Putin e il dilemma nucleare

 La Russia è messa assai male in Ucraina. Spera nel “generale inverno”, che congelerà il fronte di guerra; ma per ora, sotto la contro-offensiva di Kyiv, le forze russe sono costrette a ritirarsi da territori che sono stati appena annessi con finti referendum. Le difficoltà militari sono tali da mettere seriamente nei pasticci Vladimir Putin: il fronte interno scricchiola, con pressioni crescenti degli ultra-nazionalisti che chiedono le dimissioni di Sergej Shojgu, il Ministro della Difesa, e al tempo stesso invitano lo Zar del Cremlino a una escalation nucleare.

E’ uno scenario – l’uso di armi nucleari tattiche in Ucraina – che va preso sul serio, avverte il Pentagono. Ma che presenta anche per Mosca più rischi che benefici, per tre ragioni che cercherò di illustrare.

La Russia ha il più grande arsenale di armi nucleari tattiche al mondo

 

Prima ragione. Gli esperti concordano che l’utilizzo di bombe nucleari di piccole dimensioni avrebbe effetti militari ridotti rispetto ai costi politici, per Putin, di superare una vera e propria soglia psicologica. Le armi nucleari tattiche sono difficili da usare e ancora più difficili da controllare. Questo significa che possono anche funzionare come strumento di intimidazione – e in effetti Putin ha già usato più volte la minaccia nucleare dal 2014 in poi; ma come armi sul campo di battaglia pongono più problemi di quanti ne risolvano. E’ la conclusione a cui sono giunti gli Stati Uniti, che avevano teorizzato per primi (Henry Kissinger nel 1957) la necessità di riflettere sull’uso “war-fighting” di armi nucleari tattiche per compensare la inferiorità convenzionale occidentale (rispetto all’Urss) dei primi decenni di guerra fredda.

Negli anni ’70, la NATO aveva 7.400 armi nucleari tattiche, 4 volte quelle attuali della Russia. Oggi ne sono rimaste in Europa un centinaio circa, mentre la Russia ne ha ancora 2.000. Questo scarto dipende dal fatto che le forze armate americane hanno da tempo concluso che gli stessi risultati si possono ottenere con maggiore precisione ed efficacia senza varcare la soglia nucleare e innescare così una pericolosa escalation. In sostanza, la superiorità tecnologica americana fa la differenza – come si vede sul terreno in Ucraina, con l’impatto degli aiuti militari occidentali. L’utilizzo di armi nucleari sarebbe quindi un gesto disperato da parte di Mosca, a plateale conferma delle proprie difficoltà militari in campo convenzionale.

 

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Seconda ragione: se superasse la soglia psicologica dell’uso di armi nucleari, la Russia diventerebbe a tutti gli effetti un pariah internazionale. Perderebbe molto probabilmente anche l’appoggio già limitato del suo principale partner di oggi, la Cina, unica grande potenza nucleare ad attenersi a una strategia dichiarata di “non primo uso” di armi atomiche. E si alienerebbe qualunque simpatia da parte dei paesi neutrali o ambivalenti rispetto al conflitto in Ucraina, a cominciare dall’India. La Russia di Putin diventerebbe insomma una sorta di “rogue state”, non molto distante da una Corea del Nord che, per affermare il proprio status in Asia, lancia missili balistici nel Mar del Giappone e prepara un nuovo test nucleare.

Terza ragione: esistono vari scenari possibili di utilizzo di armi nucleari tattiche in Ucraina ma tutti hanno contro-indicazioni per la Russia. Per fare un esempio, una esplosione dimostrativa nel Mar Nero confermerebbe che Mosca può usare armi tattiche, come prevede la sua strategia militare, ma esita a farlo. In altri termini, è una lama a doppio taglio (come rispose Harry Truman ai generali che proponevano una detonazione solo dimostrativa nell’agosto del 1945). Piccole esplosioni contro le forze armate ucraine (disperse in agili unità) non sarebbero risolutive per l’andamento della guerra, mentre farebbero morti anche fra i soldati russi. Va aggiunto che un esercito come quello russo, che si è dimostrato profondamente disorganizzato, potrebbe non avere il pieno controllo dei lanciatori e delle armi stesse. Un attacco nucleare su più vasta scala renderebbe inabitabili chilometri quadrati di territorio che Mosca rivendica come proprio. Le radiazioni, a seconda della potenza dell’arma usata e dell’effetto del vento, colpirebbero (il precedente è Chernobyl) anche parti della Russia stessa e i paesi europei più vicini ai confini. Il coinvolgimento diretto della NATO diventerebbe inevitabile.

Come si è visto, è l’incapacità di vincere con strumenti convenzionali che sta spingendo Putin a minacciare l’escalation nucleare. Che la minaccia sia credibile o no, va comunque considerata seriamente perché siamo in una tipica situazione di probabilità molto bassa ed effetti potenziali molto alti. E’ quindi indispensabile rispondere con una dissuasione credibile: sperare che Putin agisca in modo razionale non basta più. Esistono i segnali, ufficiali e non, che USA e NATO stanno già inviando a Mosca: una certa ambiguità sulla reazione occidentale fa parte della logica della deterrenza, ma il concetto di fondo è stato già comunicato, ossia che la risposta sarebbe devastante per le forze armate russe. In altre parole, si scatenerebbe una rappresaglia (convenzionale) che degraderebbe le capacità delle forze armate russe.

 

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E’ immaginabile ad esempio che la flotta russa nel Mar Nero avrebbe vita brevissima, cosa che porterebbe probabilmente alla perdita della Crimea, annessa illegalmente nel 2014. Se l’obiettivo di un Putin privo di scrupoli è di compensare le difficoltà convenzionali sul terreno, è una scommessa a perdere. Se l’idea è di fiaccare la resistenza ucraina, terrorizzandola, Mosca dimostra di non avere capito affatto la psicologia del suo avversario. Se la tesi è che la minaccia nucleare spaccherà la NATO, la dissuasione più forte che possiamo esercitare è dimostrare che questo non sta avvenendo e non avverrà.

Il paradosso, in questa spirale, è che la Russia di Putin sta praticamente minacciando l’Occidente, sì: ma lo sta minacciando di suicidarsi.

 

 


*Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Repubblica del 7 ottobre 2022.

 

 

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