Continua la guerra per la leadership mondiale tra gli Stati Uniti e la Cina, seppure nel bel mezzo di una pandemia. Il terreno di scontro questa volta è l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Donald Trump ha accusato l’OMS di partigianeria e incapacità, per non essere stato in grado di gestire l’epidemia di Covid-19 e per aver esitato prima di dichiarare lo stato di pandemia allo scopo di nascondere le responsabilità della Cina, inoltre opponendosi alle misure americane di chiudere i voli da e verso il paese asiatico.
L’escalation di critiche si è conclusa con la decisione di sospendere i fondi erogati dagli Stati Uniti all’istituzione internazionale per un periodo tra i 60 e i 90 giorni. “Se l’OMS avesse fatto il suo lavoro, inviando esperti medici in Cina per valutare obiettivamente la situazione sul campo” – ha dichiarato Trump – “e ci avesse avvertito della mancanza di trasparenza della Cina, l’epidemia avrebbe potuto essere contenuta alla fonte con pochissimi morti. In questo modo si sarebbero salvate migliaia di vite umane ed evitati danni economici in tutto il mondo” – ha riassunto il presidente americano.
Immediate le reazioni. Il Direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus ha espresso rammarico per la decisione: “Gli USA sono un amico di lunga data e generoso, speriamo che continueranno ad esserlo”. Più dura la reazione del direttore della rivista scientifica inglese The Lancet, Richard Horton: “La decisione di Trump è semplicemente un crimine contro l’umanità. Ogni scienziato, ogni operatore sanitario, ogni cittadino dovrebbe resistere e ribellarsi contro questo sconvolgente tradimento della solidarietà globale”.
Fondata il 22 luglio 1946 e operativa dal 7 aprile 1948 con sede a Ginevra, l’OMS (in inglese World Health Organization, WHO) è una agenzia speciale dell’ONU con il compito di garantire il più alto livello di salute fisico e mentale di tutte le popolazioni. Gli Stati Uniti sono i principali finanziatori dell’agenzia governativa internazionale, nel corso degli anni hanno contribuito a definire gli standard e le missioni da attuare con ingenti investimenti economici. Il budget dell’OMS per il periodo 2018-2019 era di 4421.5 milioni di dollari. Le entrate per il 2018 erano pari a 2744 milioni di cui i contributi dagli Stati membri ammontavano a 501 milioni e i contributi volontari a 2243 milioni.
Il 51% delle donazioni deriva dagli Stati membri (ne fanno parte quasi tutti gli stati del mondo, con l’eccezione di Lichtenstein e Taiwan); in questo contesto, gli Stati Uniti si confermano come il principale contributore al bilancio con 400 milioni di dollari, circa il 15% del budget annuale. Il 13% delle entrate proviene invece dalla filantropia: dopo gli Stati Uniti, al secondo posto dei finanziatori dell’OMS, si colloca la Fondazione Bill & Melinda Gates. Non stupisce quindi la reazione del fondatore di Microsoft che, in qualità di maggior finanziatore dopo gli Stati Uniti, ha dichiarato: “Fermare i fondi durante una crisi sanitaria mondiale è pericoloso. Il loro lavoro sta rallentando la diffusione del Covid-19 e se il loro lavoro si ferma, nessuno potrà sostituirli. Il mondo ha bisogno dell’OMS ora più che mai”.
Tagliare i fondi potrebbe rivelarsi per Trump una mossa strategica sbagliata che lascia uno spazio vuoto nell’istituzione internazionale, facile da occupare per la Cina. E Pechino infatti non ha perso tempo.
A marzo, nel pieno della pandemia, ha annunciato una prima donazione di 20 milioni di dollari all’OMS, seguita ad aprile da una seconda donazione di 30 milioni. Un fiume di soldi in nome della solidarietà globale. Un momento di crisi che la Cina ha trasformato in opportunità per rafforzare la propria immagine e reputazione a livello mondiale e, nello stesso tempo, mitigare le polemiche che la additano come la responsabile della diffusione della pandemia. Una operazione con l’obiettivo di posizionarsi come leader globale in materia di sanità, riproponendo il concetto e la realizzazione di una “Health Silk Road”, una Via della Seta dedicata alla salute. La proposta non è nuova, dato che già in un discorso tenuto nell’agosto del 2017, il direttore generale dell’OMS Ghebreyesus dichiarò: “La proposta del Presidente Xi di una Health Silk Road, che rafforza e rinnova antichi legami tra culture e persone con la salute al centro, è lungimirante”.
Il progetto si configura come una ramificazione della Belt and Road Initiative (il piano economico-infrastrutturale eurasiatico elaborato dalla Cina) con l’obiettivo di garantire la sicurezza sanitaria di miliardi di persone. Secondo il modello ideato da Pechino, la struttura è costituita da un hub con la Cina al centro che mantiene molteplici relazioni bilaterali con i capi di governo in Europa, America Latina e Africa. Inoltre le rotte commerciali, previste per la BRI, saranno utilizzate anche per il trasporto di medicine e dispositivi medici.
Senza troppo clamore ed annunci, la Cina ha fatto una sorta di prova generale della “Health Silk Road” durante la pandemia inviando aiuti sanitari in tutto il mondo e sottolineando gli sforzi di cooperazione internazionale. Il ministro degli Esteri cinese ha dichiarato di aver inviato mascherine e forniture mediche per sconfiggere il coronavirus in 120 paesi nel mondo: dall’Italia alla Malesia, dalla Grecia all’Iran. Anche le principali aziende tech cinesi, coinvolte nella Belt and Road Initiative, hanno dato il loro contributo. Huawei ha donato milioni di mascherine a paesi europei come Spagna, Repubblica Ceca, Italia e Polonia. La Jack Ma Foundation, charity del gigante dell’e-commerce Alibaba, ha inviato milioni di mascherine e di kit per effettuare i test.
La pandemia è stata l’occasione per Xi Jinping per parlare della “Health Silk Road” con diversi capi di stato e di governo europei tra cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ed il Presidente francese Emmanuel Macron. In un momento di disorientamento per l’Occidente, senza la leadership degli Stati Uniti e date le difficoltà dell’Unione Europea, il vuoto creato è stato colmato dalla Cina che è “corsa in aiuto dei paesi in difficoltà”, o almeno questa è l’impressione che Pechino vuole dare al mondo.
La conseguenza è una spaccatura nell’opinione pubblica. Molti considerano sì la Cina responsabile della propagazione dell’epidemia, ma altri riconoscono comunque il valore degli aiuti cinesi ai sistemi sanitari del resto del mondo.
Intanto aumentano le tensioni tra Stati Uniti e Cina a seguito del duro attacco del Segretario di Stato americano Mike Pompeo che parla di “prove significative che il virus sia nato nel laboratorio di Wuhan”, una dichiarazione basata su un dossier segreto di 15 pagine che sarebbe stato redatto dalla rete di intelligence anglofona “Five Eyes” (di cui fanno parte Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti). La tesi è stata però già smentita da un funzionario della stessa rete di intelligence, rimasto anonimo, secondo il quale non esistono conferme che la diffusione del coronavirus sia partita da un laboratorio di ricerca cinese. Anche l’OMS si schiera contro gli USA parlando di mancanza di evidenze scientifiche e che, al contrario, le 15.000 sequenze genetiche analizzate confermano che il virus sia di origine animale.
Pompeo ha anche sollecitato il direttore generale Ghebreyesus ad invitare Taiwan all’incontro annuale della World Health Assembly (WHA), organo legislativo dell’OMS, che si terrà online il 18 e il 19 maggio. Taiwan viene considerata un modello per il contenimento dell’epidemia ma è anche un tasto dolente per la politica estera della Cina che non ne riconosce la sovranità. Proprio la Cina nel 2017 ne ha chiesto l’esclusione dall’OMS dopo che aveva partecipato dal 2009 al 2016 agli incontri come osservatore con l’appellativo di “Taipei Cinese”.
Il conflitto geopolitico tra Washington e Pechino, insomma, ha trovato un nuovo campo su cui dispiegarsi.