Le onde d’urto della guerra russo-ucraina nell’Indo-Pacifico

Il confitto in Ucraina, con i suoi risvolti di sicurezza globale, ha imposto anche ai paesi dell’Indo-Pacifico di assumere una posizione non equivoca verso la Russia. Ne è un esempio il risultato della votazione tenutasi il 7 aprile presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per estromettere la Russia dal Consiglio per i Diritti Umani.

A essere contrari alla Risoluzione, insieme alla Russia, non solo gli attesi Nord Corea, Iran, Siria, Cuba, ma anche la Cina (che sulla risoluzione di condanna all’aggressione all’Ucraina si era invece astenuta), più Laos e Vietnam, due partner storici di Mosca in Asia orientale. Altri Paesi della regione hanno deciso di adottare una posizione più neutrale, quella dell’astensione: è il caso di India, Pakistan, Brunei, Singapore, Tailandia, Malesia, Indonesia e Cambogia. Tra gli attori principali dell’Indo-Pacifico solo le Filippine e il Myanmar hanno votato a favore dell’espulsione, dunque insieme agli Stati Uniti e all’Unione Europea; le Filippine, dopo la “fase cinese”, del presidente uscente Rodrigo Duterte, vivono un periodo di riavvicinamento a Washington; mentre la delegazione del Myanmar presso le Nazioni Unite non rappresenta la giunta militare attualmente al potere, ma il governo civile in esilio, sostenuto dagli americani.

 

Il bivio tra i contendenti globali

Accantonata la Russia come possibile partner economico-politico a causa della guerra in corso, i paesi dell’Indo-Pacifico per ridimensionare perdite economiche e/o riequilibrare interessi strategici si ritrovano a dover scegliere verso quale polo convergere: USA o Cina, entrambi contendenti per una maggiore influenza nella regione.

Da un lato, gli Stati Uniti con Joe Biden hanno rafforzato la propria attenzione alla regione con la nuova “Indo-Pacific Strategy”. Gli obiettivi sono chiari: offrire ai paesi dell’Indo-Pacifico sicurezza e permettergli di ottenere vantaggi economici attraverso solide alleanze con attori regionali come Australia, Giappone, Corea del Sud, Filippine e Tailandia; supportare l’ASEAN; sviluppare traffici commerciali, difendere il rispetto del diritto internazionale, ad esempio dal punto di vista dei diritti umani e la libertà di navigazione.

Un momento del summit dell’Indo-Pacific Economic Framework organizzato dagli Stati Uniti il 24 maggio

 

Il motivo dichiarato sono le crescenti sfide poste nella regione dalla Cina. Innanzitutto, la coercizione economica nei confronti dell’Australia attraverso l’imposizione di numerosi dazi all’importazione in risposta alle posizioni contrastanti dell’Australia riguardo le rivendicazioni cinesi in Asia orientale, le presunte violazioni dei diritti umani in Cina e la crescente deriva autoritaria del Paese. E poi il conflitto lungo il confine con l’India; le pressioni su Taiwan e le tensioni con gli altri paesi della regione nel Mare Cinese del Sud.

Allo scopo quindi di contenere la spinta cinese, gli Stati Uniti si sono fatti promotori attraverso questo nuovo piano di politica estera di diverse iniziative pratiche: proposte concrete per sottrarre almeno da un punto di vista strategico i paesi della regione all’abbraccio della Cina. Ne è un esempio ‘Indo-Pacific Partnership for Maritime Domain Awareness (IPMDA), la nuova iniziativa di sorveglianza marittima nell’ Indo-Pacifico, mare importante per gli Stati Uniti sia per il numero di rotte commerciali presenti, sia per la centralità strategica nei rapporti difensivi con gli alleati regionali. L’IPMDA, annunciata durante l’incontro del QUAD lo scorso 24 maggio a Tokyo, ha l’obiettivo di rispondere ai disastri umanitari e naturali e combattere la pesca illegale. Anche la ritrovata vitalità del QUAD (Quadrilateral Security Dialogue), un’alleanza strategica informale tra Australia, Giappone, India e USA, nata nel 2004 per fornire assistenza umanitaria all’indomani dello tsunami che colpì l’Indonesia, è da imputare alla crescente influenza della Cina e alla volontà degli Stati Uniti di reagire all’aggressività percepita dai Paesi della regione da parte di Pechino.

 

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Dall’altra parte, anche la Cina ha sviluppato la Global Security Initiative (GSI), una nuova strategia di politica estera presentata per la prima volta il 21 aprile al Boao Forum for Asia, il meeting annuale dell’organizzazione internazionale nata per dare impulso allo sviluppo dei Paesi nella regione. L’idea è quella di costruire una comunità di sicurezza basata sul principio di sicurezza indivisibile. Facendosi promotrice di questa iniziativa la Cina cerca di ripulire la sua immagine dalle accuse, peraltro sempre smentite dall’establishment cinese, di essere venuta a conoscenza delle intenzioni della Russia prima dell’effettiva invasione dell’Ucraina.

D’altronde come ricordato in una conferenza stampa tenuta il 18 maggio dal portavoce del ministro degli Esteri, la posizione della Cina sulla situazione in Ucraina sarebbe “chiara e coerente“: la fine dei combattimenti e il sostegno alla soluzione diplomatica per la risoluzione delle problematiche maggiori. Inoltre, alla fine della conferenza stampa Wang Yi ha accusato gli USA di portare avanti la teoria della “minaccia cinese”, augurandosi che “un giorno Washington possa sganciarsi dalla mentalità della guerra fredda”. La retorica cinese antiamericana si fa più severa nella stampa interna e regionale: criticando la politica del confronto fra blocchi e lasciando intendere che l’attività della NATO sia un fattore di causalità nel conflitto tra Russia e Ucraina, di fatto mette in guardia i Paesi dell’Indo-Pacifico su un possibile epilogo simile se la nuova strategia americana troverà sostegno nella regione.

A questo si aggiunge la difficoltà della Cina di sviare le preoccupazioni sull’ipotesi che il conflitto Russia-Ucraina possa essere un’anteprima di quello che potrebbe accadere a Taiwan. Le Yucheng, viceministro degli Esteri, ha affermato che “Taiwan e l’Ucraina non sono affatto paragonabili: Taiwan è una parte inseparabile del territorio cinese e la questione di Taiwan è un affare interno della Cina. Alcuni hanno sottolineato il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Ma le stesse persone hanno apertamente calpestato la linea rossa del principio di una sola Cina quando si tratta della questione di Taiwan. Si tratta di un vero e proprio doppio standard”. Contemporaneamente, gli USA stanno utilizzando il timore per una possibile aggressione della Cina come strumento per plasmare il sistema di schieramenti e relazioni nella regione, forti anche delle crescenti tensioni riguardo le rivendicazioni sulle acque del Mare Cinese del Sud.

 

La guerra e i nuovi schieramenti

Sul piano economico la strategia delle sanzioni euro-americane contro la Russia divide i Paesi dell’Indo-Pacifico: Giappone, Sud Corea, Taiwan e Singapore non solo hanno condannato l’invasione dell’Ucraina, ma hanno a loro volta imposto delle sanzioni. Il primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong ha spiegato la linea dura nei confronti della Russia: “La guerra ha danneggiato il quadro internazionale per l’ordine pubblico e la pace tra i Paesi. Viola la Carta delle Nazioni Unite, mette in pericolo l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i Paesi, soprattutto di quelli più piccoli. E se si accetta il principio che decisioni folli ed errori storici sono la giustificazione per invadere qualcun altro, credo che molti di noi si sentiranno molto insicuri nell’Asia-Pacifico, ma anche nel resto del mondo”.

La Corea del Sud, che ha visto trionfare alle elezioni del 9 marzo il partito conservatore People Power Party (PPP) di Yoon Suk-yeol, ha espresso il desiderio di rafforzare il coordinamento all’interno dell’alleanza USA-Sud Corea contro le minacce poste dalla Nord Corea e dalla Cina. Tuttavia, in un momento di maggiore competizione tra Stati Uniti e Cina, opporsi esplicitamente a Pechino potrebbe scatenare nuovamente una ritorsione economica, come accadde tra il 2016 e il 2017 in seguito alla reazione di Pechino al dispiegamento del sistema antimissile statunitense in Corea del Sud. Ciò sarebbe particolarmente dannoso se si considera che circa il 25% delle esportazioni di Seul è destinato al mercato cinese.

Diverso è l’atteggiamento dell’India: legata storicamente con Mosca attraverso l’accordo di amicizia siglato nel 1971 durante la guerra India-Pakistan, ha deciso di mantenere una posizione più neutrale anche per necessità economiche. A dicembre i due paesi hanno rinnovato la collaborazione bilaterale con una dichiarazione congiunta in 99 punti, acconsentendo ad incrementare lo scambio commerciale fino a 30 miliardi di dollari entro il 2025 e siglando 28 accordi d’investimenti su armi, ferro, carbone ed energia. La difficoltà per l’India è quella di riconciliarsi con il suo ruolo all’interno del QUAD.

 

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La Tailandia invece, ha adottato un atteggiamento più fluido (la cosiddetta “diplomazia dei bambù” che allude alla capacità di piegarsi verso l’attore regionale più dominante senza spezzarsi e quindi senza essere obbligata a scegliere uno schieramento) in politica estera: il sostegno di Bangkok alla “guerra globale al terrorismo” degli Stati Uniti dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre non è stata da ostacolo alla sua attuale inclinazione verso Pechino. Questa introversione in politica estera che permette di non schierarsi nelle dispute geopolitiche tra le grandi potenze si ripercuote anche in dinamiche che più la interessano da vicino.

L’Ucraina sarà anche lontana migliaia di chilometri, ma il Myanmar è il vicino di casa della Tailandia. Eppure, nonostante la possibilità che l’instabilità causata dal colpo di Stato del febbraio 2021 si estenda fuori dai confini birmani, il governo di Bangkok si è accontentato di seguire il consenso emerso nel contesto dell’ASEAN, abdicando al ruolo di leadership dell’Indonesia. Quest’ultima, alla presidenza del G20 quest’anno, dovrà trovare un punto di equilibrio non facile: far partecipare ai lavori la Russia o estrometterla in favore della Ucraina. Il summit sarà ad ottobre ma la Cina sta già spingendo affinché si parli solo di governance dell’economia globale evitando di dare una caratterizzazione politica al dibattito.

Il Vietnam invece mantiene un atteggiamento fluido nei rapporti con USA e Cina, ma di stabile con la cooperazione con la Russia. Dal 2000 l’80% circa delle armi dell’esercito vietnamita proviene dalla Russia e a fine 2021 i due Paesi hanno rinnovato e ampliato il loro accordo di cooperazione militare. Le sanzioni europee e americane però complicano l’approvvigionamento di armi ed energia dalla Russia. A questo si aggiungono le tensioni crescenti con la Cina per il controllo del Mar Cinese Meridionale. Per queste ragioni Hanoi ha rafforzato i legami con gli alleati dell’Occidente, tra cui l’Australia, l’India, il Giappone, la Corea del Sud, e anche con le principali nazioni europee. Il Vietnam ha anche recentemente completato il suo mandato biennale come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (2020-21), rafforzando la sua immagine di attore responsabile sulla scena internazionale.

In generale, i paesi dell’Indo-Pacifico soffrono la complicazione dei rapporti commerciali con la Russia e la rottura dei rapporti tra Russia e Paesi europei, che avranno quindi meno risorse per fare investimenti e acquistare le merci prodotte in una regione già fortemente provata dalle conseguenze del Covid-19.

Essenziale sarà l’atteggiamento di Cina e Stati Uniti nel rispondere alle nuove esigenze e aumentare la propria influenza, tenendo conto però che i Paesi della regione, diversamente da quelli europei, difficilmente si uniranno in alleanze che li vincolino ad azioni militari non collegate a minacce dirette sui loro territori. La libertà geopolitica di scegliere la propria linea d’azione sarà condizione essenziale per la loro partecipazione a qualsiasi partnership.

 

 

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