L’India, gigante suo malgrado

Questo articolo è pubblicato sul numero 2/2023 di Aspenia

Stando alle stime delle Nazioni Unite sulla popolazione mondiale, ad aprile di quest’anno l’India è diventata il paese più popoloso del mondo. Alcuni demografi hanno persino fissato una data: il 14 aprile. Secondo altri calcoli, come quelli di World Population Review e di Macrotrends, il passaggio sarebbe avvenuto prima[1] e l’India ad aprile avrebbe già avuto circa cinque milioni di abitanti in più della Cina. In un caso o nell’altro, l’India, una volta raggiunto il traguardo di 1 miliardo e 460 milioni di abitanti, può considerarsi il paese più popoloso del mondo[2].

Pur avendo ricevuto grande attenzione da parte dei media, non si tratta di un fatto che a Nuova Delhi piaccia sbandierare. I conteggi ufficiali del governo indiano si basano ancora sul censimento del 2011, perché quello successivo è stato rimandato a causa della pandemia da Covid-19. E probabilmente, avendo passato gran parte dell’ultimo mezzo secolo a cercare di controllare l’aumento della popolazione, il governo non vede questi risultati in termini molto positivi.

Non è sbagliato affermare che tali numeri possano offrire all’India un “dividendo demografico”, specialmente ora che la maggior parte dei paesi sviluppati e in via di sviluppo ha iniziato a invecchiare rapidamente. Sulla carta ciò è sicuramente vero: se si considera la percentuale di popolazione in età da lavoro (fra i 20 e i 59 anni), l’India ha superato il 50% nel 2010 e continuerà a crescere fino al 2041, quando raggiungerà il picco del 64%. Insomma, più o meno un quinto dei nuovi ingressi nel mercato del lavoro mondiale, in questo lasso di tempo, sarà indiano[3].

Una strada di Mumbai

 

LE SFIDA DELLA QUALITÀ. In un’economia moderna, tuttavia, la qualità ha la stessa importanza della quantità. La sfida, per l’India, sta nel fatto che la grande ondata di giovani in arrivo genererà un dividendo solo se sarà adeguatamente formata e impiegata in maniera produttiva. Con 12 milioni di nuovi posti di lavoro richiesti ogni anno, e nonostante uno dei tassi di crescita economica più elevati al mondo, l’India fatica a rendere disponibili scuole e università per tutti. Anche se i tassi di alfabetizzazione, che si attestano intorno al 75%, sono ragionevolmente alti e la percentuale fra i giovani è ancora superiore, il punto debole sono i livelli di competenza. L’India Skills Report 2023 dice che al momento solo circa il 50,3% della popolazione in età da lavoro è impiegabile[4].

L’India, insomma, stenta a tenere il passo con la marea dei suoi giovani, e questo non sorprende. Di recente ha annunciato una nuova politica educativa nazionale, studiata per attirare investimenti e collaborazioni private nel settore dell’educazione superiore. Per preparare i lavoratori a nuovi settori economici, ha siglato accordi di formazione e professionalizzazione con una mezza dozzina di paesi. Quello più recente, con Taiwan, intende formare i tecnici indiani all’arte della produzione di semiconduttori. Eppure, dati i numeri di cui stiamo parlando e le capacità limitate dello Stato indiano, queste misure scalfiranno solo la superficie dei bisogni reali. Oggi gli indiani che hanno meno di 25 anni sono una quantità impressionante: 700 milioni. In confronto, la Banca mondiale ha calcolato che l’intera popolazione mondiale di studenti iscritti all’università si aggira intorno ai 220 milioni. I giovani indiani cercano quindi soluzioni alternative, soprattutto nella formazione online.

Un’altra caratteristica della crescita della popolazione indiana sono le differenze a livello regionale. La crescita della popolazione degli stati del sud, più ricchi e meglio educati, da qualche anno si colloca al di sotto del livello di sostituzione. Anche negli stati orientali e occidentali il tasso di crescita è perlopiù stabile. Questo significa che, nel corso dei prossimi decenni, saranno gli stati settentrionali e centrali a contribuire in maniera sproporzionata alla forza lavoro, nonostante siano quelli con i peggiori indici di sviluppo umano e abbiano i lavoratori meno qualificati del paese. Anche la disomogeneità etnica delle regioni non aiuta: gli abitanti del sud dell’India temono, infatti, che la conseguenza del dividendo demografico sarà la loro marginalizzazione politica e il trasferimento della ricchezza verso il nord. Per metterla in un altro modo, la disparità fra il nord povero e il sud ricco in termini di reddito e capitale sociale è più o meno equivalente a quella che esiste fra l’Africa e l’Europa[5].

 

UN FENOMENO CON EFFETTI GLOBALI. Questi fenomeni avranno ripercussioni anche a livello globale, perché assisteremo a un aumento dell’emigrazione indiana oltremare. L’India non è mai stata una grande fonte di emigranti. Per buona parte della sua storia successiva all’indipendenza, la migrazione netta, ovvero il numero di emigranti ogni 100.000 persone, non è mai andata oltre il 7. Dall’inizio del millennio in poi è invece cresciuta fino a superare quota 26 e continuare ad aumentare. La diaspora indiana fra il 1990 e il 2020 è quasi triplicata, passando da 6,6 milioni di persone a quasi 18 milioni. Questo è dovuto in gran parte alla quantità impressionante di giovani, ma riflette anche l’immagine positiva che i migranti indiani si sono guadagnati in certi paesi, in particolare negli Stati Uniti, per le proprie capacità tecnologiche e imprenditoriali[6]. Gli accordi commerciali siglati dall’India con altri paesi contengono sempre più spesso accordi per la mobilità del lavoro, anche nel caso di quelli recentemente sottoscritti con gli Emirati Arabi Uniti e l’Australia. Nuova Delhi sta anche cercando di concludere accordi puramente di immigrazione, per esempio con l’Italia, sede della seconda maggiore diaspora indiana in Europa[7].

Se l’India sarà in grado di rafforzare una buona percentuale della popolazione, i risultati, dal punto di vista economico, saranno fenomenali. Il paese potrebbe aspirare ad avvicinarsi ai successi dell’epoca medievale, quando rappresentava circa il 25% della ricchezza mondiale, e a diventare un concorrente della Cina moderna. Se invece non riuscirà a investire sulla popolazione, diventerà una versione gigante del Messico o delle Filippine, imprigionati nella trappola di una classe media con una forza lavoro poco produttiva e una crescita mediocre del reddito pro capite.

Il governo di Narendra Modi non ha esitato a proseguire le politiche di controllo demografico varate dai predecessori. In parte influenzato dalle preoccupazioni dei suoi sostenitori per le presunte maggiori dimensioni delle famiglie appartenenti alle minoranze religiose, ha parlato in più occasioni di imporre metodi severi di controllo delle nascite. I governi di alcuni Stati continuano a limitare i benefici amministrativi e di welfare per le famiglie che hanno più di due figli. Tuttavia, queste discussioni hanno ormai perso il contatto con la realtà demografica indiana[8].

 

IL PESO DI “CHINDIA”. Il contrasto con la Cina, che è stata il centro della popolazione mondiale più o meno dall’inizio della storia, non potrebbe essere maggiore. Grazie a decenni di politica del figlio unico, applicata severamente e talvolta perfino brutalmente fino al suo abbandono (2015), la popolazione cinese è diminuita e continuerà a diminuire a un ritmo insolitamente rapido. Assumendo che la partecipazione alla forza lavoro si mantenga costante sui livelli del 2010, fra il 2022 e il 2100 la forza lavoro cinese si ridurrà del 56%, scendendo a 348 milioni[9]. La popolazione cinese nel 2100 sarà di circa 800 milioni, quasi metà del miliardo e mezzo dell’India, la quale per allora avrà superato da tre decenni il picco di 1,6 miliardi. Una statistica impressionante riguarda i matrimoni. L’India celebra circa 10 milioni di matrimoni l’anno, quasi un quarto del totale mondiale. La Cina ne celebra più di 8 milioni l’anno, in drastica diminuzione[10].

Questo non significa che la Cina andrà incontro al collasso economico. Nel corso dei prossimi venti o trent’anni la sua forza lavoro si ridurrà solo dell’8% annuo. Pechino potrebbe compensare queste cifre alzando l’età pensionabile, cancellando vecchie limitazioni agli spostamenti fra campagne e città e investendo di più in automazione. I ripetuti riferimenti del governo cinese a una “crescita di alta qualità” e a un’“economia a doppia circolazione” indicano una strategia di conservazione della crescita mediante l’ascesa lungo la scala tecnologica e la promozione del consumo interno[11]. Anche così, molti economisti prevedono che la Cina si assesterà su una crescita del 3 o 4% annuo, un dato ben lontano dai numeri a due cifre che hanno trasformato il paese. L’esperienza del Giappone, che combatte da decenni con dati demografici sfavorevoli, non va dimenticata. Nonostante gli enormi investimenti in tecnologia, il Giappone non è stato in grado di scongiurare il declino della popolazione. Entro il 2050, la combinazione di invecchiamento, riduzione della forza lavoro e limitazioni all’immigrazione dall’estero diventeranno insomma per la Cina un peso strutturale insormontabile[12].

 

Leggi anche:
Nationalism with Indian characteristics: the politics of a cultural revival
China, climate and convergence: the new India-US relationship
India and China: the uneasy partnership between the Asian giants

 

In termini demografici, questo è un momento estremamente interessante. La Cina, nonostante il declino, e l’India, in crescita, costituiscono in termini numerici il mercato di consumatori più grande del mondo, forse il più grande che vedremo mai. “Chindia” oggi rappresenta un terzo della popolazione mondiale, un terzo dei consumatori mondiali e circa il 25% della spesa per consumi globale, considerata a parità di potere d’acquisto.

Entro il 2030 i due paesi aggiungeranno circa mezzo miliardo di nuovi consumatori, oltre la metà dell’aumento mondiale complessivo, e rappresenteranno il 42% della spesa globale per i consumi. I consumatori cinesi saranno più ricchi, più vecchi e più urbani. Quelli indiani saranno molto più giovani, ma ancora legati alla campagna. Nessun paese al mondo può permettersi di trascurare questi due giganti[13].

 

 


Questo articolo è pubblicato sul numero 2/2023 di Aspenia

 

 


Footnotes:

[1] Bloomberg, “India’s population may have already overtaken China’s”, CNBCTV18.com, 18 gennaio 2023.

[2] Worldometer, “India Population (live)”, worldometers.info.

[3] Bhavesh Garg e Karan Rai, “Demographic transition: India can reap rich dividends with right policy focus”, The Hindu Businessline, 20 dicembre 2022.

[4] ET Spotlight, “At 52.8%, India has higher percentage of employable women than men, says India Skills Report 2023”, The Economic Times, 2 gennaio 2023.

[5] Ajit Ranade, “How India’s north-south divide has further widened”, The Times Of India, 29 novembre 2021; “Why southern India outperforms the north”, BBC News, 21 settembre 2022; Ramachandra Guha, “Ramachandra Guha: South India counts for too little in national politics – and may diminish further”, scroll.in, 20 giugno 2021.

[6] Sachin P Mampatta, “Statsguru: 160,000 Indians gave up citizenship in 2021 for greener pastures”, Business Standard, 24 luglio 2022.

[7] Shashank Mattoo, “India, Italy may finalize migration & mobility agreement”, Mint, 13 aprile 2023.

[8] Karan Shah, “The over-population bogey”, Financial Express, 10 febbraio 2023.

[9] ANI, “China’s demographic retreat and its implications”, The Economic Times, 28 febbraio 2023.

[10] Varuni Khosla, “India has 25% of the world’s weddings”, Mint, 10 marzo 2023.

[11] Peter McDonald, “Demography poses no imminent threat to China’s economic modernisation”, East Asia Forum, 19 marzo 2023.

[12] Urs Schöttli, “The implications of a shrinking Asia”, GIS Reports Online, 4 aprile 2023.

[13] Juan Caballero e Marco Fengler, “China and India: The future of the global consumer market”, The Brookings Institution, 14 aprile 2023.

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