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BCE vs Bundesbank: la battaglia di Francoforte

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Scelto con grande entusiasmo come banchiere centrale sensibile alle “sirene renane”, Mario Draghi è entrato ben presto nel mirino dell’ortodossia monetaria teutonica. La frattura con parte dell’establishment tedesco si è aperta con il passare dei mesi, consumandosi, prima ancora che a livello politico, in sede di consiglio direttivo della BCE.

Il braccio di ferro con il capo della Bundesbank ed ex-consigliere economico di Angela Merkel, Jens Weidmann, ha raggiunto l’apice nel settembre scorso, in occasione dell’approvazione dell’Outright Monetary Transactions (OMT), uno strumentario giuridico (ad oggi ancora inutilizzato) che consente alla BCE un acquisto illimitato, ancorché condizionato, di titoli sovrani sul mercato secondario.

Dopo le due operazioni per iniettare liquidità nel sistema bancario ed evitare la stretta creditizia e la scelta di abbassare il tasso d’interesse principale dall’1,25 allo 0,75%, la decisione maturata a settembre all’Eurotower offre, più o meno indirettamente, un salvagente agli Stati in difficoltà dell’Eurozona. Tuttavia Weidmann, avendo dalla sua un’opinione pubblica tedesca contraria ad interventi che riducano l’indipendenza dell’istituto, ha denunciato apertamente i rischi inflazionistici del programma. E lo ha fatto citando il Faust di Johann Wolfgang von Goethe, nella parte in cui Mefistofele convince l’Imperatore del Sacro Romano Impero a stampare moneta per risolvere i problemi finanziari dello stato.

Storicamente infatti gli esponenti di scuola Bundesbank tendono a voler preservare la stabilità dei prezzi a discapito della piena occupazione o, più in generale, della stabilità economica e finanziaria dell’unione monetaria. Continuando l’azione del suo predecessore, Mario Draghi ha cercato, per non scontentare eccessivamente chi aveva contribuito a nominarlo alla testa dell’Eurotower, di contemperare i due obiettivi, entrambi ormai cristallizzati nei Trattati europei.

Appena un anno fa, in occasione del suo primo discorso pubblico da presidente della BCE, Draghi volle rassicurare la classe dirigente tedesca sulla sua vicinanza ideologica all’ortodossia teutonica. L’evento si organizzato dalla Initiative Neue Soziale Marktwirtschaft, un think-tank tedesco portavoce del pensiero dei teorici dell’economia sociale di mercato. Dietro il palco campeggiava un enorme drappo con una citazione dell’ex Cancelliere Ludwig Erhard, sintomatica della visione tedesca dell’economia: “L’inflazione è un esproprio senza indennizzo a favore della mano pubblica”. Nel corso del 2012, tuttavia, la concordia con l’opinione pubblica tedesca è andata esaurendosi. Da un lato, ha pesato la scelta di mantenere in vita la Grecia anche attraverso misure monetarie speciali, messe in pratica dalla BCE. Dall’altro, ha influito la decisione dei capi di Stato e di Governo di procedere sulla via dell’unione bancaria e dell’autorità di vigilanza affidata all’Eurotower, prima ancora di creare un’unione fiscale e politica, che Francoforte ha avallato.

Infine, a settembre, la goccia che ha fatto traboccare il vaso: il già citato via libera all’acquisto illimitato dei titoli di Stato, approvato con un unico voto contrario, quello di Jens Weidmann. Draghi si è dunque visto costretto a tornare a Berlino per un’audizione a porte chiuse nelle commissioni competenti del Bundestag. per spiegare che no, la BCE non stava affatto finanziando direttamente gli stati membri. Da parte tedesca si voleva infatti tentare di conferire una legittimazione da parte dell’“azionista” principale, la Germania, alle scelte del consiglio direttivo dell’Eurotower.

Non è affatto un caso che per questa sua missione al Bundestag Draghi sia stato accompagnato dal membro tedesco del comitato esecutivo della BCE, Jörg Asmussen. Ex sottosegretario alle Finanze prima sotto il socialdemocratico Peer Steinbrück, poi con il democristiano Wolfgang Schäuble, Asmussen rappresenta il volto conciliante di Berlino, quello che sinora ha appoggiato Draghi purché continuasse ad aderire alle tesi di Angela Merkel sulla condizionalità degli aiuti e sulla necessità delle riforme strutturali nei paesi in crisi. Con due membri della BCE, uno contrario e l’altro a favore della linea adottata dalla maggioranza del consiglio direttivo, la Cancelliera è riuscita peraltro ad apparire formalmente neutrale, tenendosi ai margini dello scontro.

In realtà, mentre l’esecutivo cristiano-liberale sostiene e tenta di indirizzare il banchiere centrale italiano, la Bundesbank e una minoranza interna alla coalizione governativa hanno ormai scelto la via dell’attacco frontale. D’altra parte, solo sull’opportunità di un’unione bancaria in tempi brevi le opinioni di Draghi non collimano del tutto con quelle della signora Merkel. Mentre il presidente della BCE è stato tra i primi a rilanciare l’idea di una unione bancaria con nuovi poteri di vigilanza per l’Eurotower, la Cancelliera, d’accordo su questo in via di principio, ha però finora cercato di rallentarne l’iter, senza nemmeno accennare alla necessità di una modifica del Trattato di Lisbona. L’obiettivo tedesco non è comunque meramente ostruzionistico, ma rimane finalizzato alla creazione di un’unione politica e fiscale nella quale sia possibile imporre o vietare agli Stati membri talune misure di politica economica.

Sul fronte parlamentare, invece, alcuni deputati della CDU/CSU e dell’FDP hanno prima accusato Draghi di essere ricattabile, poichè percepisce ancora un onorario da parte di Bankitalia, e poi hanno scatenato un guazzabuglio sull’ipotesi che il presidente della BCE, quando ancora lavorava per Goldman Sachs, avesse partecipato all’operazione di maquillage sui conti pubblici ellenici. Senza contare i numerosi reportage dei media sul nuovo e costoso quartier generale in cui traslocheranno i funzionari della Banca centrale europea dal 2014; la battaglia di Francoforte sembra passare insomma anche dalla delegittimazione dell’avversario.

Un nuovo motivo di scontro l’ha invece provocato il dibattito, in corso da qualche settimana, sul secondo haircut per Atene, cui alcuni esponenti liberali e democristiani vorrebbero far partecipare anche i creditori pubblici, tra i quali figura anche la BCE. Per ora Draghi è riuscito ad erigere una difesa alquanto resistente, confortato questa volta anche dallo stesso Jens Weidmann, secondo il quale un nuovo taglio del debito avrebbe come conseguenza la riduzione degli sforzi riformatori in Grecia. Di qui la valutazione critica del capo della Bundesbank (ma non di Asmussen) dell’ultimo accordo in soccorso di Atene, raggiunto nel novembre scorso in sede di Eurogruppo, il quale sembra preludere davvero all’haircut in questione.

Nel 2013 i contrasti potrebbero d’altra parte aumentare, visti i temi e le proposte in discussione. Da un lato, infatti, la BCE dovrà tornare a valutare se abbassare ulteriormente il tasso d’interesse principale e ridurre addirittura sotto lo zero il tasso d’interesse sui depositi. Allo stesso tempo, stanti le forti difficoltà in Spagna, diventa molto probabile l’utilizzo dell’OMT per sostenere il rifinanziamento di Madrid. A ciò si aggiunge la posa del secondo tassello dell’unione bancaria, ossia la creazione di un fondo unico europeo per il salvataggio delle banche e la garanzia europea sui depositi. Le trattative proseguiranno per tutta la prima parte dell’anno.

Infine, a spaventare l’establishment tedesco in generale e la Bundesbank in particolare, c’è il rischio dello scoppio di una bolla immobiliare in Germania. Il basso tasso di interesse sta infatti canalizzando gli investimenti di tanti greci, portoghesi, spagnoli ed italiani verso nord, alla ricerca di sicurezza e buoni rendimenti. Benché Weidmann lo abbia negato, il pericolo sembra essere quanto mai reale, se si guarda all’impennata dei prezzi delle case nelle principali città tedesche. Insomma, nel 2013 la battaglia di Francoforte continuerà ad essere combattuta.