Scrisse Niccolò Machiavelli che i tedeschi sono ricchi perché “vivono come poveri”. Un’analisi che, 500 anni dopo, apre ancora prospettive valide. Negli ultimi anni la Germania si è affermata come il paese più resiliente alla crisi dell’Eurozona. Ma mentre la crescita economica tedesca continua a superare se stessa, la povertà tra i tedeschi non è scomparsa. Per anni il tema della povertà in Germania ha fatto parte del dibattito sul funzionamento tecnico del grande e capillare sistema di welfare. Negli ultimi tempi, però, la questione è diventata direttamente politica. Alcuni degli strati sociali più deboli, infatti, sono andati a costituire una delle basi dell’elettorato di Alternative für Deutschland (AfD), la nuova destra populista tedesca.
Secondo i dati per l’anno 2017, il 15,7% dei tedeschi è povero o a rischio di povertà. Si tratta di 12,9 milioni di persone. L’affidabilità della percentuale, tuttavia, è oggetto di discussioni e polemiche. Per definire la quota di povertà in Germania vengono di solito contati i cittadini e le famiglie il cui reddito sia inferiore al 60% della media. Molti analisti, però, fanno notare che il reddito medio nazionale non possa essere un riferimento perfetto per individuare concretamente l’indigenza. La contestazione è pertinente e la differenza tra povertà relativa e assoluta andrebbe chiarita meglio.
Detto questo, oggi in Germania ci sono 5,9 milioni di persone che percepiscono il cosiddetto Hartz IV, vale a dire il sussidio che garantisce la sussistenza di base. Si tratta di circa il 7% della popolazione: 4,5 milioni sono cittadini tedeschi e 1,4 milioni sono cittadini stranieri residenti in Germania o richiedenti asilo. Visti i rigidi requisiti necessari per ricevere il sussidio è innegabile che buona parte di queste persone, in cui rientrano anche i figli dei disoccupati, vivano al limite della soglia della povertà. Questo vale soprattutto per quei 2,6 milioni di cittadini che ricevono il sussidio da un periodo di tempo prolungato e sono, di fatto, esclusi dal mercato del lavoro.
La riforma Hartz (dal nome del manager della Volkswagen Peter Hartz, che il Cancelliere Schröder mise a capo di una commissione ad hoc) è parte dell’epocale ristrutturazione del welfare tedesco, quell’Agenda 2010 con cui nei primi anni 2000 la Germania è passata da “malato” a “locomotiva” d’Europa. La scelta tedesca è stata di puntare a produttività e occupazione, riducendo al tempo stesso la crescita dei salari e smantellando parzialmente lo stato sociale della vecchia Germania Ovest. La cura di inizio millennio ha funzionato, l’occupazione è aumentata e la crescita economica non sembra fermarsi (anche grazie a un surplus commerciale sopra i parametri europei).
Al di là delle garanzie di base del welfare, però, la distribuzione delle ricchezze nel paese non sembra aver beneficiato della crescita. Uno studio BCE del dicembre 2016 ha confermato che la ricchezza privata dei tedeschi non è solo più bassa di quella di italiani e francesi, ma è anche una delle meno distribuite d’Europa. Il 10% della popolazione possiede gran parte del capitale privato, mentre il 40% dei tedeschi possiede meno dell’1% della ricchezza privata dell’intero paese. Con un 7% di persone che vivono di sussidi e un 40% che non possiedono quasi niente, la quantità di tedeschi che dipendono o potrebbero in maniera rapida finire per dipendere dallo Stato è molto alta. Il meccanismo ha profonde conseguenze politiche: la macchina statale è un attore economico centrale e il relativo potere politico è determinante.
Si è soliti dire che la riunificazione della Germania sia avvenuta solo parzialmente. I Bundesländer della ex-DDR continuano ad avere problemi strutturali e compaiono spesso nelle prime posizioni delle classifiche della povertà definita in base al reddito. Anche in questo caso, però, i dati vanno letti con attenzione, inserendo ad esempio una variabile fondamentale come il costo della vita. In questo senso sono più indicative le statistiche sulla povertà calcolata in rapporto al potere d’acquisto.
Da questa prospettiva emerge una divisione est-ovest meno netta e più eterogenea. Anche nella parte occidentale del paese, ad esempio in alcune aree della Ruhr, l’uscita di scena di specifiche realtà industriali ha causato un drammatico abbassamento del potere d’acquisto.
A questo scenario si aggiungono alcune grandi città, come nel caso della città-stato Brema, in cui il tasso di povertà è sorprendentemente alto. All’interno dei grandi centri urbani tedeschi si possono spesso osservare due diverse realtà di disagio economico-sociale: da una parte alcune comunità immigrate e, dall’altra, quello che può essere definito un proletariato bianco tedesco.
Le aree di povertà più ampie dal punto di vista geografico rimangono comunque nella Germania orientale, a partire dagli stati federali Sachsen-Anhalt e Mecklenburg Vorpommern. I due Länder sono quelli che, nelle elezioni locali del 2016, hanno visto la più vasta e clamorosa affermazione della nuova destra populista: rispettivamente il 24,3 % e il 20,8% dei voti.
Dopo il voto, molti osservatori hanno sottolineato come AfD non venga unicamente votata dal ceto meno abbiente. Le analisi sono corrette e dimostrano come il discorso identitario abbia una diffusione davvero trasversale nella società tedesca. Resta il fatto che è tra operai e disoccupati che AfD si è spesso rivelata essere il primo partito. Pur presentando un programma sociale molto vago e ambiguo, la formazione più “populista” del panorama nazionale è riuscita a presentarsi come una forza anti-establishment, impostando una narrazione di riscossa sociale su base etnica e nazionalista.
Un esempio concreto è certamente la città di Berlino, che racchiude in sé due degli ambienti principali in cui si sviluppa la povertà in Germania: la periferia metropolitana e territori che appartenevano alla DDR. Lo scorso settembre AfD ha raccolto un sorprendente 14,2% nelle elezioni locali della capitale. Le roccaforti della destra populista si sono rivelate essere le periferie della vecchia Berlino Est. AfD è spesso riuscita a essere il primo partito nei seggi dei quartieri Pankow e Marzahn-Hellersdorf, pur rimanendo isolata nel successivo gioco di alleanze. Ancora più significativi sono stati i risultati a Marzahn Nord, l’area più periferica della stessa periferia, dove il 36,5% degli abitanti tra 0 e 65 anni vive con il sussidio Hartz IV. A Marzahn Nord AfD ha sfondato il muro del 30%, raggiungendo il 35% in alcuni seggi.
L’affermazione dei populisti tedeschi nel 2016 è stata spinta dal loro chiaro posizionamento contro la Willkommenspolitik, la politica di accoglienza del Governo Merkel in occasione dei grandi flussi migratori dell’ultimo biennio. Se per la maggioranza dei tedeschi ostili all’immigrazione i temi cruciali restano la sicurezza e l’integrazione, tra gli strati sociali più deboli c’è anche la preoccupazione per la competizione nell’accesso ai lavori meno remunerati e al welfare.
Per anni il partito tedesco che più ha espresso il dissenso sociale è stata la Linke, formazione di sinistra che riunisce le istanze nostalgiche dell’ex DDR e il socialismo di sinistra di tradizione eurocomunista. La proposta della Linke punta a unire le rivendicazioni socio-politiche dei ceti meno abbienti tedeschi e delle comunità immigrate in Germania. La linea etnica tracciata dal populismo nella critica all’establishment ha però sottratto consenso alla sinistra radicale, approfittando anche di diverse contraddizioni della stessa sinistra sui temi della difesa della laicità e delle dinamiche culturali dell’integrazione. Non è un caso che AfD abbia individuato nel proprio manifesto strategico due competitor diretti: la CDU per quanto riguarda la cultura nazional-conservatrice e la Linke per quanto concerne la protesta sociale.
Alle prossime elezioni nazionali del 24 settembre, tuttavia, il successo di AfD non sembra destinato a replicarsi con la stessa intensità delle elezioni locali del 2016. I motivi sono diversi, a partire dall’evidente lacerazione interna allo stesso partito populista, sempre più spaccato tra un’ala nazional-liberale e una legata ai vecchi fantasmi della destra estrema. Il moderarsi dell’emergenza profughi, inoltre, ha sottratto ad AfD molte delle sue possibilità retoriche, mentre la stessa Angela Merkel ha saputo sapientemente riallinearsi con le esigenze del paese in tema di accoglienza e immigrazione, riavvicinandosi così anche al ceto medio più o meno impoverito.
Prevedere come si orienteranno gli strati sociali più deboli alle prossime elezioni è quindi difficile. Una parte continuerà a sostenere AfD, così come un’altra sceglierà ancora (o di nuovo) la proposta della Linke. Anche la SPD sembra capace di riappropriarsi di alcune istanze sociali. Il candidato socialdemocratico Martin Schulz è dato per spacciato nel confronto con la Cancelliera, ma è intanto arrivato a promettere un’improbabile revisione della stessa Agenda 2010.
Allo stato attuale delle cose, è anche probabile che molti tra i tedeschi più poveri sceglieranno uno dei più diffusi voti di protesta: quello per il partito degli astenuti.