Il 29 maggio la Presidente della Repubblica greca, Katerina Sakellaropoulou, ha sciolto il Parlamento eletto appena otto giorni prima e fissato nuove elezioni per il prossimo 25 giugno. Nonostante Nuova Democrazia abbia ottenuto il suo miglior risultato dal 2007, con il 40,8% dei voti e 146 seggi, il partito di centro-destra guidato dal Primo ministro uscente Kyriakos Mitsotakis non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento.
La legge elettorale con cui si è votato, approvata nel 2016 su proposta di SYRIZA (il partito che da circa vent’anni rappresenta la sinistra radicale), non prevedeva infatti il premio di maggioranza precedentemente assegnato al partito vincitore delle elezioni, stabilendo un sistema proporzionale puro con una soglia di sbarramento al 3%. Ma Mitsotakis ha sin da subito respinto qualsiasi ipotesi di governo di coalizione: il motivo è che le nuove elezioni saranno regolate da una nuova legge elettorale, la quale ristabilisce il premio di maggioranza di 50 seggi, i quali vengono tuttavia assegnati in modo diverso rispetto al passato. In base alla legge elettorale approvata dalla maggioranza parlamentare di Nuova Democrazia nel 2020, infatti, 20 seggi andranno al partito che ha la maggioranza relativa con almeno il 25% dei voti, con un seggio in più assegnato per ogni mezzo punto percentuale ottenuto oltre tale soglia fino a un massimo di ulteriori 30 seggi. Ciò significa che Nuova Democrazia, alle elezioni di giugno, avrà bisogno “soltanto” del 38% dei voti per avere la maggioranza assoluta in Parlamento.
Erede di una delle storiche “famiglie politiche” della Grecia, Mitsotakis a giugno otterrà quasi sicuramente il mandato per governare per altri quattro anni, potendo con molta probabilità contare su un’ampia maggioranza. Cosa tutt’altro che scontata alla luce delle difficoltà affrontate dal Premier greco nell’ultimo anno. Lo scorso agosto, infatti, era stato al centro di forti critiche a seguito dello scandalo relativo alle intercettazioni cui erano stati sottoposti esponenti politici, giornalisti e imprenditori da parte dell’intelligence greca. A febbraio, invece, aveva dovuto gestire le conseguenze politiche del peggior disastro ferroviario della storia greca, nel quale avevano perso la vita 57 persone.
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Né lo scandalo sulle intercettazioni, né l’incidente ferroviario hanno tuttavia intaccato il sostegno nei confronti del premier in carica e del suo partito, che nel voto del 21 maggio ha ottenuto un successo più ampio di quanto previsto dai sondaggi. Le ragioni vanno probabilmente ricercate nel fatto che Mitsotakis appare oggi molto più affidabile e credibile rispetto al suo principale sfidante, l’ormai storico volto di SYRIZA Alexis Tsipras, sia sul piano interno che internazionale. Il leader di Nuova Democrazia ha gestito la complessa fase pandemica erogando una serie di sussidi che hanno contribuito ad alleggerire gli effetti della crisi sulle fasce di reddito medie e basse della società e ciò ha certamente contribuito ad aumentare la sua popolarità. Appare al tempo stesso il politico più affidabile per il mondo imprenditoriale. Superata la fase più critica della pandemia, infatti, l’economia greca è tornata a crescere e il Paese è giudicato oggi più affidabile dai mercati internazionali rispetto al periodo in cui governava SYRIZA (diventata primo partito greco con le elezioni del gennaio 2015). Anche la disoccupazione è scesa negli ultimi anni, passando dal 17,3% del 2019 al 12,2% del 2022.
Se le elezioni del 21 maggio hanno designato un netto vincitore, hanno in modo altrettanto inequivocabile indicato uno sconfitto. Alexis Tsipras, che nel pieno della crisi economica e finanziaria degli anni ’10 riuscì a far uscire SYRIZA dall’angusto spazio politico in cui si trovava arrivando a renderla forza di governo, appare oggi un leader sempre più in crisi e incapace di elaborare una proposta di governo credibile. SYRIZA alle elezioni del 21 maggio ha subito un vero e proprio tracollo, superando di poco il 20% dei voti, dunque un calo di oltre 11 percentuali rispetto alle elezioni del 2019. Ciò si è tradotto nella perdita di 15 seggi, passati dagli 86 che aveva nel 2019 ai 71 attuali.
La forte riduzione dei consensi per SYRIZA ha probabilmente radici profonde, che vanno ricondotte alle modalità stesse con cui il partito è rapidamente cresciuto in termini elettorali tra il 2009 e il 2015, quando arrivò al governo del Paese. Da piccola forza della sinistra radicale, SYRIZA dovette improvvisamente reinventarsi forza di governo, non avendo al suo interno le risorse e le strutture per affrontare una simile sfida. Il partito fu allora spinto ad accogliere esponenti politici che provenivano da esperienze diverse, molti dei quali avevano in passato militato nel PASOK (il partito socialista greco, di ispirazione socialdemocratica), il quale nel frattempo aveva visto letteralmente crollare i propri consensi, arrivando al 4,7% nelle elezioni politiche del gennaio 2015. Anche molti elettori del PASOK decisero di sostenere SYRIZA, ritenuta in quella fase l’unica forza a sinistra in grado di contendere il governo a Nuova Democrazia.
Nel corso del decennio appena trascorso, tuttavia, il partito guidato da Tsipras non è riuscito a elaborare una sintesi politica tra le diverse anime che ormai lo componevano, una più radicale e una più riformista. Ciò si è tradotto in un messaggio politico ambiguo e poco credibile anche per gran parte dell’elettorato di sinistra. Non è un caso che il voto di maggio abbia visto crescere sia i comunisti del KKE (7,23% e 26 seggi, 11 in più rispetto al 2019) che un rinato PASOK (11,46% e 41 seggi, 19 in più rispetto al 2019).
Quest’ultimo appare l’altro grande vincitore alle elezioni dello scorso 21 maggio – almeno in termini relativi. Il suo leader, Nikos Androulakis, è riuscito a riportare il partito ampiamente sopra la soglia del 10% e a ridurre fortemente il gap con SYRIZA. Le prossime elezioni di giugno saranno dunque importanti anche per ridefinire gli equilibri all’interno della sinistra greca, con un PASOK pronto a sfidare quella che è stata l’egemonia di SYRIZA degli ultimi anni.
A completare il Parlamento uscito dal voto del 21 maggio vi è poi Elliniki Lisi (Soluzione greca), un partito di estrema destra guidato dal giornalista Kyriakos Velopoulos, il quale ha ottenuto il 4,45% dei voti e 16 seggi, ben 6 in più rispetto alle elezioni del 2019.
Fuori dal Parlamento è invece rimasta Mera25, la formazione politica di sinistra radicale guidata da Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze nel primo governo Tsipras e al tempo strenuo oppositore delle politiche di austerità imposte al Paese dalla Troika europea. Varoufakis non è riuscito a ripetere l’exploit del 2019, quando il suo partito ottenne il 3,4% dei voti e ben 9 seggi, fermandosi questa volta sotto la soglia di sbarramento con il 2,63%. Dopo la sconfitta il leader di Mera25 si è scagliato duramente contro l’ex “alleato” Tsipras, accusandolo di essere il principale responsabile della sconfitta della sinistra greca, non avendo voluto siglare un accordo preelettorale tra le forze della sinistra. Ha poi tuonato contro l’attuale partito alla guida del Paese, parlando apertamente di un processo di “erdoganizzazione” in atto in Grecia. Toni duri e polemici che tuttavia non hanno evidentemente trovato spazio tra l’elettorato greco.
Le elezioni del 21 maggio restituiscono dunque un quadro politico del Paese per certi versi normalizzato rispetto agli ultimi anni. Dopo i grandi cambiamenti seguiti all’esplosione della crisi nel 2009, l’elettorato greco sembra tornare a sostenere quelle forze politiche che percepisce come elementi di stabilità del sistema e in grado di rappresentare al meglio gli interessi greci a livello internazionale.
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La netta affermazione di Nuova Democrazia si deve certamente interpretare in tal senso, così come una certa rinnovata fiducia nei confronti del PASOK a discapito di SYRIZA. Se le elezioni del prossimo 25 giugno dovessero confermare tale tendenza si imporrà, per SYRIZA, una fase di profonda riflessione interna e la conseguente messa in discussione della leadership di Alexis Tsipras.