Sanders versus Biden, due visioni dell’America

Il confronto televisivo del 16 marzo tra i due candidati rimasti in corsa per la nomination democratica delle presidenziali di novembre, Joe Biden e Bernie Sanders, può dirci molto di come evolve la politica americana.

Tanto per cominciare, il faccia a faccia si è tenuto in uno studio insolitamente silenzioso, senza il pubblico della CNN, a causa delle regole di isolamento anti-contagio. Ma l’incontro Sanders-Biden, la coppia a cui si sono ridotte le affollatissime primarie Democratiche, hanno anche evidenziato un altro elemento importante. Dopo dodici anni in cui le figure di spicco del campo democratico sono state prima un presidente nero (Barack Obama) e poi una candidata donna (Hillary Clinton), si torna oggi al classico schema del candidato maschio bianco – schema che il Partito Repubblicano non ha mai abbandonato.

Joe Biden e Bernie Sanders si salutano con il gomito prima del faccia a faccia

 

Pensare che solo fino a poche settimane fa, le primarie democratiche sembravano le più aperte, variegate e contendibili di sempre. I candidati venivano da estrazioni sociali, culturali ed etniche molto differenti, quasi a testimoniare, in maniera spontanea anche in campo politico, quello che prevede la legge americana dell’Affirmative Action in molti campi lavorativi, ossia l’azione positiva di promuovere l’ingresso di persone appartenenti alle minoranze nel mondo del lavoro.

Se proprio vogliamo vedere una diversità con il passato è la permanenza della candidatura del socialista Bernie Sanders, che da 4 anni spaventa l‘establishment del Partito Democratico e mezza America.

Tuttavia, l’impressione che si è avuta durante il faccia a faccia è stata quella di un ritorno agli schemi tradizionali, che per diverso tempo erano stati accantonati. Dopo un saluto iniziale, senza la classica stretta di mano, ma gomito a gomito – d’altronde i due candidati hanno rispettivamente 77 e 78 anni, dunque ricadono nella fascia di età più a rischio – tra i due sfidanti si è sviluppato un confronto abbastanza pacato e senza nessun colpo basso o attacco personale, diversamente da tutti gli altri confronti delle primarie fin qui disputati.

Ovviamente il cuore della discussione è stata la pandemia, che dopo Cina ed Europa, è entrata prepotentemente nel dibattito pubblico anche negli Stati Uniti. Ma mentre Donald Trump ha inizialmente trattato l’argomento con sufficienza, per poi fare marcia indietro, dichiarando l’emergenza nazionale ed etichettando il Covid-19 con il nome di Chinese Virus, così da giocare in maniera propagandistica anche su questo, in campo democratico il coronavirus ha acceso la discussione sul sistema sanitario americano.

Bernie Sanders ha portato avanti il suo cavallo di battaglia del Medicare for all perché “when you have a sick you have a doctor“. L’assistenza sanitaria universale è uno dei capisaldi del senatore del Vermont, e quale migliore occasione per ribadirne l’utilità? Non sembra però che la base Democratica, che magari sul principio è anche d’accordo, sia disposta a concedere a Sanders la possibilità di vincere le primarie. Cosa ben diversa invece è successa tra gli americani all’estero che hanno terminato di votare proprio in questi giorni per corrispondenza. Infatti, le primarie dei Democrats Abroad hanno sancito una netta vittoria di Sanders con il 58 %. Del resto, soprattutto in Europa le punte di consenso per il senatore del Vermont sono state molto elevate, forse anche in ragione del fatto che le riforme proposte da quest’ultimo (sanità e università pubbliche in primis) si avvicinano ai sistemi di stampo europeo, che gli americani che ci vivono possono toccare con mano.

Joe Biden invece è contrario alla proposta universale di Sanders. Citando il caso italiano, ha sottolineato come un sistema sanitario pubblico comunque non abbia certo bloccato lo sviluppo del contagio. Per lui invece la strada da seguire è quella di un ripristino totale dell’Obamacare, indebolito dai tagli di Trump, e poi di un suo potenziamento – stanziando per il caso specifico di questa pandemia delle risorse straordinarie.

Sarà un tema decisivo, visto che negli Stati Uniti si è passati in poche settimane dal sottovalutare il problema, addirittura ignorandolo con la posizione di Trump iniziale, al varare un piano bipartisan di 2 mila miliardi di dollari. Tra le misure di impatto immediato di questo massiccio intervento statale, c’è un assegno di 1200 dollari per tutti i contribuenti con reddito fino a 75 mila dollari, più 500 euro per bambino per tutto il periodo della crisi. Nel pacchetto di aiuti inoltre viene prevista una copertura assicurativa di garanzia del reddito per quattro mesi in caso di perdita del lavoro a causa del coronavirus.

Ma sul piano sanitario anche negli Stati Uniti il contagio è esploso, tanto che gli USA hanno ormai il più alto numeri di casi al mondo, avendo superato Italia e Cina in pochissimi giorni. Molti Stati, tra cui New York – ormi epicentro dell’epidemia americana insieme a Washington e la California – hanno deciso il lockdown totale, bloccando qualsiasi attività non essenziale, sull’esempio italiano.

Ma non di solo Covid-19 è vissuto il confronto. Joe Biden ha annunciato che sceglierà una donna come Vicepresidente. Le papabili per questo ruolo sembrano le tre candidate ritirate, Elizabeth Warren, Kamala Harris, Amy Klobuchar. Gli apprezzamenti di Biden per la riforma della Warren sulla bancarotta potrebbero indicare una scelta che permetterebbe anche di recuperare simpatie nell’ala progressista del partito. Quattro anni fa, Hillary Clinton scelse un candidato Vicepresidente appartenente alla sua stessa area moderata (il Senatore Tim Kaine), nonostante il grande seguito ottenuto da Sanders anche in quella occasione alle primarie, e pagò in termini elettorali. La mano tesa di Biden verso la sinistra del partito si è vista anche con le aperture sulla riforma dei college americani, verso una ridefinizione delle rette e del debito studentesco in un senso più accessibile e universale. L’unico attacco diretto a Sanders è stato sulle posizioni che questi ha tenuto in passato sul controllo delle armi, e sull’appoggio ideologico dato ai governi sudamericani di estrema sinistra (cosa che Sanders non ha mai rinnegato).

E’ stato però Sanders ad attaccare più duramente l’ex Vicepresidente di Barack Obama. Rinfacciandogli tre cose in particolare: il sostegno iniziale alla guerra in Iraq, la proposta di tagliare il Social Security e il voto per una legge che definisce come matrimonio solo quello tra uomo e donna. Biden ha provato a difendersi, ma ad un certo punto esasperato ha esclamato: “give me a break, Bernie”. A quel punto Sanders ha risposto che lo lascerà in pace solo quando i “Super PAC” (organizzazioni di raccolta fondi, promossi dalle lobby) di Biden smetteranno di attaccarlo con la propaganda di queste settimane, che lo descrive come un pericolo socialista che vuole sovietizzare l’America.

Di sicuro il faccia a faccia è stato vinto da Sanders, ma ciò non gli ha evitato la sconfitta in Florida, Arizona ed Illinois nelle tre primarie che si sono tenute il 17 marzo. Salvo sorprese, la corsa alla nomination appare di fatto indirizzata ad incoronare Joe Biden come vincitore quasi inevitabile.

A questo punto quello che preoccupa di più sono gli scenari di una campagna elettorale fortemente condizionata dal Coronavirus, visto anche il rinvio di diverse primarie in queste settimane. I Democratici dovranno fronteggiare non solo il Presidente uscente come avversario, ma anche la narrazione sulla pandemia e sulla sua gestione. Una novità che non sarà affatto facile maneggiare, per nessuno dei protagonisti in campo.

 

 

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