Esistono – guardando alla storia e agli equilibri sul terreno – tre scenari possibili. Il primo è che Kiev accetti una perdita territoriale del 20% circa, in teoria temporanea e non riconosciuta, in cambio di un ombrello NATO sull’Ucraina che resterà indipendente da Mosca. Per la prima volta, uno Zelensky in crescente difficoltà – militare e politica – ha ventilato questa opzione. Sarebbe un esito che ricorda la traiettoria della Germania divisa: solo la Repubblica Federale, naturalmente, entrò nella NATO nel 1955. Cosa che certo non impedì, più di trent’anni dopo, la riunificazione (dentro l’Alleanza Atlantica). Nel caso dell’Ucraina, la difficoltà è che se la NATO fosse sul tavolo, Putin non si siederebbe. Almeno: questo è quello che pensa Donald Trump.
Il secondo scenario è molto più grigio per Kiev: un esito simile alla conclusione della guerra fra Finlandia e Unione Sovietica del 1940. E quindi: perdita territoriale importante per Kiev e semi-neutralità di fatto dell’Ucraina. E’ un esito che piacerebbe a Mosca. Il guaio è che Putin lo userebbe per riorganizzarsi e colpire di nuovo fra qualche anno. Almeno: questo è quanto pensano gli ucraini e buona parte degli europei, specie i più esposti sul fronte orientale (che fra l’altro hanno ormai posizioni rilevanti, in materia di politica estera e difesa, nella nuova Commissione Europea).
Il terzo – un armistizio di tipo coreano – è una via di mezzo. E’ dal 1953 che truppe americane garantiscono la sicurezza della Corea del Sud. Paese che, ancorato economicamente a quelli avanzati e difeso militarmente da Washington, ha avuto poi uno sviluppo importante, per quanto a tratti incerto e oscillante sul piano democratico. L’Ucraina, con le sue risorse, potrà a sua volta decollare. Ammesso che esistano le condizioni interne per farlo (lotta alla corruzione e agli oligarchi), le garanzie di sicurezza per permettere gli investimenti esteri e un qualche tipo di progressivo ancoraggio all’Unione Europea. Fra l’altro, i Trattati europei contengono una clausola di difesa comune: stretta ma meno credibile, naturalmente, di quanto sia l’articolo 5 della NATO.
I pessimisti o forse più semplicemente i realisti – Kuleba incluso – dicono che nessuno di questi scenari è destinato a realizzarsi in tempi brevi. Per la ragione molto semplice che Putin vorrà continuare la guerra, visto che si sente in vantaggio. Per quanto riuscirà a farlo? E’ vero che Mosca ha “tenuto” più di quanto si prevedesse nel 2022, grazie al “cordon sanitaire” offerto da Cina, Iran e dall’arco dei Paesi che non si sono schierati, depotenziando così le sanzioni. Ma l’andamento della guerra in Ucraina ha anche dimostrato tutte le difficoltà di Mosca, che deve ricorrere a soldati nord-coreani, ha subito un numero impressionante di perdite militari ed ha il rublo in caduta libera. In un suo libro recente, il politologo britannico Keir Giles scrive che le percezioni occidentali sulle capacità militari della Russia tendono costantemente a oscillare fra sovra-valutazione e sotto-valutazione del potenziale di Mosca.
E’ in parte vero anche per l’economia, che è diventata nei fatti un’economia di guerra e sembra entrata in una spirale negativa: forte inflazione e brusco deprezzamento della moneta. Nonostante le note capacità di sopportazione dei russi, è difficile pensare, partendo di qui, che Putin possa sostenere ancora a lungo i costi della guerra o tantomeno allargarla verso i Baltici. Se la percezione è questa – la Russia sta bluffando, quando minaccia una escalation – la conclusione è che un cessate il fuoco “alla coreana” possa anche reggere. Ma il punto assolutamente dirimente è quali saranno le garanzie di sicurezza per l’Ucraina.
Cerchiamo di capire cosa pensi Trump, lasciando perdere le sparate elettorali (“metterò fine alla guerra in 24 ore”) o l’ammirazione esplicita per gli autocrati rivali. Da quanto si capisce, Trump ritiene nell’ordine: che Kiev non possa vincere la guerra sul piano militare, che l’America abbia interesse a separare Mosca da Pechino, che parlare di NATO impedisca una trattativa con Putin, e che i costi dell’Ucraina debbano ricadere sull’UE. Non è scritto molto di più in un paper di Keith Kellogg (che Trump ha nominato suo rappresentante speciale per l’Ucraina) per l’America First Policy Institute – un think-tank cui si deve ormai guardare, insieme alla Heritage Foundation. Kellogg sostiene che Washington non intende svendere l’Ucraina alla Russia ma proporrà di congelare la questione NATO e proporrà garanzie militari bilaterali. Quali? E da parte di chi? Su questo punto decisivo, il paper di Kellogg è del tutto evasivo. Se si esclude un ombrello della NATO, e se l’America vuole ridurre i suoi impegni internazionali, Trump solleciterà noi europei. Cosa siamo realmente pronti a fare?
La condizione preliminare è che gli europei non si dividano – fra di loro e rispetto alla Casa Bianca. Sarà difficile: Londra e Parigi stanno discutendo di forze europee per monitorare un eventuale cessate-il-fuoco in Ucraina, ma sono le sole capitali a farlo assieme a Polonia e Baltici. Nella sua prima visita a Kiev, Kaja Kallas – nuovo Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza della UE – ha sostenuto che nulla si può escludere e che convenga mantenere una certa “ambiguità strategica”. Ma le sue prime dichiarazioni, inclusa la promessa a Zelensky che l’UE farà “whatever it takes” per sostenere la resistenza dell’Ucraina, hanno incontrato le riserve esplicite di Repubblica Ceca e Ungheria. E quelle implicite di parecchi Stati membri.
Queste e altre divisioni si riproporranno sul tema decisivo di garanzie militari credibili per Kiev, che seppelliscano lo scoraggiante ricordo del “memorandum” di Budapest del 1994 (le garanzie internazionali date allora, dopo la rinuncia dell’Ucraina alle armi nucleari) e consentano anche l’avvio della ricostruzione economica.
In breve: che l’Europa possa restare coesa rispetto all’evoluzione di una guerra lunga e drammatica alla nostra frontiera orientale, resta tutto da dimostrare. E’ un grave errore di partenza – mentre si discute di una NATO più europea, con meno America. Perché l’esito del conflitto che si combatte in Ucraina determinerà in larga parte anche il futuro della sicurezza continentale.
*Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Repubblica del 4/12/2024