Dentro la Quicken Loans Arena di Cleveland non si è visto l’elettore tipo di Donald Trump. I delegati che sostengono il candidato sono attivisti del partito, militanti duri e puri che partecipano regolarmente alla vita politica delle loro comunità, mentre il messaggio di Trump si è rivolto questa volta alla “maggioranza silenziosa”, una delle varie espressioni che il candidato ha ripreso dall’epopea chiaroscura di Richard Nixon.
Sono gli americani “disaffezionati” e senza scuderia politica il target della sua campagna elettorale. In effetti, già per tutta la stagione delle primarie, Trump ha fatto un vanto di avere allargato la base del Partito Repubblicano. Nel discorso di accettazione della nomination ha fatto un’appassionata apertura alla comunità LGBTG, segno che la sensibilità repubblicana sul tema è cambiata ma anche che Trump sta gettando le reti al di fuori del bacino conservatore.
Uno studio della Rand Corporation pubblicato diversi mesi fa dice che l’86% degli americani che si definiscono “senza voce”, orfani di una classe dirigente che li rappresenti, sono pronti a votarlo alle elezioni di novembre. Alla Convention ha parlato proprio di chi è senza voce, dei “forgotten men and women” che non si sentono rappresentati dalla classe politica. È innanzitutto a loro che si è rivolto quando ha detto “I’m with you”:è un rovesciamento dello slogan “I’m with her”, con cui i simpatizzanti di Hillary Clinton sono chiamati a schierarsi per la candidata Democratica.
Gli analisti hanno provato in molti modi a individuare e isolare le caratteristiche dell’elettorato trumpiano; ne hanno ricavato alcuni punti fermi, e svariate leggende chefioriscono nelle conversazioni a margine della Convention del Grand Old Party, in attesa di essere smentite.
La leggenda più diffusa e persistente è quella secondo cui Trump si rivolge esclusivamente alla classe meno abbiente, gli operai vittime della lunga crisi del settore manifatturiero e che si sentono traditi dalla globalizzazione. In realtà, gli americani che hanno votato Trump alle primarie hanno un reddito medio di 72 mila dollari l’anno, in linea con quello degli elettori che hanno scelto il suo avversario interno Ted Cruz. È un reddito significativamente più alto rispettto a quello dell’elettore medio di Clinton.
Se è vero dunque che il target fondamentale è la classe medio-bassa bianca, questo però non è il solo gruppo a cui il candidato repubblicano si rivolge per mettere insieme una coalizione sociale in grado di impensierire la macchina politica dei Clinton.
Per trovare l’elettore di Trump occorre uscire da Cleveland e andare nei sobborghi a stragrande maggioranza popolati da bianchi. In questi distretti, la crisi industriale è ormai una storia antica, e in qualche modo le comunità si sono reinventate una nuova vita nel settore dei servizi.
Sono cittadine e contee dove ogni Repubblicani e Democratici si contendono la vittoria ogni quattro anni – i comportamenti elettorali sono dunque volatili: Trump sta cercando di conquistare il cuore di una parte di elettorato che storicamente cercava protezione economica sotto l’ombrello del Partito Democratico. Il partito di Clinton infatti, non solo in Ohio ma anche in altri stati della regione, come Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, era il punto di riferimento di una comunità un tempo operaia e sindacalizzata. Oggi, solo uno di questi stati è retto da un governatore Democratico.
Nel decisivo stato dell’Ohio le primarie repubblicane le ha vinte il popolarissimo governatore John Kasich – incarnazione della parte più moderata del partito – e la conquista della nomination da parte di Trump ha gettato nella confusione un elettorato che vede sgretolarsi davanti agli occhi un vecchio sistema politico.
Negli anni Settanta, in questa regione, era stato osservato il fenomeno dei “Reagan Democrat”: una fetta di elettorato per lo più composta da bianchi della rust belt che, pur essendo Democratica per tradizione, era sensibile alla proposta del Partito Repubblicano così come la stava formulando Ronald Reagan. Pochi anni più tardi il voto inatteso di questi “transfughi” ha pesato in maniera decisiva sulla conquista della Casa Bianca da parte di Reagan.
The Donald sta cercando i “Trump Democrat”. Se da una parte cerca di attirarli con promesse di tipo economico (dazi sulle merci per proteggere il mercato interno, diminuzione delle tasse, incentivi ai settori in crisi – innanzitutto l’estrazione di carbone: musica per le orecchie di un elettorato rovinato dal declino industriale e dalle delocalizzazioni), dall’altra sfrutta le paure degli americani legate alla sicurezza. Si tratta di una preoccupazione bipartisan, che gli la cronaca recente ha amplificato, che Trump cavalca quando si presenta come il candidato “law and order”.
L’immigrazione è il tema su cui i due obiettivi strategici per allargare la base elettorale del partito si uniscono; la minaccia economica della manodopera a basso costo si sovrappone ai timori su criminalità, violenza e terrorismo. Una narrazione del genere tocca anche una vena “nativista” e di orgoglio bianco che è minoritaria, ma tuttavia ben presente nella società americana.
La quota di popolazione bianca in America è in diminuzione (nel 2012 il 28 per cento degli elettori non era bianco), il che normalmente viene preso come prova del fatto che nessun candidato può sperare di diventare presidente facendo appello soltanto all’elettorato bianco e inimicandosi le minoranze. Come ha ricordato però Nate Silver, il grande maestro delle predizioni statistiche, dalle carriere dei giocatori di baseball ai numeri elettorali, c’è stata un’elezione in cui i bianchi si sono presentati alle urne in una proporzione decisamente più alta del normale. Era il 1992, e fra i candidati c’era il texano Ross Perot: un altro miliardario che con la sua propaganda riuscì a toccare i tasti a cuii l’America bianca si è dimostrava più sensibile, e a portarla in massa al voto.
Non è un caso che in passato Trump abbia accarezzato l’idea della candidatura nel movimento politico fondato da Perot. Oggi che è diventato il candidato del Partito Repubblicano è in cerca proprio di quegli elettori che nel 1992 uscirono dal loro proverbiale silenzio.