Le autocrazie e la vittoria degli zeloti

Il rapporto tra i sistemi politici occidentali e il resto del mondo ha segnato la storia moderna. E’ un tema che acquisisce nuova rilevanza strategica in coincidenza con il “Summit delle democrazie” in questo dicembre 2021, fortemente voluto da Joe Biden.

Se si guarda a grandi linee la storia di Russia, Cina e Turchia si può notare che seguono percorsi simili, regolati, almeno in parte, proprio dal modo di rapportarsi con l’Occidente. In tutti e tre i Paesi si alternano fasi di apertura e di chiusura nei confronti della cultura occidentale, di imitazione dichiarata o di sdegnato rifiuto. Sono cicli di una storia secolare che fatica a trovare un punto di mediazione, di equilibrio tra Oriente e Occidente, ammesso che questo punto esista. Vale allora la pena provare a chiedersi in quale fase quei Paesi si trovano oggi nel loro modo di porsi nei confronti dell’Occidente, ma per farlo bisogna fare quale passo indietro e cambiare ambito di analisi.

 

Se infatti nell’analisi dello scenario internazionale si tengono in considerazione soltanto le forze di natura politica, economica, militare e tecnologica si rischia di non cogliere un aspetto molto importante per comprendere cosa sta accadendo.

Altre possenti forze, infatti, sono in azione. Sono forze quelle di natura culturale, psicologica e sociale, e stanno condizionando nel profondo Paesi come la Russia, la Turchia, la Cina e di recente anche l’India.

Per comprendere la natura e l’orientamento di queste forze, è necessario rifarsi alla riflessione del grande storico britannico Arnold Toynbee e ai suoi studi sullo scontro delle civiltà, vale a dire lo scontro tra il mondo e l’Occidente, “l’evento capitale della storia moderna”[1].

Va ricordato intanto un quesito di fondo, su quali siano le cause del miracolo occidentale. Sembra una domanda di una complessità unica, eppure così non è: dopo che il velo di nebbia della cultura marxista è stato spazzato via, è anzi abbastanza semplice rispondere.

La causa del miracolo occidentale è dovuta alla creazione, lunga, lenta e faticosa, di una particolare struttura istituzionale – la cosa era chiara già a Polibio e poi a Machiavelli – che ha imbrigliato l’arbitrio del potere e tutelato, con la forza del diritto, le libertà individuali e l’autonomia del mercato e della società civile, a petto dello Stato. Tali libertà e tali autonomie hanno consentito agli individui di dare libero sfogo alla propria creatività, alle proprie ambizioni, alla libera ricerca delle felicità. Il che vuol dire che la fonte della ricchezza occidentale, capovolgendo la diade marxiana struttura/sovrastruttura, è dovuta a una particolare sovrastruttura istituzionale che ha difeso e nutrito la libertà e con essa la creatività e l’intelligenza degli esseri umani.

A partire dalla seconda metà del XV secolo, dunque, i paesi dell’Europa occidentale iniziano a rompere in confini nei quali erano rimasti fermi per secoli e a debordare in ogni angolo del pianeta.

La civiltà occidentale, infatti, è “dotata di una potenza radioattiva fuori dal comune” che “ha letteralmente assediato le altre civiltà: ponendole di fronte alla drammatica scelta di farsi inondare o di rimanere in un povero assedio”[2]. Anzi costringe “tutte le altre civiltà a rispondere in qualche modo alla sfida, pena la loro degradazione dal rango di colonie”[3].

Di fronte alla necessità di scegliere tra una mimetizzazione con la cultura occidentale o l’estinzione, le reazioni possono essere essenzialmente due. Può nascere un “partito erodiano”, cioè il partito di coloro che assumono un atteggiamento opposto a quello degli “zeloti”: anziché rifiutare ostinatamente la cultura aliena, gli erodiani si fanno sostenitori di una intenzionale e programmata acculturazione. Essi, per impedire la colonizzazione imposta, si prodigano per stimolare una sorta di autocolonizzazione” [4] controllata. Tentano cioè, l’esperimento che fu fatto dall’Impero cinese nella seconda metà dell’Ottocento: secondo il principio del “sapere occidentale come mezzo, il sapere tradizionale come fondamento”, si tentò di innestare in funzione subordinata sul corpo della tradizione imperiale cinese alcuni elementi della cultura occidentale in grado di rafforzare il proprio paese e metterlo nelle condizioni di scacciare gli invasori, vale a dire gli occidentali. Non a caso l’esperimento cinese prese il nome di movimento dell’Autorafforzamento.

 

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A tale riguardo, scrive Toynbee, “Erodiano è chi agisce in base al principio che il modo più efficace di salvaguardarsi contro il pericolo dell’ignoto è quello di impadronirsi del suo segreto: e quando l’Erodiano si trova a dover affrontare un avversario più altamente abile e meglio armato di lui, risponde mettendo da parte il suo tradizionale metodo di guerra ed imparando ad usare contro il nemico le stesse armi e la stessa tattica sue”[5]. Lo Zelota, al contrario, “tenta di ricoverarsi nel passato, come uno struzzo vuole nascondersi a chi lo insegue affondando la testa nella sabbia”[6].

Una civiltà che imbocca la via erodiana, quindi, tenta un innesto di quegli elementi della cultura altra che vengono ritenuti utili, poiché appaiono quale “il segreto della sua potenza”[7] necessari per rinsaldare e rafforzare la propria cultura in modo da avere la meglio sulla cultura esterna: è un tentativo di acculturazione controllata che ha come fine, quindi, quello di reagire e sconfiggere la cultura allogena.

Detto ciò, è necessario chiedersi quale sia la scelta migliore, se quella erodiana o quella zelota. Si può qui ricorrere alla terza legge sull’aggressione culturale elaborata da Toynbee, che parte dall’assunto che “ogni struttura culturale storica è un tutto organico delle parti interdipendenti”[8] , e dunque “(…) se da una certa cultura si sfalda una scheggia e la si introduce in un corpo sociale estraneo, questa scheggia isolata tenderà a trascinarsi appresso, nel corpo estraneo in cui si è insediata, gli altri elementi costitutivi del sistema sociale dove la scheggia è di casa e da cui è stata staccata innaturalmente. La struttura infranta tende a ricostruirsi in un ambiente straniero in cui si è fatta strada una delle sue componenti”[9] . Inoltre, “una volta messo in moto, il processo di acculturazione è inarrestabile e i tentativi degli aggrediti di frenarlo non avranno altro risultato che quello di rendere più straziante la cosa”[10].

Questa è quella che lo stesso Toynbee definisce la legge di “una cosa tira l’altra”; infatti, tale processo si fermerà “solo quando tutti gli elementi essenziali della società radioattiva siano stati impiantati nel corpo sociale della società aggredita, perché solo così la società occidentale può funzionare perfettamente”[11].

Un meccanismo, tra l’altro, già descritto da Marx nel Manifesto quando scrive che la borghesia, e cioè il capitalismo, ergo la società aperta e quindi l’Occidente “costringe tutte le nazioni ad adottare le forme della produzione borghese se non vogliono perire; le costringe ad introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi. In una parola, essa si crea un mondo a sua immagine e somiglianza[12].

Le conseguenze di tale processo di traduzione non sono di poco conto. Infatti, nelle società tradizionali a dominare è una Tradizione percepita come sacra e immutabile, in grado di determinare ogni aspetto della vita degli individui. Pertanto, se si consente che anche un solo elemento della cultura occidentale penetri all’interno di una società tradizionale, tale elemento innestato all’interno della società tradizionale, per poter funzionare, avrà bisogno di tutti gli altri elementi che compongono la cultura da cui esso proviene. Il che significa che la società occidentale dovrà sostituirsi in ogni aspetto alla società tradizionale. Così il destino di quella Tradizione, sacra e immutabile, che plasma le vite degli individui, è segnato: dovrà ridursi al rango di folklore ad uso dei turisti. Il che può generare un enorme dramma esistenziale, un profondo disorientamento da parte di chi questo processo è costretto a subirlo. Tale dramma è alla base dei tentativi di combattere l’Occidente e ricercare nel passato una purezza ormai svanita.

Se così stanno le cose, allora è evidente che ogni tentativo di controllare il processo di trasfusione di elementi della cultura occidentale all’interno di una cultura tradizionale è destinato al fallimento, dal momento che una volta attivato questo processo avrà fine (e avrà senso) solo se il Paese ospite abbandonerà totalmente la propria cultura tradizionale per adottare in toto la cultura occidentale. Questo perché alla modernizzazione economica e tecnologica segue come un’ombra la modernizzazione culturale e istituzionale. O, per dirla diversamente, per avere le ricchezze e i prodigi tecnologici dell’Occidente, i paesi in via di sviluppo sono costretti ad adottare anche le sue istituzioni e le sue libertà; vale a dire, come si accennava in precedenza, la vera sorgente della ricchezza e del progresso occidentali.

Paradossalmente, dunque, l’esperimento erodiano (“il sapere occidentale come mezzo, il sapere tradizionale come fondamento”) è destinato al fallimento. Ed è più coerente e la scelta di chi, chiudendo ermeticamente le proprie frontiere, impedisce che il processo di trasfusione (“una cosa tira l’altra”) si attivi.

 

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Ora, in periodi diversi grandi Paesi in via di sviluppo come la Turchia, la Cina e la Russia hanno effettivamente imboccato la via erodiana, vale a dire un processo controllato di trasfusione economica e tecnologica, pensando che questa fosse la strada più sicura per godere di tutti i frutti dell’Occidente, senza per questo dover abbandonare la propria identità culturale e ridurre a folklore la propria Tradizione. Si illudevano: le ricchezze e le tecnologie occidentali non possono esistere senza le libertà occidentali, e queste non possono perdurare senza le istituzioni democratiche; nel contempo, le istituzioni democratiche possono funzionare se difendono le minoranze, e ciò vuol dire che nessuna visione del mondo, sia essa di natura politica, religiosa, filosofica, è più vera di un’altra. In altri termini, la difesa delle minoranze implica il pluralismo e il pluralismo è nemico mortale di ogni dogma, e quindi incompatibile con la Tradizione sacra su cui si fonda ogni società tradizionale.

Una parte del mondo politico cinese, russo, e turco ha compreso che l’apertura all’Occidente per poter funzionare implicava di trapiantare in toto all’interno dei propri paesi non solo il mercato, ma anche la democrazia, il pluralismo politico e religioso, nonché il primato del diritto sull’arbitrio del potere, e quindi l’abbandono delle tradizionali istituzioni dell’antico dispotismo asiatico. A quel punto, quelle leadership hanno invertito la rotta e sono ritornare a nutrire i vecchi sogni del passato. Anche perché lasciare che l’ultimo bastione della società tradizionale crollasse, vale a dire il vecchio dispotismo asiatico, avrebbe implicato il suicidio politico proprio della leadership al potere.

In sintesi, questi Paesi hanno abbandonato il processo di modernizzazione e secolarizzazione sul quale si erano incamminati e che li avrebbe condotti verso la società aperta popperiana ed hanno fatto marcia indietro per ritornare verso la società chiusa nella quale per secoli erano vissuti. Ciò vuol dire che le derive autocratiche di Russia, Cina e Turchia altro non solo che il fallimento degli erodiani e dunque l’impossibilità di far coesistere le società tradizionali con il carattere radioattivo, e intimamente anarchico, della società liberale occidentale. Gli erodiani, dunque, hanno vinto e l’agenda politica oggi la fanno gli zeloti.

A questo punto è necessario porsi una domanda: se l’esperimento degli erodiani, vale a dire usare le tecnologie e l’economia occidentale come un servo sciocco per la maggior gloria della cultura tradizionale dei propri paesi, è destinato a fallire, quali possibilità di successo ha la via zelota?

 

 


Note:

[1] A. Toynbee, Il mondo e l’Occidente, Sellerio, Palermo, 1993, p. 9

[2] L. Pellicani, Modernizzazione e secolarizzazione, Il Saggiatore, Milano, 1997, pag. 142

[3] L. Pellicani, La genesi del capitalismo, op. cit., pag 7

[4] L. Pellicani, Jihad, Luiss University Press, Roma, 2004, pag 22. “senonché – continua Pellicani, delineando la figura del partito degli zeloti – tale autocolonizzazione non può non apparire, allo sguardo degli zeloti, la strada maestra che conduce all’annientamento delle specificità spirituali del loro mondo. Di qui l’inevitabile lotta tra modernizzatori e tradizionalisti. Per i primi la salvezza può essere conseguita solo andando a scuola della civiltà moderna per carpirne il segreto della sua potenza; per i secondi, alla rovescia, tutto ciò che viene dall’esterno è come un veleno per le tradizionali forme di vita, perciò essi ritengono che non c’è che un modo per evitare la catastrofe culturale espellere l’invasore e chiudere ermeticamente le frontiere, di modo che nulla e nessuno possa inquinare e corrompere il loro macrocosmo”, p. 22

[5] A. J. Toynbee, Civiltà al paragone, op. cit., pag. 274

[6] Ivi, pag. 275

[7] Ibidem

[8] A. J. Toynbee, Il mondo e l’Occidente, Sellerio, Palerno, 1992, pag. 78

[9] Ibidem

[10] L. Pellicani, Jihad, op. cit., pag. 22

[11] Ibidem

[12] K. Marx e F. Engels, Manifesto del partito comunista, Meltemi Editore, Roma, pag. 33.

 

 


Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Stroncature il 4 dicembre 2021

 

 

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