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Armi antisatellite: la nuova corsa agli armamenti spaziali

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I test missilistici anti-satellite sono un ottimo esempio di come il pensiero strategico sullo spazio delle grandi potenze a volte sembra disegnare traiettorie impazzite. Il 21 gennaio le autorità cinesi hanno reso noto che i detriti spaziali provocati dal test anti-satellite russo – annunciato dal Cremlino non a caso a pochi giorni dai colloqui tra Joe Biden e Vladimir Putin sull’Ucraina – sono arrivati ​​a circa 14 metri dal satellite scientifico cinese Tsinghua ad una velocità di quasi 19.000 km/h. Secondo gli esperti, i detriti spaziali di quel test (circa 1.500 pezzi di dimensioni tracciabili) potrebbero creare seri problemi ai veicoli spaziali negli anni a venire. Il che dovrebbe essere una forte motivazione per far sì che le potenze spaziali si impegnino per liberare l’orbita terrestre da questa cosiddetta spazzatura. Ma è lecito aspettarsi il contrario. Da parecchi anni, infatti, Stati Uniti, Cina, India e Russia svolgono attività spaziali che come danni collaterali disseminano le orbite basse (entro i 1.000km dalla Terra) di parecchie migliaia di detriti, rendendole pericolose per i satelliti e il volo spaziale umano. E se tutti, in teoria, concordano sul fatto che i questi dannosissimi test dovrebbero essere vietati, in realtà sono stati fatti pochissimi progressi verso il raggiungimento di questo obiettivo.

I potenziali danni per i detriti di satelliti distrutti. Credit: University of Warwick/Mark Garlick

 

La ragione principale di questa situazione è da ricercare nella corsa agli armamenti convenzionali spaziali cominciata agli inizi XXI secolo, laddove nella Guerra Fredda la dimensione strategica dello spazio era sostanzialmente limitata all’intelligence, grazie ai satelliti spia. Con il risultato che mentre le armi nucleari e quelle chimiche hanno una regolamentazione internazionale più o meno stringente, lo spazio continua ad essere “l’ultima e libera frontiera” delle applicazioni militari. Tra le varie ragioni di questo “strabismo strategico” ne prendiamo in considerazione due che ci sembrano particolarmente interessanti: 1) gli assetti spaziali sono storicamente rimasti al di fuori dei grandi negoziati per il disarmo tra Stati Uniti e Unione Sovietica; 2) oggi le applicazioni civili dello spazio si sovrappongono quasi perfettamente alle applicazioni militari, con la conseguenza che la supremazia nella cosiddetta space economy è anche una supremazia strategica. E poiché i satelliti svolgono ruoli sempre più importanti sia nelle operazioni militari che in quelle civili, diversi governi stanno sviluppando sistemi d’arma anti-satellite (ASAT). Appare evidente che l’ostacolo principale per la limitazione delle armi ASAT è che in tutto il mondo si stanno sviluppando sistemi di difesa missilistica e molte delle tecnologie utilizzate sono applicabili alle armi anti-satellite.

Analizzando il primo punto, è interessante notare che l’evoluzione dei sistemi d’arma nucleari e delle capacità spaziali, se dal punto di vista cronologico è andata quasi di pari passo (il primo test nucleare, Trinity Test, ebbe luogo il 16 luglio del 1945; il primo satellite in orbita fu lo Sputnik, il 4 ottobre del 1957), dal punto di vista militare c’è stata invece una tardiva consapevolezza – almeno nel dibattito pubblico – dell’importanza delle capacità spaziali ai fini della superiorità strategica.

Il tema emerse con chiarezza nel corso degli ultimi due decenni della Guerra Fredda, allorquando Stati Uniti e Unione Sovietica avevano già condiviso più cicli negoziali sul controllo degli armamenti che includevano anche discussioni specifiche mirate alla limitazione delle armi ASAT. Ma mentre Mosca e Washington completavano progressi significativi sulla riduzione degli armamenti nucleari, i discorsi sull’uso controllato dello spazio non portarono ad accordi sul controllo degli armamenti. In una riunione alla Casa Bianca del National Security Planning Group del dicembre 1984 tenutosi in preparazione del round di colloqui START (Strategic Arms Reduction Talks) di Ginevra del gennaio 1985, Kenneth L. Adelman, Direttore dell’United States Arms Control and Disarmament Agency (ACDA), sosteneva l’importanza di proteggere la Strategic Defence Initiative (SDI) del Presidente Ronald Reagan dalle questioni ASAT, “… negoziando regole di comportamento per sistemi anti-satellitari e per gli stessi satelliti… rendendo il mondo più sicuro attraverso l’uso controllato dello spazio…”. Nello stesso meeting l’allora Segretario di Stato George P. Shultz disse che era stato concordato anche un forum per le armi ASAT e in generale gli armamenti spaziali ma che esisteva il problema “di una sovrapposizione tra ASAT e SDI”. Alla fine, quindi, prevalse l’approccio di non includere i sistemi d’arma spaziali nei negoziati per non indebolire sia la posizione USA che gli stessi negoziati[1].

Del resto Washington aveva faticosamente conquistato il predominio in ambito spaziale e non voleva perderlo. Nell’estate del 1960, gli Stati Uniti avevano lanciato in orbita Corona, il loro primo satellite di intelligence per immagini. Nella sua prima missione, aveva ripreso l’Unione Sovietica più di tutti i precedenti voli di ricognizione U-2 messi insieme, i satelliti erano diventati in breve tempo la più grande fonte di informazioni sull’Unione Sovietica. I leader della sicurezza nazionale americani temevano che un programma USA di armi ASAT avrebbe rischiato di spronare i sovietici ad agire in modo aggressivo contro i sistemi spaziali statunitensi, mettendo a rischio i vulnerabili satelliti dell’intelligence. Il risultato fu il riconoscimento da parte di entrambi i contendenti della legittimità dei sorvoli spaziali. Anche Richard Nixon rifiutò di approvare un nuovo programma di armi anti-satellite per evitare di compromettere i colloqui sugli armamenti con i sovietici. Quando nel 1972 gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica firmarono il Trattato sui missili balistici (ABM) e il Trattato sulla limitazione delle armi strategiche (SALT), entrambe le parti si impegnarono a non interferire con i satelliti da ricognizione dell’altra che furono utilizzati per monitorare il rispetto dei trattati. Durante l’amministrazione Carter, Stati Uniti e l’Unione Sovietica tennero alcuni colloqui sulle armi anti-satellite nel 1978 e nel 1979, ma inutilmente. In sostanza i negoziatori sovietici volevano che Washington ponesse dei limiti allo space shuttle perché lo ritenevano un’arma ASAT. Poi venne il turno di Ronald Reagan che, invece, comprese appieno l’utilità militare delle armi anti-satellite; la sua amministrazione riconobbe pubblicamente la loro importanza per negare all’Unione Sovietica l’uso dello spazio e per scoraggiare gli attacchi contro i satelliti statunitensi.

Veniamo al secondo punto, la sovrapponibilità delle applicazioni civili a quelle militari. Negli ultimi vent’anni l’infrastruttura satellitare si è andata configurando sempre di più come “l’infrastruttura delle infrastrutture” o, se si preferisce, il “sistema dei sistemi”, essendo la base della gestione delle telecomunicazioni, della navigazione, della computazione del tempo e dell’intelligence militare, scientifica e commerciale. Dalla super infrastruttura spaziale dipendono non solo le capacità militari e strategiche, ma anche quelle economiche e finanziarie; grazie alla sua pervasività l’infrastruttura spaziale – per definizione senza confini – è in grado di creare una formidabile catena di nuovo valore in grado di arrivare a tutti gli utenti istituzionali, commerciali e ai privati cittadini grazie al volano dell’economia digitale.

Il missile porta-satelliti Atlas V è stato selezionato da Amazon per portare in orbita migliaia di satelliti con l’obbiettivo di costruire una connessione internet satellitare super-veloce

 

E’ pertanto una naturale conseguenza quanto affermato dalla terza direttiva del Presidente Donald Trump sulla politica spaziale: “… Gli Stati Uniti considerano il continuo e illimitato accesso e la libertà di operare nello spazio di vitale interesse per promuovere la sicurezza, la prosperità economica e la conoscenza scientifica della nazione…Allo stesso tempo, la natura competitiva dello spazio sta aumentando la domanda del Dipartimento della Difesa di concentrarsi sulla protezione e la difesa delle risorse e degli interessi spaziali degli Stati Uniti…”[2]. È evidente la assoluta complementarietà dei dati provenienti dalle attività sia civili che militari ai fini dell’analisi della situazione spaziale dal punto di vista della sicurezza sia militare che economica. Negli ultimi anni, infatti, le evoluzioni tecnologiche delle costellazioni satellitari sono state assolutamente “duali”. Ormai non c’è quasi più distinzione tra applicazioni civili e applicazioni militari. Una tendenza che era già apparsa evidente con la vicenda della costellazione Iridium. Concepita agli inizi degli anni ’90, doveva sopperire alle difficoltà dei segnali per le comunicazioni dei satelliti geostazionari, troppo deboli per raggiungere efficacemente le alte latitudini. Il servizio satellitare Iridium lo ha risolto grazie a decine di satelliti aggiuntivi in orbite inferiori, raggiungendo una copertura veramente globale. Tra i più grandi estimatori di Iridium c’erano ovviamente i militari.

Ultimamente la mega costellazione di Elon Musk, Starlink, che prevede a pieno regime 40.000 satelliti, sta entrando a far parte dell’architettura delle reti di comunicazione dell’esercito USA. L’aeronautica americana è stata la prima a testare e apprezzare i servizi Internet spaziali commerciali attraverso il programma noto come Defence Experimentation Using the Commercial Space Internet (DEUCSI), che ha recentemente testato i servizi a banda larga satellitare Starlink. Sulla scia di questi test positivi SpaceX ha ricevuto due anni fa un contratto da 28 milioni di dollari per collegare Starlink a piattaforme militari e valutare le prestazioni del servizio.

Le reazioni di Cina e India, due grandi potenze non solo spaziali, ci danno la misura della valenza strategica della space economy USA. Il dicembre scorso la Missione Permanente della Cina presso la sede di Vienna dell’United Nations Office for Outer Space Affairs (UNOOSA) ha indirizzato al Segretario Generale dell’ONU una nota in cui rivelava che le manovre di deorbitazione di alcuni satelliti di Starlink avevano messo a repentaglio la sicurezza della China Space Station. Secondo Huang Zhicheng, esperto cinese di scienza e tecnologia aerospaziale, non si può escludere la possibilità che le manovre dei satelliti Starlink abbiano lo scopo di testare la capacità di riconoscimento e tracciamento dei satelliti da parte della Cina. Un mese prima, a novembre, il Ministero delle Comunicazioni indiano aveva comunicato di aver intimato con effetto immediato a SpaceX di astenersi dal raccogliere prenotazioni e fornire servizi Starlink perché la società non aveva una licenza per operare nel paese. Entrambi gli episodi la dicono lunga sull’idea di un servizio internet globale fornito attraverso una mega costellazione statunitense che è allo stesso tempo parte dell’architettura della difesa di Washington. Del resto la quarta direttiva sulla politica spaziale, sempre del Presidente Trump, è assolutamente chiara sulle priorità della United States Space Force:

(a) Proteggere gli interessi della Nazione nello spazio e l’uso pacifico dello spazio per tutti gli attori responsabili, in conformità con la legge applicabile, compreso il diritto internazionale;

(b) Garantire un uso illimitato dello spazio per scopi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, l’economia degli Stati Uniti e le persone, i partner e gli alleati degli Stati Uniti;

(c) Scoraggiare l’aggressione e difendere la nazione, gli alleati degli Stati Uniti e gli interessi degli Stati Uniti da atti ostili nello e dallo spazio;

(d) Garantire che le capacità spaziali necessarie siano integrate e disponibili a tutti i Comandi Combattenti degli Stati Uniti;

(e) Proiettare potenza militare nello, da e nello spazio a sostegno degli interessi della nostra nazione;

(f) Sviluppare, mantenere e migliorare una comunità di professionisti focalizzata sulle esigenze di sicurezza nazionale del dominio spaziale[3].

Considerato l’importante ruolo dell’infrastruttura spaziale nella guerra di oggi e di domani è quindi prevedibile che le forze armate di tutto il mondo svilupperanno i mezzi per interferire con i satelliti in tempo di guerra e, preventivamente, in tempi di pace. La lezione della Guerra Fredda è che è molto probabile che le proposte volte a limitare i comportamenti nello spazio siano più facilmente raggiungibili rispetto alle limitazioni o divieti di classi di sistemi d’arma con applicazioni anti-satellite. Nonostante oggi ci sia un’enfasi sul divieto dei test spaziali per la produzione di detriti – in maniera paradossale anche da coloro che producono quei test e quei detriti – non è detto che in futuro non ci saranno negoziazioni su applicazioni militari spaziali di diverso genere. Un esempio potrebbero essere le discussioni volte a prevenire l’interferenza cinetica e non cinetica con i satelliti utilizzati per il comando e il controllo nucleare e l’allerta precoce, accordi che potrebbero ridurre la probabilità di un’escalation nucleare.

Ma per promuovere una vera stabilità operativa e strategica nello spazio, gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’India e altri paesi dovrebbero moltiplicare gli sforzi per arrivare ad un bando definitivo contro le sperimentazioni in grado di produrre detriti. Una road map diplomatica che dovrebbe ripartire, almeno formalmente, dall’UNOOSA di Vienna.

 

 

[1] Foreign Relations of the United States – 1981–1988, volume IV – Soviet Union, January 1983 – March 1985

[2] Space Policy Directive-3, National Space Traffic Management Policy – June 18, 2018

[3] Space Policy Directive-4, Establishment of the United States Space ForceFebruary 19, 2019