Perché la leadership deve essere collaborativa

Nell’epoca in cui viviamo, l’innovazione tecnologica non è entrata solo nelle grandi industrie. Esistono ormai applicazioni per ogni necessità quotidiana: ad esempio confrontare i prezzi sul mercato attraverso una rapidissima scansione del prodotto con il proprio smartphone presso un rivenditore, e poi comprarlo su Internet ad un prezzo inferiore. Non ci resta dunque che immaginare uno scenario sempre più realistico in cui robot intelligenti aiuteranno le imprese ad essere più efficienti. Ma gli umani resteranno un fattore decisivo, se punteranno su immaginazione, creatività, intuito per andare lì dove l’intelligenza artificiale non può arrivare.

Come sottolinea Jeremy Rifkin nel suo libro del 2014, “Nell’era che si sta affacciando, impegnarsi a fondo nel Commons collaborativo assumerà la stessa importanza che nell’economia di mercato ha avuto lavorare duramente e l’accumulazione di capitale sociale diventerà preziosa quanto lo è stata l’accumulazione del capitale di mercato. A definire il grado di realizzazione esistenziale degli individui saranno l’attaccamento alla comunità e la ricerca di trascendenza e significato e non la ricchezza materiale. I ragazzi della generazione di Internet concepiscono se stessi più come giocatori che come  lavoratori, considerano le proprie qualità personali più doti che competenze, e preferiscono esprimere la loro creatività in un social network anziché lavorando in postazioni d’ufficio o svolgendo attività autonome in un contesto di mercato. L’internet delle cose libererà gli essere umani dall’economia di mercato per orientarli alla ricerca di interessi comuni e immateriali nel Commons collaborativo

Sarà dunque l’unione di più persone a realizzare i cambiamenti che servono e non lo sforzo dei singoli. Ma di quali persone, e di quali skill, abbiamo bisogno per gestire questo percorso di trasformazione?

Oggi, per essere competitive le aziende devono essere collaborative; i leader collaborativi devono assumere la funzione di facilitatori, più che quella di capi autoritari.

Il futuro è di chi saprà adottare uno stile di leadership diffusa, dove il singolo capo fa tesoro delle esperienze altrui e condivide con i colleghi responsabilità ed esperienze. «Guardiamoci attorno: le aziende sono sempre più fluide e meno strutturate gerarchicamente», conferma Alessio Tanganelli, Regional Director del Top Employers Institute per Italia, Spagna e Brasile. «E la loro cultura è ormai cambiata: oggi c’è una nuova visione globale della leadership aziendale, molto più aperta e collaborativa, proiettata al di fuori degli ambiti tradizionali e con riflessi anche sui risultati di business».

Empatia, consapevolezza dell’organizzazione, una visione creativa, uno sviluppo delle potenzialità altrui, la diffusione della conoscenza e l’utilizzo di social network sono solo alcune delle qualità che un leader collaborativo deve possedere. Senza la giusta leadership, la collaborazione può perdersi per strada: i social media e altre tecnologie permettono connessioni ovunque e in ogni momento: la connettività è parte integrante della collaborazione, ma senza una guida che abbia abbandonato il concetto di “comando e controllo” si avranno difficoltà nell’adattarsi alle nuove realtà.

Per essere un leader collaborativo, bisogna saper mettere in contatto le persone e le idee esterne all’organizzazione con quelle presenti al suo interno, facendo leva su talenti diversi. Porsi come modello di comportamento collaborativo ai vertici richiede in effetto un pugno saldo nel mantenere i team di lavoro concentrati sulla discussione che migliorerà il prodotto o il servizio. Si deve insomma incoraggiare attivamente una cultura collaborativa.

Sappiamo che le aziende che si stanno muovendo in direzione di un “digital workplace” stanno aumentando; sebbene questo approccio venga considerato strategico, in realtà solo il 25% delle organizzazioni lo sta attuando seriamente. La conoscenza delle nuove modalità di lavoro è ancora scarsa e questo non consente l’ottenimento dei benefici sperati o potenziali. La sfida è dunque quella di avere una leadership capace di integrare il più possibile le nuove metodologie all’interno dei processi aziendali. Orari flessibili, una migliore e più efficace comunicazione e collaborazione in azienda (anche grazie all’utilizzo di device digitali), maggiore libertà e più responsabilità ai lavoratori nel raggiungere gli obiettivi: questi sono alcuni dei cambiamenti che deve adottare un’azienda se vuole restare competitiva.

Molti studi indicano la strada. Secondo Michael Porter (nel suo “Il vantaggio competitivo” dell’ormai lontano 1985), la creazione di valore condiviso dovrebbe prevalere nel guidare gli investimenti effettuati dalle aziende presso le comunità in cui operano.

Nel libro “La saggezza della folla”, James Surowiecki tratta la cooperazione come opportunità anche per arrivare alla vera conoscenza. “I gruppi possono essere intelligenti solo se esiste un equilibrio tra le informazioni condivise da tutti e quelle in possesso dei suoi singoli membri”. (…) “Paradossalmente, l’aggregazione – che potrebbe essere vista come una forma anomala di centralizzazione – è fondamentale per il successo del decentramento”.

Ci stiamo dunque dirigendo verso una leadership del mondo globale che deve avere una matrice collaborativa, per cogliere appieno le opportunità sia dall’interno che dall’esterno: tradotto nel linguaggio aziendale, ciò significa ricercare le opportunità presso i collaboratori, i fornitori, i clienti. È finita l’azienda gerarchica, burocratica e funzionale, come tanti guru delle scienze organizzative ci ripetono ormai da anni.

Alcune delle skill necessarie per creare aziende diverse e migliori sono capacità di ascolto, empatia, intelligenza emozionale – tutte caratteristiche che, peraltro, sono presenti con alta concentrazione soprattutto nel mondo femminile. Si tratta di risorse personali e professionali che diventeranno ancora più strategiche nella leadership del futuro.

 

 

 

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