Si può affermare che, oggi, ogni europeo, oltre alle elezioni del proprio paese e degli Stati Uniti, tenga oltremodo a cuore e a mente le elezioni federali della Repubblica Federale di Germania. I 16 Land compongono la comunità più popolosa, ricca e industrializzata dell’intero continente, in altri termini, la locomotiva economica d’Europa, che piaccia o non piaccia.
Le elezioni del 26 settembre sembrano le più spasmodiche dei settant’anni di vita della federazione, anche perché – o forse soprattutto perché – a metterci lo zampino è quella parte “mordi e fuggi” dell’industria dell’informazione, britannica in primis, che dipinge la campagna elettorale tedesca come caotica e confusa, senza però rendersi conto che la Germania è una delle comunità più aperte e multiculturali sulla faccia del pianeta. Ad esempio, la Germania è il primo paese al mondo per numero di immigrati internazionali arrivati nell’anno 2018[1]. Molto è cambiato dal Ventesimo secolo: sistemi politici, mercati internazionali, tecnologie informatiche, stili di vita, modi di lavorare e altro ancora.
Oltre ai grandi cambiamenti sociopolitici che si sono silenziosamente o tumultuosamente susseguiti dalla caduta del Muro di Berlino, c’è un altro aspetto che caratterizza la campagna elettorale tedesca: dopo quattro mandati alla cancelleria, pari a complessivi sedici anni, Angela Merkel si ritira dalla politica. Ma lo fa per sua scelta personale, e non perché sottoposta a pressioni politiche, come accaduto invece ai suoi predecessori Konrad Adenauer, Ludwig Erhard e Willy Brandt, e nemmeno perché non in grado di formare o sostenere una coalizione di maggioranza come altresì successo agli altri quattro cancellieri Kurt Georg Kiesinger, Helmut Schmidt, Helmut Kohl e Gerhard Schröder. Dunque, queste sono le prime elezioni dal Dopoguerra, eccetto evidentemente le prime del 1949, in cui non c’era formalmente nessun Cancelliere in carica, che pongono gli schieramenti politici tedeschi in mare aperto. Ma non senza bussola e nemmeno sotto un cielo coperto.
Indipendentemente da ciò che indicano i sondaggi, chiunque sia il prossimo Cancelliere e qualunque siano i colori della prossima coalizione di governo, molte domande si profilano all’orizzonte, che attendono risposte tante volte rimandate dalla stessa Angela Merkel, forse perché troppo accondiscendente con gli umori dell’opinione pubblica. Queste riguardano una riconfigurazione del modello sociale ed economico tedesco dettata da agenti di cambiamento improrogabilmente da affrontare, sebbene su scale temporali diverse, come l’emergenza sanitaria e la ripresa economica, il riequilibrio di assetti geopolitici mondiali, la decarbonizzazione della società, il tutto in una Unione Europea che sarà ineluttabilmente sempre più unita e integrata per divenire la vera potenza politico-economica del ventunesimo secolo.
Il lungo passo dalla pandemia alla ripresa
A fine agosto il governo federale dichiarava che la pandemia non è ancora finita, che il numero dei casi di contagiati è di nuovo in aumento, che il valore dell’indice di contagio R è superiore a 1, come pure che altri importanti indicatori di valutazione dell’infezione mostrano segnali di peggioramento e, infine, che solo coloro che sono stati completamente vaccinati corrono un rischio moderato di contagiarsi e ancor minore di finire in un reparto di terapia intensiva.[2]
Secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di Solna, (vicino Stoccolma), la Germania registrava all’8 settembre 2021 un numero totale di contagiati di covid-19 di circa 48.470 casi e 1.110 decessi per milione di abitanti lungo tutto l’arco della pandemia: sono dati che, a prescindere dai criteri adottati per la classificazione, pongono la Germania al di sotto di Italia e Francia, senza però differenze sostanziali nell’ordine di grandezza[3].
In prospettiva della piena riapertura di tutte le attività sociali ed economiche, prima di tutto le scuole e i luoghi di lavoro, se ciò che conta è il numero dei vaccinati con almeno due dosi, secondo i dati elaborati dal quotidiano online Politico, la Germania si posiziona a un livello inferiore rispetto a Italia e Francia[4]. La percentuale non è destinata a grandi variazioni, se si tiene in conto del grande numero di persone che mostrano avversione alla campagna vaccinale, o altre che credono a svariate teorie complottiste, come quando lo scorso settembre a Berlino, centinaia di manifestanti tentarono di assaltare il parlamento durante una manifestazione contro la «dittatura sanitaria».
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel 2020 l’economia tedesca si è contratta poco meno del 5%, un risultato migliore di Francia e Italia (entrambe con percentuali negative quasi doppie), ma le nuove ondate di infezioni e blocchi della prima metà dell’anno hanno ostacolato il rimbalzo atteso.[5] Sempre secondo l’istituto di Washington, per l’anno corrente gli indicatori previsionali indicano un aumento delle esportazioni e delle attività terziarie, in linea con i piani di riapertura e la domanda prevista, per una crescita di circa il 3,6%, ma irta di rischi per l’andamento della pandemia e della campagna vaccinale, come pure per la carenza di approvvigionamenti in settori chiave per il paese, come l’industria automobilistica, ma in ogni caso, una crescita inferiore al 5,8% previsto per la Francia e al 4,9% per l’Italia.[6]
Le domande della geopolitica e della globalizzazione
La Germania è una dei grandi paesi beneficiari dell’ultima globalizzazione, quella che può essere definita delle catene globali del valore iniziata nel 1990, quando gli effetti della caduta della Cortina di ferro si riverberano sull’intero pianeta. Uno studio della Bertelsmann Stiftung, (la nota fondazione indipendente tedesca), stima che dal 1990 al 2016 la Germania abbia avuto entrate generate dall’apertura dei mercati internazionali pari a un totale di 2.449 miliardi di euro di prodotto interno lordo, posizionandosi quarta nel mondo dopo Giappone, Stati Uniti e Cina, con una differenza rispetto a quest’ultima di soli 284 miliardi, ma ben 2,1 volte maggiore dell’Italia e 2,3 volte maggiore della Francia.[7]
Le ragioni di questo successo planetario sono molteplici, ma in primo luogo si può affermare che, rispetto alle altre economie europee comparabili per struttura industriale e dimensioni, il principale motivo è l’apertura dell’economia tedesca e la profonda ripartizione del suo sistema logistico-produttivo tra un numero ampio ma controllato di paesi.
L’ultimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio sulla centralità delle imprese e delle catene di produzione globali nei processi di globalizzazione economica mostra che, insieme a Stati Uniti e Cina, la Germania è per valore aggiunto uno dei tre grandi centri globali per importazione ed esportazione di prodotti e servizi. Di conseguenza, è il maggiore in tutto il continente europeo, Russia inclusa,[8] con il 43% delle esportazioni nette – un valore reso possibile proprio dalla partecipazione alle catene del valore globali, in particolare nell’industria delle automobili, delle macchine utensili e della chimica industriale.[9]
Gli ultimi dati dell’Istituto federale di statistica indicano che il primo partner commerciale dell’economia tedesca è la Repubblica Popolare Cinese, con una somma delle esportazioni e delle importazioni pari a circa 213 miliardi di euro – negli stessi termini l’Italia è il sesto partner con circa 114 miliardi di euro complessivi, dopo Paesi Bassi, Stati Uniti, Francia e Polonia, con un valore delle importazioni dalla Germania superiore alle esportazioni di circa 6,5 miliardi.[10]
Se i buoni rapporti tra Berlino e Pechino, oltre alla qualità effettiva del Hergestellt in Deutschland (Made in Germany), sono tra le ragioni della vertiginosa crescita tedesca degli ultimi trent’anni, oggi gli stessi rapporti sono invece in crisi per le crescenti tensioni sino-americane: Washington rappresenta il principale garante della sicurezza nazionale (e collettiva) all’interno del Patto Atlantico, e Pechino costituisce il principale partner commerciale per la generazione di ricchezza nazionale, che equivale a trovarsi tra il martello e l’incudine.
Tuttavia, la questione non è solo politica, ma anche commerciale, poiché gli scambi internazionali hanno perso slancio da molti anni, precisamente il loro valore è passato dal 53,8% del pil mondiale del 2008 al 42,7% del 2020 come indicano le statistiche della Banca Mondiale.[11] La grande sfida economica della Germania – e degli altri paesi membri della UE – è di trasformare le catene del valore da globali a regionali, più rigorosamente da globali a europee, altrimenti la grande architettura globale tedesca scoppierà come una bolla di sapone.
La strada tortuosa per la decarbonizzazione
Il World Resources Institute, un’organizzazione non-profit di ricerca mondiale con sede a Washington, riporta che nel 2018 la Germania ha emesso nell’atmosfera quasi 777 milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica, risultando il nono paese più inquinante del pianeta con l’1,6% delle emissioni di gas serra globali. Si tratta dunque anche del paese più inquinante nell’Unione Europea, con una quota del 23,5%, seguito da Italia e Francia, rispettivamente con una quota relativa dell’11,7% e del 10,9%.[12]
La Germania ambisce a raggiungere emissioni nette zero di gas serra entro il 2045, fissando degli obiettivi intermedi di taglio del 65% entro il 2030 e dell’88% entro il 2040 (sempre rispetto ai livelli di riferimento del 1990[13]). Obiettivi che il parlamento federale ha sancito con un disegno di legge modificando la precedente legge federale sulla protezione del clima su espressa richiesta della Corte costituzionale federale di Karlsruhe, la quale in aprile dichiarava che le politiche climatiche del governo erano insufficienti perché non proteggevano le libertà dei giovani e delle generazioni future. Negli ultimi due anni, il Governo federale ha stanziato oltre 80 miliardi di euro per investimenti finalizzati a sostenere gli obiettivi della Energiewende, ovvero la decarbonizzazione della società tedesca, interventi che concernono tutti i settori economici del paese, dall’industria all’energia, dalle costruzioni ai trasporti, dall’agricoltura al sistema fiscale.[14]
Tra le molte attività programmate per il raggiungimento delle emissioni nette zero, di certo lo smantellamento completo delle ultime centrali elettriche alimentate con carbone e la chiusura definitiva delle miniere per l’estrazione del carbone entro il 2038 sono tra i progetti più ambiziosi e, conseguentemente, tra i più rischiosi. A complicare la graduale eliminazione dell’industria del carbone tedesca è il basso prodotto regionale lordo che già colpisce le regioni orientali, dove le miniere di carbone e le centrali elettriche a carbone sono componenti fondamentali dell’economia. Sono anche tra le regioni più povere del paese, dove il disagio economico e sociale è più grave. I Land dell’Est sono le aree in cui Alternativa per la Germania, il partito di estrema destra, fiorisce. È stato il più votato alle ultime elezioni del Parlamento europeo (2019) in Brandeburgo e Sassonia, e il secondo partito in Sassonia-Anhalt.
Lo sforzo della transizione produttiva ed energetica è immane e paragonabile a quanto compiuto nella valle della Ruhr negli anni ‘90, con la chiusura delle miniere di carbone e delle acciaierie, ma questa volta i rischi sono perfino maggiori.
Dall’ultimo sondaggio condotto dal governo tedesco per il rapporto annuale sullo stato della riunificazione tedesca, è emerso che il 57% delle persone nelle regioni orientali si sentono cittadini di serie B, e solo il 38% ritiene che la riunificazione sia andata a buon fine. Tra i giovani sotto i 40 anni, proprio quelli che da bambini hanno conosciuto la Repubblica Democratica Tedesca, o almeno parzialmente, la cifra è solo del 20%; inoltre quasi la metà dei tedeschi nell’Est del paese si dichiara insoddisfatta del modo in cui funziona la democrazia.[15] I risultati catturano uno stato d’animo di frustrazione e amarezza che potrebbe spingere i residenti nella Germania orientale a degenerare nella violenza radicale e nell’estremismo politico. Attacchi omicidi nei confronti degli immigrati stranieri si sono verificati frequentemente nel corso degli ultimi anni, un vero grattacapo che impone al Governo federale di agire rapidamente per colmare il divario sociale ed economico tra est e ovest, per il bene della Germania e dell’Unione Europea.
Conclusione
Non c’è bisogno di un dio per avere una Germania forte in una Unione Europea forte, tanto per parafrasare il filosofo Martin Heidegger[16]; è sufficiente piuttosto un Cancelliere che abbia ben chiaro che l’unico destino dei tedeschi è con l’Unione Europea, in una prospettiva che vada oltre l’ordinaria amministrazione di uno stato, anzi rilanciando e ponendo all’intera Unione Europea obiettivi e ideali che la portino a diventare in pochi anni la vera potenza economica e politica del mondo, e non solo più una “potenza normativa”.
L’elettorato tedesco potrebbe sviare da un candidato che è fermo su vetuste posizioni conservative (Armin Laschet), declinare da un candidato che vola verso un modello possibile ma oggi avanguardista (Annalena Baerbock), per concentrarsi su un candidato non immacolato ma con grande esperienza di governo, un temperamento simile al cancelliere uscente e una visione equilibrata tra benessere sociale e mercato (Olaf Scholz), e i sondaggi sembrano proprio dire che così è.
Note:
[1] International migration database, ocse, ultimi dati disponibili 2019, tinyurl.com/2npexh8h
[2] Die Bundesregierung informiert über die Corona-Krise, Bundesregierung, tinyurl.com/2xhz6ysc
[3] COVID-19 situation update for the EU/EEA, European Centre for Disease Prevention and Control, ultimi dati verificati 8 settembre 2021, tinyurl.com/5b4vhnwx
[4] Vaccination progress compared, Politico, ultimi dati verificati 6 settembre 2021, tinyurl.com/djjyb88w
[5] Beyond the Pandemic: Five Charts on Germany’s Economic Recovery Plan, International Monetary Fund, 15 July 2021, tinyurl.com/mex7xprw
[6] imf country information, International Monetary Fund, ultimi dati verificati 6 settembre 2021, tinyurl.com/7bpw4nb4
[7] Wer profitiert am stärksten von der Globalisierung? Globalisierungsreport 2018, Bertelsmann Stiftung, tinyurl.com/xns47z8s
[8] Technical innovation, supply chain trade, and workers in a globalized world, Global Value Chain Development Report 2019, World Trade Organization, tinyurl.com/ysyjfz6a
[9] Trade in value-added and global value chains: statistical profiles, Word Trade Organization, 2015, tinyurl.com/ym4u96sd
[10] Rangfolge der Handelspartner im Außenhandel, Statistisches Bundesamt, 17 agosto 2021, tinyurl.com/7hty9972
[11] Merchandise trade (% of GDP), The World Bank Group, 2021, tinyurl.com/yy6hybj3
[12] Historical GHG Emissions, Climate Watch, World Resources Institute, 2018, tinyurl.com/vs2wkek
[13] Novelle des Klimaschutzgesetzes vom Bundestag beschlossen, Bundesministerium für Umwelt, Naturschutz und nukleare Sicherheit, 24 giugno 2021, tinyurl.com/v33k8dcn
[14] Scholz: Deutschland soll Vorreiter beim Klimaschutz werden!, Bundesministerium der Finanzen, 23 giugno 2021, tinyurl.com/225nnk4f
[15] Jahresbericht der Bundesregierung zum Stand der Deutschen, Bundesministerium für Wirtschaft und Energie, 25 settembre 2019, tinyurl.com/46vrft3z
[16] Nur noch ein Gott kann uns retten, intervista a Martin Heidegger, Der Spiegel, 31 maggio 1976