Frantumato, sbriciolato, quasi polverizzato. Così si vede davanti allo specchio il partito “secolare” (laico è un termine che nel contesto tunisino equivale di fatto ad ateo) Nidaa Tounes (Appello alla Tunisia), alla disperata ricerca di un abito da indossare per darsi una parvenza di credibilità alla vigilia dell’imminente ondata elettorale. Entro novembre infatti la Tunisia rinnoverà il suo parlamento e manderà un nuovo inquilino alla residenza di Cartagine, rimasta vuota dopo la morte – il 25 luglio – del 92enne presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi – che di Nidaa era stato il fondatore.
Dopo una lunga serie di turbolenze che hanno portato a cambi di premier e ministri, il Paese adesso è governato da un giovane primo ministro, Youssef Chahed. Chahed si candida anche alle presidenziali con il nuovo soggetto politico di ispirazione laico-modernista che ha fondato, Tahya Tounes (Viva la Tunisia). E’ solo l’ultimo dei partiti nati dalle ceneri dello sbriciolamento di Nidaa.
Fondata dopo la caduta di Ben Ali (2012), Nidaa era nata con un obiettivo chiaro: raggruppare i laici – e più velatamente anche alcuni rimasugli di un regime che aveva l’etichetta di “socialista” – contro il fronte islamista. Arrivati ormai agli sgoccioli della prima faticosa legislatura della Tunisia post rivoluzionaria, si può dire che questa missione non è stata compiuta. Dopo essersi alleata con gli islamisti di Ennahda per governare, Nidaa è stata infatti travolta da una serie di battaglie fratricide che l’hanno dilaniata.
Dal 2014 ad oggi, questo partito ha perso più della la metà degli 86 deputati che aveva portato al Bardo, il Parlamento nei cui corridoi si è più volte percepito il timore di un suo imminente collasso. Un copione in parte previsto da una serie di analisti che sin dalla sua nascita avevano avuto dubbi sulla tenuta di questo soggetto politico, più volte paragonato a un mosaico composto da personaggi troppo diversi tra loro per poter convivere in armonia. Oltre al comune interesse di governare, sono stati pochi i punti condivisi da tutti quelli che si sono accomodati sotto la tenda di Nidaa, dove si è da subito faticato a trovare un’ideologia politica coerente da tradurre in visione e programma.
Le scosse iniziali che hanno creato fratture alle fondamenta e diversi mal di pancia interni sono arrivate già nelle prime settimane del 2015. Una volta eletto presidente della Repubblica (dicembre 2014), Essebsi ha lasciato libera la poltrona più alta all’interno del partito, svelando però il suo progetto dinastico: al suo posto voleva suo figlio Hafedh. Per l’allora segretario del partito, Moncef Marzouki, questa scelta era inaccettabile e anacronistica; ma ai suoi delegati viene impedito a suon di spranga di partecipare al congresso del partito. Marzouki decide allora di abbandonare la nave e di uscire da Nidaa, denunciandone sul quotidiano francese Le Monde le intenzioni paternaliste. I fuoriusciti fondano così Mashrou Tounes (Progetto Tunisia), che portandosi dietro deputati di centro destra e centro sinistra, fa scivolare Nidaa, allora primo gruppo parlamentare, al terzo posto.
Un altro momento di frizione arriva nell’estate del 2016: in quel momento, dopo il licenziamento del primo ministro Habib Essid, viene nominato premier il quarantenne Youssef Chahed, settimo capo di governo dell’epoca post Ben Ali. Qualche mese dopo, Chahed licenzia alcuni ministri in quota Nidaa, senza chiedere la previa approvazione del partito. I vertici, furiosi, chiedono ai deputati di non sostenere il rimpasto, accusando Chahed di conguira. Ma avviene esattamente il contrario: alcuni deputati si dimettono da Nidaa e sostengono Chahed, che intanto, lanciando una campagna anti-corruzione, prende di mira dal governo importanti membri di Nidaa.
Così facendo, il neo premier prima viene espulso da Nidaa, ma poi incassa il consenso di Marzouki, e infine quello del partito islamista di Ennahda – partner di governo che respinge le richieste avanzate dal giovane Essebsi di votare la sfiducia. Il governo regge, sebbene in uno scenario surreale, e Chahed fonda il suo partito.
La saga fratricida di Nidaa però non finisce qui, perché anche durante l’ultimo congresso, al quale Chahed non ha partecipato, ci sono state scintille. Hafhed Essebsi ha avuto giusto il tempo di festeggiare il coronamento del suo sogno, prima di fare i conti con l’ennesima scissione, che vede protagonista il “clan” del suo antagonista Sofien Toubel. Alla vigilia del voto, Nidaa si presenta come un carrozzone che perde pezzi e con diversi guidatori che si ritengono i legittimi conducenti della campagna elettorale. Un’immagine che non conquista gli elettori.
Secondo alcuni sondaggi, due ex sostenitori di Nidaa su tre non hanno alcuna intenzione di rivotarla alle parlamentari, anzi preferirebbero addirittura boicottare il voto, piuttosto che dare la preferenza a un partito balcanizzato. I simpatizzanti storici che volessero votarla alle presidenziali potrebbero poi essere tentati da diverse opzioni: Chahed, Marzouki o Abdelkarim Zdibi, ministro già dell’epoca di Ben Ali e candidato ufficiale di quel che resta del partito del defunto Essebsi. E c’è anche l’ex premier liberale Mehdi Jomaa, che tutto sommato ha lasciato un buon ricordo. Quando sarà il momento del ballottaggio, alcuni fuoriusciti potrebbero riavvicinarsi tra loro nel tentativo di ricreare la Nidaa delle origini. Marzouki è stato uno dei primi a muoversi per ricompattare il fronte secolare. Al suo fianco si è già schierato Sofien Toubel e colloqui sarebbero in corso anche con Jomaa, ora a capo di un altro piccolo partito, Al Badil Ettounsi (L’Alternativa Tunisina).
Secondo alcuni analisti, se tutti i fuoriusciti riuscissero ad allearsi, ricreando la rete estesa della vecchia Nidaa, potrebbero addirittura vincere a sorpresa le elezioni. Guardando i pochi sondaggi disponibili si deve però dire che allo stato attuale servirebbe un miracolo. Chahed – complice anche la giovane età – è quello del gruppo che promette meglio. Anzi, alcune autorevoli voci all’interno di Ennahda che preferiscono l’anonimato si sono addirittura dette pronte a sostenerlo qualora Abdelfattah Mourou – il primo candidato della storia del movimento islamista alla presidenza – non arrivasse al ballottaggio.