L’avvicendamento al vertice del National Security Council – con la fine dell’incarico del generale H.R. McMaster – era atteso. E si inserisce nel solco di un frenetico ricambio nelle posizioni-chiave dell’amministrazione Trump: il Presidente aveva sbagliato nella scelta dei suoi più stretti collaboratori, o comunque lavorare con molti di loro si è rivelato impossibile, per stile e sostanza.
Ciò che colpisce di più è tuttavia il curriculum dell’ultimo acquisto nella squadra di politica estera e di sicurezza: John Bolton, il nuovo National Security Advisor, è stato tra i maggiori esponenti del filone “Neocon” degli ultimi decenni. E in particolare tra i più strenui sostenitori dell’invasione dell’Iraq di Saddam Hussein nel 2003.
Proprio nel marzo di 15 anni fa partiva l’attacco americano per quello che sarebbe diventato il più massiccio e controverso impegno militare degli Stati Uniti dai tempi del Vietnam. Bolton ebbe un ruolo soprattutto intellettuale, tranne nel periodo (tra 2005 e 2006) in cui ricoprì la carica di Ambasciatore all’ONU per George W. Bush.
Ma lasciò decisamente il segno, argomentando in modo piuttosto esplicito che l’Iraq sarebbe stato un primo passo in un’operazione ben più vasta di riassetto del Medio Oriente, visto che l’obiettivo ultimo era Teheran e il regime iraniano. Ad oggi, non pare aver cambiato idea su questo punto, così come sull’esigenza di un rapido “cambio di regime” in Corea del Nord.
Bolton introduce dunque nel concetto trumpiano di “America first” una forte componente ideologica e interventista che era finora quasi del tutto assente. Spazza via i residui dubbi su un presunto isolazionismo cauto dell’amministrazione Trump, passando a una visione che è palesemente unilateralista – cosa ben diversa.
Il problema aggiuntivo è che la visione neconservatrice alla Bolton è anche “unidimensionale”, puntando tutto sulle minacce di coercizione (commerciale o militare a seconda dei casi, e a volte in combinazione) per ottenere risultati. Finora, sulle maggiori questioni di sicurezza, la squadra male assortita di Trump non aveva in effetti registrato alcun risutato concreto, dall’Iran alla Siria al contenzioso israelo-palestinese – con la Corea del Nord ancora in sospeso. Vedremo se questo nuovo impulso di “unilateralismo unidimensionale” sarà più efficace.
Lascia davvero perplessi ricordare ora il dibattito, vivo fino a pochi mesi fa, su una presidenza Trump che si immaginava (o meglio si sperava) prudente sebbene isolazionista, in cui gli istinti focosi del Comandante in Capo sarebbero stati presto riassorbiti nella tradizione repubblicana di un pragmatico “realismo”. In realtà è prevalsa l’incoerenza, nel turbinio di dichiarazioni, annunci e cambi di rotta che abbiamo visto. John Bolton spingerà in una direzione almeno teoricamente più coerente, e ancora più aggressiva.
Ma neppure il nuovo National Security Advisor riuscirà a mettere ordine in quella confusione istituzionalizzata che resta il vero approccio al governo di Trump, e la sua vera “visione”.