Perché Vladimir Putin ha deciso di ritirare la “maggior parte” delle forze militari russe dalla Siria? Mosca continuerà a mantenere capacità operative per proteggere la sua base aerea nei pressi di Latakia e la sua base navale nel porto di Tartus, e i bombardamenti mirati (stavolta davvero contro ISIS, a quanto sembra) non sono cessati. Ma Putin ritiene che gli obiettivi fissati sei mesi fa, con l’intervento in Siria, siano stati “nel loro complesso raggiunti”.
Il messaggio principale è all’Iran e ad Assad: dal punto di vista della Russia, che ha evitato la sconfitta di Assad, è arrivato effettivamente il momento di negoziare una transizione politica.
Secondo una prima scuola di pensiero, la Russia non aveva alternative, essenzialmente per ragioni economiche. La crisi è evidente, come risultato del crollo del prezzo del petrolio e delle sanzioni (il rublo ha perso il 50% del suo valore verso il dollaro negli ultimi due anni). E Mosca ha già dovuto annunciare riduzioni importanti del bilancio della difesa. In sostanza: una guerra protratta in Siria sarebbe stata in ogni caso troppo costosa per Mosca. A Putin conviene negoziare oggi, da posizioni ancora favorevoli.
Ma esistono anche – questa la seconda scuola di pensiero – motivazioni strategiche. Decidendo di ripiegare, Putin (che è “tutt’altro che stupido”, secondo la definizione datane da Obama nella lunga intervista a The Atlantic) è in condizioni di sedersi a un tavolo negoziale che non potrà certo più ignorare né gli interessi russi né il recupero di posizioni ottenuto da Assad. Il disimpegno di Mosca da una discussa operazione militare e da bombardamenti aerei che hanno colpito opposizione e popolazione civile siriane, rilegittima la Russia come partner negoziale degli Stati Uniti; riduce i rischi di confronto con la Turchia; e segnala all’Arabia Saudita, rivale energetico per eccellenza di Mosca, che Putin guarda a un possibile compromesso.
Si vedrà nel prossimo futuro se il quadro di Ginevra avrà, su queste basi, qualche chance in più di reggere. La realtà è che senza un accordo fra le potenze regionali e i loro alleati sul terreno, il conflitto andrà avanti. Ma intanto sfuma, con la decisione real-politica di Mosca, l’idea che ciò che resta della Siria possa essere la prova generale di una “guerra mondiale”, per quanto combattuta a pezzi.