Pedro Sánchez, fautore del nuovo protagonismo della Spagna in Europa

Dopo un decennio sottotono, durante i quali i capi del governo José Luis Rodríguez Zapatero, socialista, e Mariano Rajoy, popolare, si sono dedicati quasi esclusivamente alla politica interna per affrontare la crisi finanziaria e l’indipendentismo catalano, durante l’ultima legislatura europea Pedro Sánchez è riuscito a restituire alla Spagna un certo protagonismo all’interno dell’Unione Europea.

Pedro Sánchez al parlamento europeo nel dicembre 2023

 

Complice una (solo apparentemente) improbabile intesa con la conservatrice Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, e una padronanza dell’inglese e delle questioni europee ben superiori a quelle dei predecessori, Sánchez si è intestato numerose vittorie politiche e legislative. È anche riuscito a favorire l’ascesa alle istituzioni di una piccola, ma significativa, delegazione spagnola: Josep Borrell ad Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, José Manuel Campa come Presidente dell’Autorità bancaria europea e Nadia Calviño, nuova Presidente della Banca europea degli investimenti. Una traiettoria positiva che rischia, tuttavia, di interrompersi bruscamente, nel caso in cui un’alleanza tra popolari ed eurogruppi di destra radicale spostasse l’assetto politico del Parlamento Europeo alle prossime elezioni, isolando i socialisti.

La prima grande vittoria di Sánchez è arrivata nel luglio del 2020, quando il Consiglio Europeo ha annunciato la creazione di NextGenerationEU, un fondo dal valore di 750 miliardi di euro realizzato per rilanciare gli Stati membri colpiti dalla pandemia. Già a marzo 2020, infatti, era stato lui, insieme al presidente francese Emmanuel Macron e al presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, a puntare i piedi contro la cancelliera tedesca Angela Merkel e il Primo ministro olandese Mark Rutte e insistere sulla necessità di creare un nuovo “piano Marshall” che fosse orientato alla trasformazione sostenibile e digitale dei Paesi dell’Unione.

 

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Non solo: come si legge in una lettera di congratulazioni inviata da von der Leyen, la Spagna è stato il primo Stato dell’Unione a ricevere i fondi del dispositivo per la ripresa e la resilienza. Negli anni successivi, la gestione da parte della Spagna dei fondi europei del NextGenerationEU è tuttavia stata oggetto di critiche da parte del Parlamento Europeo, che nel 2023 ha rilevato che i dati spagnoli sul modo in cui i fondi UE erano spesi erano “difficili da trovare per il pubblico e i giornalisti”. A inizio maggio, inoltre, Bruxelles ha sollecitato Madrid sull’approvazione della legge sulla cybersicurezza, un tassello fondamentale per permettere l’erogazione della quarta rata dei fondi di NextGenerationEU.

Uno spirito di cooperazione, quello che ha portato alla creazione del piano per la ripresa dell’Europa post-covid, che tuttavia Sánchez ha messo da parte, almeno in un primo momento, di fronte all’invasione russa in Ucraina. A fine febbraio 2022, infatti, il presidente spagnolo ha dichiarato che la Spagna non avrebbe inviato direttamente armi a Kiev (a farlo sarebbe stato il Fondo Europeo per la Pace gestito dall’UE), per poi cambiare idea pochi giorni dopo e sbloccare l’invio di materiale militare offensivo in nome di una “più ampia unità nella risposta all’invasione russa”.

Una capovolta politica che i suoi ex alleati di governo, i membri del partito di sinistra radicale Podemos, che rivendica un’anima pacifista, non hanno mai accettato del tutto e che alcuni componenti del nuovo alleato di governo di Sánchez, Sumar, sempre di sinistra radicale, hanno più volte criticato duramente. L’ultima volta, in ordine di tempo, risale a fine maggio di quest’anno, dopo che, in occasione della visita del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Madrid, la Spagna e l’Ucraina hanno firmato un accordo bilaterale di sicurezza che assicura a Kiev più di un milione di euro in aiuti militari: è il più grande pacchetto di forniture militari che la Spagna ha offerto finora non solo all’Ucraina, ma più in generale a qualsiasi altra potenza straniera.

Una debolezza, quella generata dal conflitto tra il Partito socialista spagnolo e i suoi alleati di governo sul sostegno militare all’Ucraina, che il capogruppo del Partito Popolare Europeo, Manfred Weber, ha sfruttato nel 2023 per gettare un’ombra sull’imminente inizio della presidenza spagnola al Consiglio dell’Unione Europea. “Avremo una presidenza con molte incertezze sul supporto all’Ucraina, vorrei che Podemos e Sánchez chiarissero la loro posizione”, ha affermato Weber, dopo che tre ministri della coalizione di governo di Sánchez si erano opposti all’invio di carri armati all’Ucraina durante una votazione al Parlamento Europeo.

Non si tratta, però, dell’unico episodio di tensione tra Sánchez e Weber durante quest’ultima legislatura europea. A fine 2023, Sánchez aveva infatti messo in guardia i membri del Parlamento Europeo rispetto a una crescente vicinanza tra i conservatori europei e gli eurogruppi di destra radicale (ovvero Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, e Identità e Democrazia) e ricordato la necessità di imporre un cessate il fuoco umanitario a Gaza. In risposta, Weber ha accusato il presidente spagnolo di “dividere l’Europa” a causa della sua posizione sulla guerra a Gaza e dichiarato che le sue considerazioni sulle possibili alleanze dei conservatori dovessero “squalificarlo per qualsiasi carico europeo internazionale in futuro”.

Su toni molto diversi, invece, è stata durante l’ultima legislatura la relazione tra Ursula von der Leyen e Pedro Sánchez. In più riprese, la presidente della Commissione ha elogiato l’operato del leader spagnolo: nel 2021, in visita alla base aerea di Torrejón de Ardoz, dalla quale i profughi afgani venivano distribuiti nel resto dei Paesi dell’Unione, von der Leyen ha dichiarato che “la Spagna è un ottimo esempio di quel che è la massima espressione dell’animo europeo”; nel 2022 ha chiamato il paese iberico “uno dei motori della nostra Unione” e un “socio chiave” per la Commissione nella gestione delle conseguenze della guerra in Ucraina, e in particolare l’accoglienza di rifugiati ucraini e l’aumento dei prezzi dell’energia. Sánchez, dal canto suo, ha sostenuto l’elezione di von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea nel 2019 ai danni proprio di Manfred Weber, a cui il posto sarebbe spettato come capolista dei Popolari: è forse questa la principale ragione del cattivo sangue che scorre tra i due. Ed è possibile che il capo del governo spagnolo torni a sostenere von der Leyen quest’anno.

Infine, tra i momenti di maggiore rilevanza della Spagna durante l’ultima legislatura europea, non possiamo non menzionare il semestre spagnolo alla presidenza del Consiglio dell’Unione: un’occasione per influenzare l’agenda politica europea che Sánchez ha saputo cogliere solo in parte, a causa dell’anticipo delle elezioni nazionali dell’anno scorso e della riaccensione del conflitto tra Israele e Palestina. Tra i più grandi successi della presidenza spagnola ricordiamo comunque la firma dell’accordo tra Consiglio e Parlamento sulla riforma del mercato elettrico (merito soprattutto della ministra per la Transizione ecologica Teresa Ribera, che oggi è capolista del Partito socialista spagnolo alle europee e favorita per diventare una delle nuove vicepresidenti della Commissione), sul regolamento sull’intelligenza artificiale, sulla riforma del sistema migratorio europeo e su quella relativa alle regole di bilancio. Tra i punti deboli della presidenza spagnola, invece, il vertice della Comunità politica europea (un forum intergovernativo tra Paesi dell’Unione Europea e del suo vicinato, istituito nel 2022) a Granada, ampiamente criticato per i suoi risultati inconcludenti sui principali temi in discussione, ovvero migrazioni e Ucraina, e gli scarsi risultati di un altro summit, quello con gli Stati dell’America Latina (UE-Celac), organizzato a luglio 2023.

Alla vigilia delle elezioni europee, Sánchez spera di poter contare sul sostegno di un elettorato galvanizzato sia dai buoni risultati alle elezioni locali nei Paesi Baschi e in Catalogna che dall’esito della sua breve pausa di riflessione di fine aprile (durante la quale molti giornali avevano ipotizzato che avrebbe lasciato il posto per aspirare alla presidenza del Consiglio Europeo). A suo favore giocano, almeno sulla carta, anche un’evidente debolezza dei partiti più a sinistra dei socialisti e il riconoscimento dello Stato palestinese, che il presidente ha annunciato in maniera molto più eloquente, con un discorso prima in spagnolo e poi in inglese, rispetto agli omologhi norvegesi e irlandesi: un gesto simbolico, che però arriva, con una certa coerenza, dopo mesi di impegno da parte di Sánchez alle istituzioni europee per promuovere un cessate il fuoco umanitario a Gaza.

 

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A separare Sánchez da un’altra legislatura all’insegna di un nuovo protagonismo della Spagna nelle questioni europee c’è soprattutto la possibile alleanza tra conservatori e eurogruppi di destra radicale: un rovescio che avrebbe conseguenze anche oltre la politica estera spagnola. Come ha spiegato infatti Ignacio Molina, principale ricercatore dell’Istituto Reale Elcano di Studi Internazionali e Strategici, a El País, “la grande coalizione europea [tra socialisti e popolari] è vantaggiosa per la Spagna perché, nonostante la grande polarizzazione che si sente a Madrid, a Bruxelles entrambe votano allo stesso modo quando si tratta di questioni di economia o politica estera. Se smettesse di essere così, perderemmo un sostegno enorme”.

 

 

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