L’asse fragile tra Ankara e Mosca

Le recenti operazioni militari delle forze armate turche in Siria sembrano contraddire la posizione mantenuta fermamente da Mosca negli ultimi anni sull’inviolabilità dei confini e della sovranità di Damasco. Tuttavia, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato pubblicamente che esiste un patto con la Russia sulle operazioni, che riguardano unicamente una questione di sicurezza nazionale turca, e che gli attuali confini con la Siria rimarranno inviolati. Di rimando, la portavoce russa degli Esteri, Maria Zakharova, ha sentenziato che la Turchia è “un partner difficile”. Al di là della chiara difficoltà della situazione in Siria, che coinvolge la Turchia tanto quanto la Russia, il rapporto fra Ankara e Mosca ha raggiunto, in tempi piuttosto brevi, una notevole profondità su innumerevoli fronti, dalla sicurezza alla difesa, dall’energia al commercio.

La storica diffidenza reciproca, che risale al tempo degli imperi, è stata (almeno in parte) superata nel momento più critico dei rapporti fra Ankara e Mosca, dopo che, nel pieno delle operazioni militari russe in Siria, la Turchia aveva abbattuto un aereo da guerra russo che volava lungo il confine turco (24 novembre 2015). Quando sembrava che le due potenze non potessero far altro che mantenere un pericoloso contrasto perpetuo, il governo turco ha subito un tentativo di colpo di Stato (15 luglio 2016), in seguito al quale Ankara e Mosca si sono riavvicinante. Infatti, secondo alcune interpretazioni, il colpo di Stato sarebbe fallito anche grazie al contributo dell’intelligence russa. Da quel momento, una fiducia e un’intesa crescenti hanno portato i due paesi a stringere un’alleanza di fatto e a decisioni spesso criticate, ma comprensibili da un punto di vista strategico.

Lo sviluppo dei rapporti fra Erdogan e Putin dimostra che la loro intesa non dipende solo dalla delicatezza della questione siriana. Sullo sfondo si notano dinamiche ben più ampie che riguardano le ambizioni dei due paesi nell’attuale processo di trasformazione degli equilibri internazionali.

Prima di altri, in particolare risalta l’ambito energetico. La Turchia insegue il desiderio di assumere la funzione di indispensabile mediatrice fra il gas naturale dell’Asia Centrale, della Russia e, potenzialmente, di alcuni paesi del Medio Oriente e il mercato europeo. Il progetto della Tanap, il gasdotto che attraverserà tutto il territorio turco per entrare nell’Unione Europea in Grecia e parte centrale del Southern Gas Corridor voluto dall’UE per diversificare gli approvvigionamenti, offrirà l’accesso anche ad alcuni paesi mediorientali. Dall’altro lato, Mosca ha trovato nel progetto di Turkish Stream un’alternativa al vecchio South Stream, che è stata costretta ad abbandonare. Il nuovo gasdotto, che attraverserà il Mar Nero, avrà la potenzialità di portare in Europa il gas russo e in parte centroasiatico. In realtà, attraverso il porto russo di Novorossijsk, sia il gas che il petrolio russi e centroasiatici già viaggiano verso l’Europa.

Da qui si comprende un altro obiettivo strategico di Mosca, cioè il controllo e l’equilibrio delle rotte del Mar Nero, impossibile da ottenere senza l’accordo con lo stato che ne controlla tutta la sponda meridionale e lo sbocco al Mediterraneo: la Turchia. Il Mar Nero costituisce il principale accesso marittimo della Russia ai mercati mondiali, ragione che spiega la veloce annessione della Crimea nel momento in cui i rapporti con l’Ucraina e con la Nato si deterioravano, visto che proprio qui sono dislocate le forze militari navali russe.

Oleodotti e gasdotti esistenti e progettati attraverso la Turchia e il Mar Nero

 

I rapporti fra Turchia e Unione Sovietica nell’immediato dopoguerra furono caratterizzati proprio dal contrasto sulle leggi che regolavano la navigazione attraverso gli Stretti (Convenzione di Montreux), che del resto avevano entrambe firmato dieci anni prima (1936). La storia racconta che i rapporti fra Ankara e Mosca sono piuttosto vivaci e mutevoli, ma gli attuali interessi comuni hanno portato le due a seguire lo stesso percorso, malgrado non sia ancora certo che Ankara riuscirà a lungo sopportare le pretese e tollerare la percezione di una Russia sempre più presente nel Mediterraneo orientale, con la sua posizione non proprio condivisa verso Cipro, Damasco e Teheran. Sotto certi punti di vista, tuttavia, le esigenze comuni sembrano contare addirittura di più dell’aderenza della Turchia alla Nato.

Lo scorso dicembre 2017, il governo turco ha approvato l’acquisto del sistema di difesa missilistico russo S-400. Entro i primi mesi del 2020, due batterie del sistema, con una terza opzionale, saranno dislocate sul territorio turco al costo di 2,5 miliardi di dollari. La parte finanziata del pagamento avverrà in rubli. La Russia è anche impegnata nella realizzazione della centrale nucleare di Akkuyu, un progetto da 20 miliardi di dollari che sarà completato nel 2025 con l’attivazione di quattro reattori da 1,2GW ciascuno, capaci di produrre energia elettrica pari al 7% dell’attuale consumo turco. Inoltre, le relazioni commerciali turco-russe sono state recentemente caratterizzate da uno storico esperimento. La Russia ha venduto alla Turchia tremila tonnellate di grano attraverso il sistema della blockchain, che in futuro dovrebbe semplificare lo spostamento di materie prime, soprattutto in quei casi in cui si verifica l’assenza di riserve in dollari, come ad esempio è avvenuto alla Siria negli ultimi anni.

L’aumento delle relazioni economiche fra la Russia e la Turchia ha imposto una riflessione in seno alle istituzioni europee, sia per l’annosa questione dell’accesso turco all’Unione che per problemi legati al commercio e ai finanziamenti diretti. Alcuni ambienti in Europa sono restii a mantenere un rapporto amichevole con il governo Erdogan. Ne potrebbe risentire addirittura il grande progetto del Southern Gas Corridor, se la Commissione Europea ritenesse che le condizioni di sicurezza nazionale turca non rispettano i parametri richiesti da Bruxelles. Al di là delle ragioni economiche e politiche, si rischierebbe di ritrovarsi semplicemente senza la possibilità di finanziare un progetto fondamentale – la sua realizzazione libererebbe gli stati dell’UE da parte della loro dipendenza energetica dalla Russia, mentre i legami economici della Turchia e del Caucaso con l’Europa sarebbero rafforzati – lasciando ad altri capitali, con ogni probabilità cinesi (visto che Pechino ha già da tempo offerto il sostegno), la possibilità di subentrare.

Il tracciato del Southern Gas Corridor

 

Le relazioni fra Ankara e Mosca sono in veloce evoluzione, cercano di prevenire e seguire le trasformazioni negli equilibri internazionali, soprattutto nelle regioni che le interessano più da vicino. Entrambe le capitali hanno avuto, e ancora hanno, l’esigenza di intervenire militarmente e di rafforzare le proprie posizioni. Da un lato la Turchia in Siria, contro i combattenti curdi appoggiati da forze esterne, principalmente dagli Stati Uniti; dall’altro la Russia che difende e potenzia la propria posizione nel Mediterraneo e, in una dinamica più ampia ma strettamente legata, rafforza le proprie forze militari in luoghi chiave che ritiene minacciati dal fondamentalismo e da potenziali guerre ibride, come il Tagikistan, il Kyrgyzstan e il Caucaso del Nord.

Sebbene non ci siano i presupposti per un allontanamento di Ankara dalla Nato, né di un’alleanza più profonda fra Ankara e Mosca, almeno fino a che i due governi attuali saranno in carica, la Russia e la Turchia continueranno a procedere secondo una funzione di reciproco vantaggio. Si tratta di una funzione pragmatica ma appunto sostenuta da un rapporto piuttosto fragile, malgrado gli enormi interessi economici che si intrecciano lungo il cammino di due potenze emergenti come l’attuale Russia e la Turchia.

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