Gli algerini di Francia, divisi nelle due grandi circoscrizioni zona nord e sud, hanno già votato per i rappresentanti del nuovo parlamento nazionale nello stesso fine settimana del primo turno presidenziale francese. Conosceranno i risultati del loro scrutinio mentre la Francia tornerà alle urne per il ballottaggio. Questa coincidenza di date è stata definita da molti commentatori quanto meno improvvida poiché (come molti osservatori europei) anche gli algerini che vivono in Francia sembravano molto più preoccupati delle sorti dell’Eliseo di quanto non lo fossero per la configurazione del nuovo parlamento della loro madrepatria.
In realtà, anche sulla sponda sud del Mediterraneo, questa tornata elettorale non era attesa col fiato sospeso. Una fotografia superficiale del Paese metterebbe infatti in primo piano una generale disaffezione nei confronti della vita politica – con il Presidente Abdelaziz Bouteflika, al potere dal 1999, al suo quarto mandato e oggi novantenne. Seppur questo dato sia largamente confermato nelle attese elettorali (l’affluenza da battere era un magro 43% delle legislative del 2012) e nel tenore della campagna elettorale dove in alcuni casi gli spazi di propaganda messi a disposizione dei partiti sono rimasti vuoti, il quadro algerino merita uno sguardo più attento e un’analisi più approfondita.
L’affluenza al voto è scesa ancora attestandosi al 38,25% dato che non comprende il voto all’estero. Ma, se il disincanto rispetto al funzionamento della vita democratica interna di un paese viene oggi citato per spiegare molti fenomeni europei, e il nascere e rafforzarsi di nuove forze o tendenze politiche più estreme, il caso algerino è molto diverso.
Negli ultimi cinque anni, temi come le riforme costituzionali e legislative per dare slancio alla vita politico-economica del paese sono stati largamente dibattuti e oggetto di interesse nell’opinione pubblica e consultabili online sul sito della presidenza della Repubblica. E sono proprio le promesse disattese scaturite da quel dibattito che hanno “fiaccato gli animi” degli oltre 23 milioni di algerini chiamati alle urne ilo 4 maggio. Chiamati quasi in senso letterale, soprattutto dall’establishment al potere, poiché il leit-motiv della campagna è stato l’appello al voto, ribadito in più occasioni anche dallo stesso presidente della Repubblica, con un comunicato ufficiale letto proprio in coincidenza dell’apertura dei seggi all’estero.
Il parlamento uscente è visto proprio come il maggiore responsabile di quest’inerzia. La coalizione di governo formata dal Front de libération national (FLN) e dal Rassemblement national démocratique (RND) ottiene di nuovo la maggioranza ma perde consensi rispetto al 2012. Ma qual è esattamente il cambiamento che i cittadini si aspettavano?
L’Algeria è diventata, dall’indipendenza coloniale ad oggi, un paese di importanza strategica per gli equilibri geopolitici del Mediterraneo, non solo per la sua collocazione geografica, in tema di approvvigionamento energetico e lotta al terrorismo per garantire maggiore stabilità nella regione. Sebbene la volontà di cambiamento delle giovani generazioni non abbia preso la stessa piega delle cosiddette “primavere arabe” e sebbene il presidente della Repubblica sia in carica ormai da 18 anni, questo non vuol dire che tutto tace sotto la crosta.
Il crollo dei prezzi del petrolio iniziato nel 2014 ha messo a dura prova la tenuta dei conti del Paese: un’economia “quasi” di mercato largamente strutturata e dipendente dall’estrazione e esportazione dei combustibili fossili. Anche le riserve di valuta estera negli ultimi anni hanno visto una curva discendente spingendo il Governatore della Banca Centrale ancora lo scorso 12 aprile a esprimersi pubblicamente per rassicurare sulla situazione economica e monetaria interna.
La svalutazione della moneta locale insieme a misure di austerity adottate nell’autunno del 2016 per far fronte a questa difficile congiuntura non si sono rivelate risolutive, né sotto l’aspetto economico finanziario né, come prevedibile, dal punto di vista della coesione sociale. L’aumento dell’età pensionabile e la decisione di ridurre la spesa pubblica per la sanità e il sussidio dei prezzi per alcuni beni di largo consumo hanno causato ondate di malcontento in diversi centri del paese, coinvolgendo anche il triangolo industriale alla periferia di Algeri. La decisione di ridurre le importazioni ha anch’essa causato un aumento generalizzato dei prezzi. L’economista algerino Mohamed Gouali, dalle pagine del quotidiano Al-Watan, parla di una “economia di resistenza” come primo passo per uscire dalla crisi. Ma ben più importante, a suo parere, sarebbe stato l’influsso di energie nuove con l’elezione del nuovo parlamento algerino, che dovrebbe tradursi in una legislazione più favorevole agli investimenti e ad un’economia moderna.
Esiste in Algeria un processo che si potrebbe quasi definire ‘informale’ di selezione e contrattazione delle decisioni politiche e della gestione del potere da parte delle élite che rende più difficile qualsiasi processo di cambiamento. Benché i partiti al governo restino stabilmente nell’orbita del presidente Bouteflika, anche i partiti di opposizione di stampo islamista restano deboli poiché i loro leader sono in carica più o meno dalla stessa epoca. Solo i partiti di opposizione di stampo socialista hanno lavorato in questi ultimi anni per aumentare la base dei loro consensi anche grazie a manifestazioni di piazza come il movimento degli chômeurs, che si oppone alle misure di austerity messe in campo dal governo.
Con la scarsa affluenza al voto, gli elettori algerini sembrano esprimere, più che una disaffezione nei confronti della vita politica in generale, la bocciatura della classe politica attuale, incapace di tradurre in azioni concrete le riforme economico-sociali tanto annunciate e mai realizzate.
Per questo un ricambio generazionale ormai fisiologico nella composizione del nuovo parlamento è visto da alcuni come un timido segnale di speranza. Anche una maggiore presenza femminile nella vita politica del paese non va sottovalutata. Molti commentatori si sono soffermati soltanto sull’“incidente” dei manifesti elettorali delle candidate senza volto: in certe zone conservatrici del paese, in alcuni manifesti elettorali le candidate femminili sono state rappresentate da un pallino bianco contornato dal classico velo islamico hijab. La commissione elettorale ha prontamente censurato l’accaduto. Si tratta sì di un segnale di arretratezza che registra ancora una difficoltà di percezione della partecipazione femminile alla vita democratica, in alcune aree del paese. Eppure questa partecipazione – sebbene con tutte le cautele – è ormai un dato di fatto.
Non sarebbero soltanto gli algerini a beneficiare di una rinnovata leadership politica. La transizione politica locale e le forme che prenderà la successione al presidente Bouteflika riguardano da vicino anche l’Europa e gli altri paesi del Mediterraneo.
L’Algeria non è solo una grande riserva di materie prime come petrolio e gas. Ha anche svolto nel corso degli ultimi anni un ruolo negoziale importante nelle vicende nordafricane. Per citare una questione che riguarda in particolar modo l’Italia, in Libia l’Algeria sta intensificando i suoi sforzi per mediare tra le diverse fazioni, puntando su una strategia molto simile a quella adottato dal nostro paese: l’inclusione nei negoziati e nei futuri assetti di potere di tutti gli attori libici, anche quelli considerati troppo “islamisti” dal Cairo.
La diplomazia ha promosso dunque un approccio negoziale e non conflittuale alla crisi libica, svolgendo all’interno della Lega Araba una funzione fondamentale di moderazione delle pressioni egiziane e degli Emirati Arabi. L’Algeria è dunque un Paese i il cui futuro – ad oggi piuttosto incerto sotto una patina di stagnazione – è intrinsecamente legato agli equilibri geopolitici del Mediterraneo.