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Aspettando l’Europa

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Non è chiaro perché si continui a scrivere che nella campagna elettorale sul rinnovo del Parlamento Europeo non si sia parlato di Europa. La realtà ci sembra opposta: per la prima volta dal 1979 – anno della introduzione delle elezioni dirette del Parlamento di Strasburgo, che oggi ha 751 membri – di Europa si è parlato. Solo che, quando finalmente se ne è parlato, si sono scoperte due cose.  La prima, fondamentale, è che l’Europa non è “altro da noi”. L’Europa è parte della politica interna, è un affare che riguarda le relazioni “intra-domestiche”, non solo o non tanto la politica estera.  Non c’era bisogno, per capirlo, di denunciare complotti. L’interferenza reciproca è ormai una componente fisiologica delle dinamiche europee. 

È quindi inevitabile – e questo è il secondo dato – che l’Europa diventi oggetto di scontro politico. Proprio quando di Europa si parla, gli anti-europei hanno i loro argomenti. Come è abbastanza naturale a valle della prima crisi esistenziale che ha colpito l’euro. Il problema, per gli europeisti, è di riuscire ad articolare in modo convincente le ragioni a favore di un’Unione che funzioni. L’UE non è più un tabù.

Se l’Europa è ormai parte del confronto politico nazionale, è più difficile capire se possa anche diventare uno spazio politico transnazionale, come vorrebbero i federalisti. Come noto, le principali “famiglie” europee hanno indicato il loro candidato comune a presidente della Commissione. Vedremo se questo meccanismo – in parte contemplato dal Trattato di Lisbona – riuscirà a ridurre i tassi di astensionismo; e vedremo se l’indicazione vincente verrà nei fatti rispettata dagli Stati riuniti nel Consiglio europeo. Fra il Consiglio, ossia la Camera degli Stati, e il Parlamento, quella dei popoli, la tensione resta notevole. Fino ad oggi, l’istituzione perdente, nel triangolo istituzionale europeo, è stata la Commissione, che conclude nel 2014 una legislatura quanto mai deludente, drammatizzata dalla crisi finanziaria, che ha prodotto trattati intergovernativi ad hoc.

L’euro è stato difeso, essenzialmente grazie alla BCE. O meglio all’annuncio di Mario Draghi, nell’estate del 2012, che la Banca centrale europea avrebbe fatto tutto il possibile per impedire il default dei debiti sovrani. La Germania ha accettato questa soluzione solo dopo avere ottenuto accordi fiscali vincolanti e l’avvio dell’unione bancaria. In sostanza, solo dopo nuove cessioni di sovranità da parte dei governi in difficoltà. Il prezzo politico della difesa dell’euro è stato quindi molto alto, come dimostra del resto lo spazio lasciato all’ascesa di partiti populisti, nazionalisti e a vario titolo anti-europei. L’euro è salvo. Le elezioni europee di questa settimana diranno se lo è anche l’UE.   

PS: il 25 maggio le elezioni a cui guardare saranno anche quelle in Ucraina. L’Unione Europea potrebbe ritrovare la sua ragione di esistere sulle sfide della sicurezza esterna, invece che interna.