L’Ecologia, che noia. E’ questa la condanna nella condanna che affligge l’Ambiente. Siccome il tema, per non dire l’emergenza, è ormai quotidiano e investe tutte le latitudini (con buona pace dei negazionisti) fatica a rendersi attraente e appare anzi come un memento reiterato e molesto.
La politica, al contrario, ha più occasioni per cambiare repertorio e simboli, alleanze e parole d’ordine. Questa dinamica è sì gattopardesca, ma consente all’attenzione e alla passione dei militanti di rinnovarsi continuamente. Il messaggio ambientale fatica intanto a farsi ascoltare dalla coscienza collettiva con il paradosso, o la beffa, di essere portatore di un tema tutt’altro che retorico, ma tangibile e critico.
Proprio la politica, con la crisi di quasi tutti i partiti “verdi” occidentali (importante eccezione, la potente Germania), ha dimostrato come non sia sufficiente avere argomenti fondati per incidere concretamente nel dibattito e nell’agenda generale. Accade all’Ambiente quello che accade ad altre due discipline con un alto tasso di attendibilità e verificabilità: la statistica, e la demografia sua derivata.
Leggereste mai, da non specialisti, un serio articolo di statistica al giorno anche se convinti della sua importanza per la vostra vita e quella dei vostri figli? Il Cambiamento Climatico corre lo stesso rischio, colpito inoltre dalla ridondanza di fake news da una parte e allarmismi da psicosi collettiva dall’altra.
Poi è arrivata Greta Thunberg. Greta è un patrimonio. Va difesa, ma senza paternalismo. Da queste pagine online Roberto Menotti rompe finalmente un tabù che serpeggiava anche tra le fila dei suoi sostenitori e dei suoi non detrattori: Greta non è più una ragazzina da proteggere, perché tra pochi mesi sarà una giovane donna maggiorenne. Il suo messaggio dovrà a questo punto radicalmente mutare di segno: incarnando lei il futuro non potrà più dire agli adulti, di cui sta entrando a far parte, che “stanno rubando” il domani ai giovani.
Il messaggio sui “ladri di futuro” è stato perfetto ed efficace per portare Greta, e con lei il tema dell’Ambiente, alla ribalta mondiale. Non che non lo fosse già, ma accusava stanchezza e geremiade. Questa ragazza svedese ha invece avuto la forza, e lo spirito di sacrificio, di cambiare paradigma e marcia, trovando un messaggio in grado di far breccia.
Ora è il momento della fase due, anche se è certamente più facile a dirsi che a farsi. Ma proprio la riconoscenza verso Greta dovrebbe spingere chi ne ha facoltà, in termini di rappresentanza e di leadership, ad affiancarla in funzione dialettica e costruttiva per non vanificare il grande risultato sin qui ottenuto. Dare cioè nuovo appeal (e una solida concretezza di scelte operative) al tema ambientale, troppo spesso prigioniero di Cassandre.
Certo a Davos, al World Economic Forum, Greta non poteva perdere contro Trump (si può perdere con chi chiama Nancy Pelosi “Crazy Nancy” e confonde il Kansas con il Missouri?); ma ha solo pareggiato.
Per due ragioni; primo, perché la formula di Davos ormai è esausta, come i combustibili fossili a fine ciclo. L’unico messaggio certo che Davos riesce ancora a veicolare è: arrivederci all’anno prossimo. Troppo poco, se detto dai leader mondiali.
Secondo, perché l’Ambiente non può farsi repertorio. Deve trovare insomma quell’equilibrio tra responsabilizzazione dei singoli cittadini e delle élite di governo (e governance, non dimentichiamo mai il ruolo dei gruppi privati in campo energetico) che permetta la sincronia del dibattito e delle scelte. Lo schema “senso di colpa” del cittadino e Conferenze COP fallimentari è il viatico perfetto per condannare l’ecologia alla marginalizzazione e la Terra all’emergenza cronica.
Lo scenario è preoccupante, perché il senso comune, oltre alla letteratura più accreditata, ci mette di fronte all’evidenza di un Pianeta in sofferenza e di un’umanità in sofferenza. Eppure questo disagio, riproponendosi ogni giorno dell’anno, rischia l’assuefazione psicologica e quindi politica.
Abbiamo esempi di un nuovo paradigma possibile? Pochi giorni fa il Guardian, testata britannica nota per la propria indipendenza, ha annunciato, con effetto immediato, di rinunciare alla pubblicità da parte di aziende coinvolte nell’estrazione di energia fossile. Il mainstream ha immediatamente dato spazio al plauso di Greta, ma occorre sottolineare come anche il lessico possa essere uno strumento per agire con continuità. Lo stesso Guardian ha deciso di sostituire, nei propri articoli, lo stilema “cambiamento climatico” con “emergenza climatica”.
La questione ambientale è davvero una cosa seria: e affrontarla richiede sacrificio e vigilanza, buone pratiche e pazienza. Quante volte ancora dovremo sentir dire che Greta è eterodiretta? Per dimostrare il contrario è giunto, per lei ma anche e soprattutto per tutti noi, il momento della maggiore età.