La transizione verso la neutralità nelle emissioni comporterà investimenti dell’ordine di migliaia di miliardi e questo richiederà una strategia globale, basata su una più armonica combinazione di incentivi per il settore pubblico, per quello privato e per i singoli individui. Comprendere le motivazioni di questi diversi attori è fondamentale per il successo. In questo contesto, la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) ha condotto una serie di indagini per capire meglio ciò che motiva gli individui, le imprese e i comuni ad agire per contrastare il cambiamento climatico. E ha realizzato tre sondaggi che offrono prospettive interessanti e mostrano chiaramente il consenso crescente a favore di una ripresa sostenibile.
UNA PREOCCUPAZIONE DIFFUSA FRA I CITTADINI. Circa un terzo degli europei pensa di doversi trasferire in un’altra regione o in un paese diverso a causa del cambiamento climatico. Nei paesi con un clima più caldo, le persone tenderanno a essere più preoccupate, mentre chi ha un reddito più alto si sentirà generalmente più sicuro di chi invece ha un reddito basso. Questo può dipendere da differenze nelle condizioni di vita e nella capacità delle famiglie di adattarsi a un clima che cambia. In un certo senso, i rischi del cambiamento climatico si aggiungono alle altre incertezze nella vita delle persone, inclusi i potenziali cambiamenti di lavoro legati al trasferimento.
La maggior parte degli europei (72%) pensa di potere fare la differenza contribuendo a combattere il cambiamento climatico attraverso le proprie scelte e i propri comportamenti. E dà così maggiore importanza ai cambiamenti di abitudini piuttosto che alla tecnologia: il 39% crede che un cambiamento radicale nelle proprie abitudini sia il modo più appropriato per combattere il cambiamento climatico. Il 19% dichiara che sta già modificando il proprio stile di vita per contribuire alla lotta contro il cambiamento di clima.
Il 70% degli europei sarebbe a favore di più severe disposizioni governative per spingere la popolazione a combattere il cambiamento climatico. Quasi la metà (49%) pensa che il settore energetico e l’uso delle fonti rinnovabili dovrebbero essere prioritari. Il 40% menziona i sussidi per le auto elettriche e la necessità di estendere il telelavoro per ridurre il pendolarismo (36%). L’aumento dell’efficienza del trasporto pubblico è considerato una priorità assoluta per migliorare la mobilità urbana, secondo il 55% degli intervistati, mentre solo un terzo di loro è favorevole al divieto di circolazione dei veicoli ad alte emissioni. Il 57% degli europei auspica una via d’uscita dalla pandemia del Covid attraverso uno sviluppo ecocompatibile.
Per contrastare il cambiamento climatico, gli europei sono dunque disposti a cambiare le loro abitudini. Il 40% dichiara che sarebbe più facile rinunciare all’aereo, il 18% ritiene più facile rinunciare allo streaming video, il 16% al consumo di carne, il 15% all’acquisto di nuovi vestiti. Solo l’11% dichiara che sarebbe più facile rinunciare alla propria auto, mentre questa sarebbe l’opzione più difficile per il 39% degli intervistati.
AUMENTARE LA CONSAPEVOLEZZA DELLE IMPRESE. Le imprese si rendono conto della sfida posta dal cambiamento climatico, ma finora tendono a reagire più a eventuali opportunità che a eventuali costi.
L’indagine dalla BEI sugli investimenti (EIBIS) prende in esame circa 13.000 imprese europee messe a confronto con un altro campione di imprese negli Stati Uniti. Ed è un indagine rappresentativa per settore, paese e dimensioni dell’impresa.
Quando considerano i rischi climatici, le imprese si confrontano con due concetti di rischio. Il primo è il rischio fisico, cioè il rischio di essere colpite da eventi meteorologici estremi o da cambiamenti più graduali del clima e dei modelli meteorologici. Il secondo è il rischio della transizione, cioè il rischio che il processo di decarbonizzazione globale, con i conseguenti cambiamenti nelle normative, nei costi e nella domanda, possa incidere sull’impresa in termini di reputazione, domanda dei propri prodotti, modello di business e valore dei propri attivi. Il 58% delle imprese europee si considera vulnerabile ai rischi fisici, ma meno di un quarto lo vede come il rischio maggiore. Le imprese dell’Europa centrale, orientale e meridionale temono di più l’impatto di eventi climatici estremi. Negli Stati Uniti, invece, quelle che ritengono le loro attività commerciali più esposte alle possibili conseguenze del cambiamento climatico sono un po’ meno (il 52%) e quelle che starebbero affrontando un grosso rischio sono meno del 15%.
Alla domanda relativa all’effetto potenziale della decarbonizzazione sulla richiesta dei loro prodotti e servizi, o sulla loro reputazione, la maggior parte delle aziende, sia nell’UE che negli Stati Uniti, risponde che non avrà alcun impatto. Quando invece lo prevede, l’impatto stimato è per lo più positivo: la transizione climatica è vista anzitutto come un’opportunità.
Figura – Catena di approvvigionamento
EIBIS – Percezione dei rischi della transizione da parte delle imprese europee
Quasi tre imprese europee su cinque (58%) affermano che la transizione energetica non avrà alcun impatto sulle loro catene di approvvigionamento. Circa il 25% prevede invece che avrà effetti negativi. Questa percentuale è più alta negli Stati Uniti (circa il 35%).
La percezione negativa potrebbe essere spiegata dal timore che la transizione energetica aumenti i costi di fornitura (ovvero quelli dell’energia e delle materie prime non energetiche). Se i fornitori dovessero sostenere in effetti costi maggiori a causa delle nuove normative, potrebbero cercare di scaricarli sui consumatori.
Le imprese europee che hanno già investito in misure di mitigazione del cambiamento climatico sono il 45% (ben più del 32% di quelle degli Stati Uniti). Gli investimenti sul clima nell’Unione Europea differiscono tuttavia significativamente tra le varie le regioni. Mentre il 50% delle imprese dell’Europa occidentale e settentrionale investe in misure climatiche, solo il 32% di quelle dell’Europa orientale fa altrettanto. Ancor più pronunciate sono le differenze tra i singoli paesi dell’UE. In Finlandia e in Olanda, due paesi all’avanguardia nel contrasto al cambiamento climatico, le imprese che investono per mitigarlo sono rispettivamente il 62% e il 58%. Altri paesi dell’UE sono in ritardo: solo il 24% delle imprese slovene, il 23% di quelle cipriote, il 19% di quelle irlandesi e il 18% di quelle greche fanno investimenti in questo settore.
La consapevolezza è un fattore importante per motivare gli investimenti. Le imprese che vedono la transizione energetica come un’opportunità tendono a investire di più. Così come quelle che dispongono di personale competente in questo campo o perseguono obiettivi di miglioramento delle condizioni ambientali e di ottimizzazione energetica. Le imprese dei settori ad alta intensità energetica sono anche molto più consapevoli dei rischi della transizione climatica e investono di più. I risultati del Rapporto EIBIS indicano inoltre che gli investimenti sul clima da parte delle imprese vanno di pari passo con gli obiettivi politici nazionali e con un contesto favorevole. I maggiori ostacoli a questi investimenti, secondo le imprese, sono i loro alti costi e l’incertezza della regolamentazione e della tassazione.
I COMUNI CHIEDONO INVESTIMENTI. L’indagine della BEI, condotta durante l’estate del 2020 in 685 comuni dei 27 paesi membri dell’Unione Europea, ha analizzato gli investimenti municipali in determinati tipi di infrastrutture. I risultati mostrano che la grande maggioranza dei comuni ha aumentato i propri investimenti negli ultimi anni. Ciò nonostante la maggior parte di essi (al di fuori dell’Europa occidentale e settentrionale) ritiene che, negli ultimi anni, il livello di investimenti in infrastrutture sia stato troppo basso.
I comuni dell’UE non sembrano in grado di affrontare il cambiamento climatico. Circa il 70% dei comuni esaminati sono privi degli strumenti adatti per affrontare la transizione climatica – come il bilancio verde (che consente il monitoraggio delle principali politiche ambientali, dal settore dei trasporti all’energia, dall’urbanistica ai rifiuti, attraverso indicatori fisici e monetari) la misurazione delle emissioni di co2 e così via.
Esistono ostacoli ben individuabili agli investimenti nei progetti verdi anche in presenza di una grande disponibilità di fondi. Si tratta per lo più di difficoltà dovute alle norme burocratiche o alla mancanza di competenze tecniche. Un altro ostacolo è la mancanza di una chiara classificazione degli investimenti che rende difficile incanalarli in attività ecocompatibili, anche se la tassonomia verde dell’UE per gli investimenti sostenibili e la “Roadmap” della bei per il clima affrontano in qualche modo questa difficoltà.
Un risultato importante dell’indagine è che i comuni più propensi alla collaborazione tendono anche a investire nelle misure di mitigazione dei cambiamenti climatici. Questo suggerisce che la collaborazione può essere uno strumento efficace per la diffusione della conoscenza. Infatti, i comuni che si coordinano a livello locale con i loro pari o con reti di città o comuni con priorità politiche simili (comprese associazioni come il Patto dei Sindaci – iniziativa della Commissione europea – o il “Compact of Mayors” delle Nazioni Unite) hanno anche una maggiore probabilità di attuare azioni per il clima. L’azione concertata dunque è importante, anche se finora il coordinamento tra i comuni non è molto sviluppato. L’indagine della bei ha messo in evidenza che il coordinamento è comunque un più avanzato fra comuni piccoli che grandi, che ritengono di potere agire da soli.
In sintesi, i dati emersi dai sondaggi bei indicano come cittadini, imprese e amministrazioni locali siano consapevoli della necessità di avviare una transizione verde. Gli investimenti sono fondamentali a questo scopo; il raggiungimento degli obiettivi richiederà un piano coordinato che aumenti l’armonizzazione degli incentivi.
La bei concede prestiti per progetti che contribuiscono a realizzare gli obiettivi dell’UE, sia all’interno che al di fuori dell’Europa. Suoi azionisti sono i 27 paesi membri dell’UE. Il 14 novembre 2019 il Consiglio di Amministrazione della bei ha approvato la cosiddetta “New energy lending policy”, che prevede lo stop ai finanziamenti per la produzione di energia con fonti fossili dal gennaio 2022. Entro il 2025 la quota di prestiti conto il cambiamento climatico salirà dal 30 al 50%, ci sarà un completo allineamento agli Accordi di Parigi e, entro il 2030, gli investimenti “green” sostenuti ammonteranno a circa mille miliardi.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 93 di Aspenia