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Angela Merkel e la candidatura di Tony Blair

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Anche se al processo di ratifica del Trattato di Lisbona manca ora solo la firma del Presidente ceco Vaclav Klaus, il dibattito su chi sarà il primo presidente del Consiglio Europeo è entrato nel vivo.

Il candidato più accreditato per ora sembra essere l’ex-premier inglese Tony Blair. Un politico dall’indubbia esperienza, con una personalità forte e carismatica. L’idea raccoglie consensi traversali, in patria – anche tra i conservatori – così come in altri paesi europei, Italia compresa. Le resistenze a questa candidatura sono altrettanto numerose. Si sono espressi contro i paesi del Benelux e una parte non trascurabile del parlamento europeo.

Proprio in questi giorni, il presidente francese Nicolas Sarkozy, tra i primi sostenitori del collega britannico, ha fatto una mezza marcia indietro. “La non adozione della Moneta Unica da parte dell’Inghilterra rappresenta sicuramente un handicap”, ha dichiarato al settimanale Le Figaro.

Blair non è l’unico in lizza. Si fanno i nomi del premier lussemburghese, Jean-Claude Juncker, del primo ministro olandese, Jan Peter Balkenende. C’è chi parla anche dello spagnolo Felipe Gonzalez o dell’irlandese Bertie Ahern. Candidati che il settimanale Economist, per sottolineare il divario di statura con il concorrente inglese,  ha definito in maniera sarcastica “Euro pigmei”.

I giochi sono quindi aperti, ma i tempi si preannunciano più lunghi del previsto. Se il presidente Klaus tirerà per le lunghe, sarà difficile che gli incarichi vengano assegnati al vertice europeo del 29 ottobre prossimo, come vorrebbe la presidenza svedese dell’Unione. Verosimilmente si slitterà a fine anno.

Nessuno sembra aver fretta, peraltro. A cominciare da Angela Merkel. La cancelliera è assorbita dai negoziati con i liberali per la formazione del nuovo governo. Un rinvio delle nomine le farebbe senz’altro comodo.

Va ricordato che è stata proprio la Merkel, durante la presidenza tedesca nella primavera del 2007, a salvare la Costituzione europea dopo il no dei referendum francesi e irlandesi. La cancelliera è riuscita a far convergere le diverse posizioni senza stravolgere il testo iniziale, mantenendo inalterate le due principali novità del Trattato: una presidenza permanente dell’Unione – cioè non più a rotazione semestrale – e un ruolo rafforzato per l’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune. Il nome di Tony Blair ha cominciato a circolare allora. E da subito la leader tedesca ha mostrato perplessità, per diversi motivi.

Innanzitutto, Blair viene da un paese che non fa parte dell’area dell’Euro (oltre che dell’area di Schengen) e per la Germania la Moneta Unica resta il cuore del processo di integrazione. Altra eccezione inglese è la Carta europea dei diritti fondamentali, un punto basilare per la Merkel che ha fatto della difesa dei diritti umani il fiore all’occhiello della sua politica estera. Era stato proprio Blair, da primo ministro, a negoziare l’opt-out britannico.

Anche sulla visione complessiva dell’Europa le visioni divergono. Blair ha in mente un’Europa allargata, un grande mercato capace di accogliere paesi come la Turchia. Di avviso contrario la cancelliera. L’allargamento non è un progetto geo-economico, sostiene, bensì politico, da mettere in atto in presenza di condizioni specifiche. Nel caso della Turchia – un paese tuttora ancora lontano dal soddisfare tutti i criteri di una democrazia europea – tali condizioni ancora non sussistono.

Molti tedeschi, poi, non hanno perdonato al leader britannico il sostegno alla guerra in Iraq e la stretta alleanza militare con gli Stati Uniti. 

Non ultimo, Blair è stato il sostenitore di un modello di sviluppo economico che ha privilegiato la finanza rispetto all’economia reale. Con la crisi la Germania, a causa della sua forte esposizione internazionale, si è sentita fortemente penalizzata dagli eccessi di questo modello. Difficile, quindi, per la Merkel spiegare ai propri concittadini una candidatura come quella dell’ex premier inglese. Un leader di cui i tedeschi, peraltro, sembrano fidarsi poco. Troppo spesso alle parole non ha fatto seguire i fatti, come nel caso della promessa – non mantenuta – di far adottare l’euro alla Gran Bretagna.

La Cancelliera non è un’europeista “à la Kohl”: il suo è un approccio pragmatico, meno visionario. E’ consapevole che i tedeschi hanno bisogno di rapportarsi ad un’Europa nella quale riconoscersi. Per questo, a suo avviso, Blair non è il presidente ideale.

I maligni sostengono che dietro le perplessità della Merkel ci siano anche motivi personali. Una figura carismatica come quella di Tony Blair rischierebbe di ridimensionare il suo ruolo all’interno dell’Unione e per ora, quella che buona parte della stampa internazionale vede come la “Cancelliera d’Europa”, non sembra intenzionata a deporre lo scettro. La Merkel non è la sola a temere una leadership forte. All’indomani della ratifica polacca, José Manuel Barroso ha prontamente dichiarato che “la Commissione non accetterà che il presidente del Consiglio europeo sia il presidente dell’Europa”: un equilibrio delicato e ancora tutto da definire quello tra il presidente del Consiglio e della Commissione.

La nomina al vertice del Consiglio rientra in una partita di più ampia portata. C’è da decidere anche l’Alto rappresentante per la politica estera, una carica considerata da molti più prestigiosa dal momento che il futuro Ministro degli Esteri europeo sarà anche vice presidente della Commissione e avrà a disposizione un bilancio e un intero corpo diplomatico. La Merkel vedrebbe bene il suo attuale Ministro degli Interni, Wolfgang Schäuble. Per il momento, però, nessuna dichiarazione ufficiale. La cancelliera non vuole sbilanciarsi. Tutto dipenderà dall’esito dei negoziati in corso e dalle condizioni a livello internazionale.

L’aver classificato Tony Blair come un candidato “non ideale” non lo esclude dal gioco. Se alla fine Angela Merkel cederà sul suo nome, lo farà con poco entusiasmo, ma sicuramente per ottenere qualcosa di rilevante in cambio.

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Marta Dassù sul Corriere della Sera