un’altra era. Così Volkswagen, che è rimasta a bordo della nave cinese, poteva annunciare nel luglio 2010 il maggior utile trimestrale dall’esplosione della crisi economica, proprio grazie alla nuova domanda del grande paese asiatico.

Volkswagen è entrata in Cina oltre trent’anni fa. I problemi rilevati da Business Week a suo tempo non erano che normali scossoni dovuti alla necessità di conoscere la nuova economia nella sua fase formativa. Con il cambiamento delle condizioni di mercato, sono cambiate le fortune degli imprenditori occidentali. Per la gioia dei tedeschi, nel 2009 la Cina è diventata il primo mercato mondiale per le auto, con tredici milioni e mezzo di veicoli venduti (rispetto ai dieci e mezzo degli Stati Uniti). Volkswagen si è così agganciata a questo trend crescita e nel 2010 ha venduto nel paese quasi due milioni di automobili (considerando anche Hong Kong), con un incremento del 37% rispetto all’anno precedente. L’azienda tedesca ha annunciato un piano di investimenti per oltre dieci miliardi di euro nel paese, da qui al 2015.

L’esperienza di Volkswagen è l’epitome di una sinergia di grande successo che si è sviluppata tra la Germania e la Cina, ma anche tra la Baviera e il Guangdong. Dal 2008 le esportazioni tedesche verso la Cina crescono più rapidamente delle importazioni: trainate da meccanica, chimica e auto, arrivano a un volume di quasi 30 miliardi di euro nel 2007, saliti a 36,5 nel 2009. Solo nei primi sei mesi del 2010, le esportazioni tedesche sono state di oltre 34 miliardi. Un recente studio dell’Istituto per l’Economia Mondiale di Kiel ha rilevato che al 9% della crescita nel PIL cinese corrisponde un incremento delle esportazioni tedesche in Cina del 16%. Da sole, le esportazioni tedesche verso Pechino sono superiori rispetto a quelle degli altri quindici paesi europei combinati. Possiamo insomma sostenere che se la Germania è la locomotiva d’Europa, la Cina è la locomotiva della Germania.

Quella di Berlino è stata la prima tra le economie occidentali a comprendere come il consumo del paese asiatico si stesse progressivamente elevando come qualità e pretese, e si è organizzata di conseguenza. La gavetta degli ultimi dieci anni è servita per integrare a fondo le catene produttive tedesche con quelle cinesi: questo aspetto si evince in maniera evidente dai dati sugli investimenti diretti, che all’inizio del 2009 erano di 18 miliardi di euro. Per aver un metro di paragone si può guardare ai dati dell’Italia: nel 2010 l’interscambio con la Cina dovrebbe toccare i 40 miliardi di euro, rispetto a circa 31 nel 2009. Ma come investimenti diretti in Cina, l’Italia totalizza un terzo della Germania.

Rispetto agli altri paesi europei, la Germania cerca di spingersi oltre sul piano dell’integrazione economica, con un forte contributo della diplomazia. Non è un caso che, nell’assegnazione delle nuove sedi del servizio diplomatico UE, la Germania abbia ottenuto di collocare un suo diplomatico a Pechino (l’ambasciatore Markus Ederer), insieme al vice-segretariato generale che ha competenze per il coordinamento delle politiche.

La strategia è sostenuta da un piano del ministro per l’Industria tedesco, guidato dal liberale Rainer Brüderle, che nel marzo del 2010 ha lanciato il programma dall’ambizioso nome “Offensiva per l’Economia Estera”. Il piano punta alla creazione di un vero e proprio sistema-paese per le esportazioni, con la cooperazione tra politica, imprese e diplomazia.

In base a queste tendenze ormai consolidate, si potrebbe criticare il fatto che il modello di crescita della Germania stia diventando troppo esposto alle esportazioni. Forse è così: se si dovessero realizzare le profezie più pessimistiche e il mercato cinese dovesse subire una crisi, ciò trascinerebbe con sé un crollo della crescita a due cifre per l’export tedesco. In realtà, un simile scenario potrebbe avverarsi se le esportazioni fossero disgiunte dagli investimenti. Se invece alle vendite all’estero si accompagna la presenza industriale, la situazione è diversa e i rischi vengono considerevolmente ridotti. 

Nel già citato articolo del 2005, Business Week scriveva che il problema di Volkswagen era stato “entrare nel mercato cinese troppo presto”. In effetti, pagato lo scotto dell’inesperienza, e passata la buriana delle auto economiche, adesso i tedeschi riescono a vendere ai cinesi anche le Audi: quasi 22.000 nel solo gennaio 2011, record storico. Non si tratta di utilitarie: il SUV Q7 è cresciuto del 63% sul mese precedente, a 1.214 unità. Sono davvero finiti i tempi delle biciclette di Pechino.

 


[1] Business Week del 9 maggio 2005, GM and VW: How Not To Succeed in China