Vaccinare tutto il mondo: la sortita di Biden e le esitazioni europee

L‘audace presa di posizione di Joe Biden in favore della sospensione dei brevetti sui vaccini ha del paradossale: il governo USA che nei negoziati internazionali ha sempre strenuamente protetto la proprietà intellettuale delle sue industrie farmaceutiche, e che ha fatto prevalere il principio America first nelle forniture dei vaccini in modo da uscire prima dei paesi alleati dalla crisi, si intesta ora uno slancio solidaristico; e fa fare all’Europa, che ha esportato quasi tante dosi quanto ne ha consumate, la figura dell’impietoso difensore dell’ortodossia liberista.

Una manifestante in favore dell’abolizione della proprietà intellettuale sui vaccini

 

Se questo clamoroso gesto è un genuino tentativo di imporre a Big Pharma di rinunciare ai suoi super-profitti, avendo ampiamente coperto le spese e la normale remunerazione del rischio e del successo, è destinato a rimanere una espressione di buone intenzioni. Il Presidente ritenuto moderato e scopertosi progressista dovrà fare i conti non tanto con i distinguo europei quanto con la fiera resistenza delle lobby domestiche, dell’opposizione in Congresso, e probabilmente anche di alcuni senatori del suo partito. La sua iniziativa può avere successo se impostata non sulla coercizione ma su incentivi a cooperare.

Intanto essa è servita a diffondere il messaggio che immunizzare le popolazioni dei Paesi ricchi e lasciare che gli altri se la cavino con le briciole e con la loro resistenza di popoli giovani è non solo inaccettabile eticamente, ma controproducente: dà infatti tempo e spazio al virus per produrre varianti sempre più insidiose e ingaggiare una gara con i centri di ricerca e le nostre campagne vaccinali. Senza contare che il dilagare della pandemia in Africa e nel sub-continente indiano potrebbe far esplodere il vulcano migratorio già in crescente attività.

È realistico attendersi che un invito a cooperare, cioè a cedere le licenze a prezzi molto contenuti, sia accolto dalle aziende farmaceutiche? È verosimile che preferiscano essere loro, una volta soddisfatto il fabbisogno degli americani ed europei, ad investire in nuovi impianti per far fronte alla domanda del terzo mondo; e potranno far valere che saranno in grado di farlo in modo più rapido e più efficiente di quanto lo farebbero in questi paesi aziende prive di esperienza  utilizzando brevetti „espropriati“.

Il problema è che per le società detentrici dei brevetti sarebbe rischioso dotarsi di una capacità produttiva sufficiente a immunizzare periodicamente 7 miliardi di persone senza avere la certezza a medio termine di smerciare tutto il prodotto (potrebbero ad esempio emergere concorrenti capaci di produrre vaccini efficaci a costi molto inferiori). E quand’anche volessero assumersi questo rischio, i prezzi da loro praticati in regime di libero mercato (AstraZeneca è un’eccezione) non sarebbero sostenibili per i paesi a basso reddito.

Occorre dunque creare un meccanismo che consenta di fornire a tali paesi i vaccini a un prezzo basato sul costo marginale e non sul costo medio (quello che comprende le spese di ricerca e di investimento, ormai ampiamente ammortizzate). È ciò che si fa comunemente con tutti i farmaci, autorizzando la loro libera produzione come „generici“ allo scadere di un ventennio. Solo che in questo caso, vista l’emergenza pandemica e l’enorme numero di dosi già vendute a prezzo pieno, la liberalizzazione dovrebbe scattare dopo neanche un anno; resterebbe da negoziare se fissare livelli di royalties molto ridotti o annullarle del tutto. In quest’ultimo caso alle aziende proprietarie dei brevetti dovrebbero essere offerti degli incentivi. Ma ad esse andrebbe anche ricordato che la loro attività di ricerca ha beneficiato in molti casi di contributi dei vari National Institutes of Health, e comunque della ricerca di base sviluppata a spese della collettività nazionale e internazionale.

Esse dovranno fornire, al di là delle licenze, gratuite o semi-gratuite, tutta l’assistenza tecnica necessaria ed eventualmente gli ingredienti non facilmente reperibili sul mercato. Saranno dunque coinvolte in una grandiosa operazione a livello mondiale, in cui una parte importante spetterà ai governi  degli Stati a reddito medio-alto: fornire i suddetti incentivi, dare certezze alle aziende mediante contratti di acquisto anticipati (advance purchase deals), moltiplicare i contributi al programma Covax dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il cui volume è attualmente inadeguato.

Posto in questi termini, sgombrato cioè il terreno dal dubbio che il piano possa disincentivare l’attività di ricerca condotta dall’industria privata, cadrebbe la contrarietà di Berlino e non dovrebbero esserci ostacoli ad una convinta partecipazione dell’Unione Europea.

Teoricamente il negoziato dovrebbe svolgersi nell’ambito dell’OMS e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), a Ginevra, e potrebbe richiedere tempi lunghi. Ma gli attori che veramente contano sono i pochi paesi con aziende detentrici di brevetti su vaccini Covid (o vicine a conseguirli) e i soliti paesi donatori. La sede naturale sembrerebbe perciò essere il G-20, allargato a Cina e Russia e ad alcuni altri invitati (Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Emirati, Cuba). E quindi un ruolo propulsivo potrebbe essere assunto dall’Italia, che quest’anno ne ha la presidenza.

 

 

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