La visione geopolitica tedesca e la crisi europea del Covid-19

Il 6 aprile, giorno precedente alla prima riunione dell’Eurogruppo della settimana, Angela Merkel si è nuovamente presentata alle telecamere per parlare della crisi Covid-19 e ha detto: “alla Germania le cose vanno bene se vanno bene all’Europa”. I risultati raggiunti la sera del 9 aprile hanno però dimostrato che i diversi membri della UE hanno ancora idee diverse su come puntare al bene dell’Europa.

Il documento approvato dopo infinite discussioni dall’Eurogruppo, infatti, ha prodotto un pacchetto con MES senza condizionalità in fase di emergenza ma con condizionalità successiva, non ha aperto alcuna strada concreta verso forme di eurobond e rimanda moltissimo alle decisioni dei governi nazionali.

Si tratta di soluzioni inevitabilmente mediane, talvolta ambigue, in cui il fronte del “Nord” ha fatto pesare il suo peso specifico economico e di scarso indebitamento, mentre i governi del “Sud” provano a rivendicare alcuni successi. Soluzioni temporanee, che forse placano ma certo non risolvono il nocciolo delle contraddizioni finanziarie europee. Soluzioni che, soprattutto, non saranno sufficienti a evitare le potenziali disgregazioni politiche che dalle stesse contraddizioni potranno svilupparsi.

L’Eurogruppo (riunione dei ministri delle Finanze dei paesi dell’eurozona) di fronte a una delle sue decisioni più difficili

 

La bandiera tedesca è la stabilità

La crisi sanitaria del Covid-19 ha dato vita in tanti paesi a una speciale forma del cosiddetto “Rally ‘Round the Flag effect“, tipico delle situazioni di difficoltà dove la popolazione tende a stringersi intorno alla leadership corrente e alla bandiera nazionale. Dopo mesi in cui Angela Merkel sembrava ormai emarginata dalla scena politica della Germania, il Rally ‘Round the Flag effect tedesco ha premiato proprio la Kanzlerin. Ma la vera bandiera intorno alla quale si sono radunati i tedeschi è stata piuttosto quella del mito della stabilità della Germania e della sua resilienza alle crisi esterne.

Stabilità e resilienza che, fino a oggi, si sono mostrate contemporaneamente su due piani.

Il primo piano è quello sanitario. Da settimane i maggiori quotidiani del mondo stanno analizzando l’anomalia tedesca di una diffusione su livelli europei del coronavirus ma di una sua letalità molto bassa.

Alcune motivazioni sono probabilmente temporali e nelle prossime settimane la situazione in Germania potrebbe avvicinarsi ai trend negativi europei. Secondo alcuni la bassa mortalità tedesca sarebbe legata a una certa opacità di calcolo, ma molte altre analisi hanno invece individuato i fattori determinanti in precise best practices: un testing sempre più massiccio, l’isolamento preventivo di fronte a un contagio iniziato tra persone di età media più bassa rispetto ad altri paesi e, soprattutto, la grande capacità tedesca di posti letto in terapia intensiva (al momento sarebbero intorno alla cifra record di 40mila). Uno scenario che ha permesso al governo Merkel di non imporre misure restrittive severe come quelle italiane o spagnole, quindi senza un lockdown completo della vita quotidiana e, soprattutto, del sistema produttivo industriale.

Già da settimane la Germania effettua test a tappeto nelle zone e tra i gruppi di persone considerati più a rischio

 

Il secondo piano in cui si mostrano al momento la stabilità e la resilienza tedesca è quello economico. Grazie a un debito pubblico molto basso e a conseguenti tassi d’interesse negativi sui propri Bund, la Germania ha potuto velocemente recuperare centinaia di miliardi di euro per sostenere subito l’economia reale di fronte all’emergenza Covid-19. Soldi utilizzati in maniera incredibilmente veloce anche per misure di helicopter money verso aziende e lavoratori autonomi.

Ne è emerso un chiaro messaggio anche politico: mentre altri paesi meno attenti che non hanno riempito il granaio in tempi migliori ora si trovano in difficoltà, noi possiamo permetterci di affrontare la crisi in piene forze. O, per usare una metafora molto più cinica, certamente mai verbalizzata ma sicuramente emblematica: in Germania possiamo affrontare questa crisi con la dovuta preoccupazione, ma senza il pericolo aggiuntivo di gravi “malattie” pregresse.

L’osservanza delle regole come garanzia di benessere, il benessere come garanzia di democrazia. Tutto sarebbe perfettamente sotto controllo, se non per le responsabilità che Berlino deve ora invece affrontare a causa del suo ruolo cruciale nelle geometrie europee – geometrie che sono ovviamente strutturali per lo stesso equilibrio interno tedesco.

 

Il tabù assoluto del debito comune

Quando una cordata di paesi, tra cui Italia, Spagna e Francia, hanno iniziato a chiedere più solidarietà europea di fronte alle conseguenze della pandemia, la reazione tedesca è stata in un primo momento affidata ai falchi. Complice anche il ruolo di “bad cop” dei Paesi Bassi e le precedenti gaffe e titubanze di BCE e Commissione Europea, a fine marzo l’atmosfera nell’UE è diventata tra le peggiori mai vissute.

Di fronte alle veementi ma probabilmente decisive proteste di paesi in enorme sofferenza come l’Italia, però, BCE e Commissione hanno poi immediatamente cercato di recuperare. Soprattutto la BCE ha dato vita a una serie di iniziative dalla potenza di fuoco storica e dall’innegabile efficacia temporanea (primo fra tutti, il PEPP). Anche la Germania si è resa presto conto di dover perlomeno utilizzare un diverso stile comunicativo, soprattutto di fronte a una dinamica di perfetto convalidamento reciproco tra l’intransigenza dei falchi oltranzisti tedeschi e le correnti anti-UE che scommettono sempre più pragmaticamente sul loro momentum in Europa meridionale. La durezza delle posizioni tedesche, infatti, è presa a pretesto dai sovranisti in Europa meridionale per attaccare la UE.

Emblematiche di questa presa di coscienza tedesca sono state le iniziative di grande valore solidale come l’accoglienza in Germania di decine e decine di pazienti italiani e francesi. Al tavolo UE, tuttavia, si è intanto inevitabilmente riconsolidata la spaccatura tradizionale e quasi ancestrale tra Europa “del Nord” ed Europa “del Sud”. Un vero e proprio peccato originale geopolitico dell’Unione, con tutto il corollario ideologico che ne consegue in quanto a rispettive recriminazioni, deviazioni razziste, speculazioni populiste, demonizzazioni e confirmation bias. Pomo della discordia èdiventata la questione Eurobond o Coronabond, che ha aperto un duro confronto di tatticismi intrecciati.

Secondo precise analisi in Germania, la mossa di Spagna e Italia (e, parzialmente, Francia) di puntare al 100% sugli Eurobond o Coronabond avrebbe posto con controproducente premura e rigidità la questione della mutualizzazione completa del debito europeo, scatenando l’inevitabile “alt” tedesco e dei più stretti alleati. Mutualizzazione considerata in ambienti mediterranei come il tassello mancante di un euro pensato per domare il mercantilismo tedesco ma finito per favorirlo e nutrirlo. Mutualizzazione vissuta invece in Germania come il tabù finanziario infrangibile per eccellenza.

Quello che è certo è che, nonostante l’apertura dell’opinione pubblica tedesca verso la solidarietà europea, proprio il dibattito su Eurobond o Coronabond ha permesso nelle ultime settimane a parte della politica in Germania di accusare i governi dell’Europa meridionale di conclamata e insanabile inaffidabilità e di usare strumentalmente la loro stessa emergenza per promuovere la propria agenda. Più in generale la richiesta di forme di debito comune, anche se discussa come temporanea nella forma di Coronabond, è stata vista dai tedeschi più preoccupati come fase iniziale di una formula destinata a divenire permanente e scorretta nei confronti della Germania.

Angela Merkel e Giuseppe Conte

 

Merkel e la paura dei suoi falchi

In questo scenario Angela Merkel ha cercato di mantenere il suo proverbiale attendismo strategico, un atteggiamento forse ideale per salvaguardare l’UE come organizzazione di membri che condividono il minimo comune denominatore della necessità strategica, ma forse non più sufficiente di fronte alla crisi epocale del Covid-19.

A Berlino è noto il pericolo di un’esposizione finanziaria delle economie euro più deboli e di come possano trascinare nel vortice tutta l’eurozona. E anche i vertici tedeschi dell’industria dell’auto hanno intanto comunicato alla Kanzlerin le pericolose conseguenze dell’interruzione della filiera produttiva italiana e spagnola. Il governo Merkel è quindi più che consapevole della gravità della situazione, ma tende ad affrontarla con le metodologie degli scorsi anni: trattando centimetro per centimetro, spesso bilateralmente, magari con la sola sponda verso Parigi, e con la sua proverbiale cautela interessata. Un metodo al quale Merkel si sente orientata non solo per convinzioni politiche su come vada protetto l’interesse nazionale tedesco, ma anche per il timore di essere erosa politicamente da destra.

A questo proposito la vulgata sostiene che il pericolo per Merkel arrivi soprattutto dai populisti di Alternative für Deutschland. Se davvero il problema della Cancelliera fosse AfD, la sfida sarebbe ben poco proibitiva. La verità è che, piuttosto, i nemici giurati di azzardi e lassismi europeisti sono all’interno della stessa CDU, così come tra i vertici di parte del mondo finanziario e industriale. Una sezione di élite dirigente tedesca che, al massimo, potrebbe decidere di cooptare strumentalmente AfD, non certo di obbedirle. Un’area di riferimento convinta che l’UE sia mezzo più che fine, supportata da una solida parte di opinione pubblica e che ora attende di sostenere (nel dopo crisi Covid-19) un candidato Cancelliere come l’anti-Merkel per eccellenza Friedrich Merz o anche l’attuale Ministro della Salute, il liberista-conservatore (dagli accenni euroscettici) Jens Spahn.

Al momento, intanto, dal punto di vista politico il vero asso nella manica di Merkel resta soprattutto la fedeltà pressoché assoluta alle sue scelte di governo dei suoi vari ministri SPD, a partire dal Ministro delle Finanze Olaf Scholz, che nelle discussioni dell’Eurogruppo ha contrattato e trattato senza sosta ma è sempre rimasto contrario a formule di Euro o Coronabond – in opposizione quindi al posizionamento della debolissima leadership attuale del suo partito.

 

La solidarietà come Realpolitik e la paura della Storia

Il partito tedesco che più si è schierato per forme più avanzate e strutturali di solidarietà europea è stato quello dei Verdi. Una posizione favorita dal fatto di essere all’opposizione, e che è costata comunque agli ambientalisti qualche punto percentuale nei sondaggi. Uno dei due leader dei Grünen, Robert Habeck, è stato tra i primi a schierarsi a favore dei Coronabond, così come ha fatto la leader tedesca dei Verdi al Parlamento europeo Ska Keller.

Dal mondo culturale e intellettuale tedesco progressista e tradizionalmente europeista è nata invece un’ondata di appelli e posizionamenti per una maggiore solidarietà europea, trovando il sostegno di una parte di cittadinanza che si dichiara profondamente legata al progetto UE. Appelli che hanno visto anche la partecipazione di diversi nomi del mondo conservatore (si veda quello del presidente della Fondazione Konrad-Adenauer, affiliata alla CDU, Norbert Lammert). Posizioni e critiche anche dure alle posizioni del governo Merkel e  che spesso hanno mostrato la consapevolezza che in campo non ci sia soltanto la solidarietà come concessione o espressione valoriale ma la stessa realpolitik tedesca.

Non sono mancati ad esempio i riferimenti geopolitici in cui si è iniziato a chiedersi cosa succederà all’Europa e alla stessa Germania se un paese come l’Italia dovesse trovarsi a concludere che non vi è convenienza nel chiedere aiuto ai partner europei e si rivolgesse tatticamente a farsi sostenere dalla Cina. Il grande rimosso che emerge da tali interrogativi è che pochi paesi al mondo più della Germania potrebbero soffrire uno stravolgimento repentino degli equilibri geopolitici mondiali, a cui Berlino non potrà che rispondere con maggiore dedizione al progetto UE o sancendone invece l’impossibilità storica provando a rispolverare vecchi progetti alternativi; si veda il concetto mai del tutto scomparso di Kerneuropa, cioè un nucleo duro e ristretto.

Il mondo visto dalla Germania, secondo un’accreditata corrente della geopolitica

 

Nel dibattito tedesco degli ultimi giorni, che si è svolto anche fortemente su giornali e media d’un tratto vivacizzati dal confronto, la contingenza del dibattito Euro-Coronabond è stata quindi funzionale a interrogativi molto più ampi e cruciali, destinati a restare in campo molto a lungo. Un editoriale come quello comparso sullo Spiegel, in cui il rifiuto del governo tedesco degli eurobond è stato definito “non solidale, gretto e vigliacco” è chiaramente orientato ad aprire un confronto di lungo termine per una fase decisiva ancora a venire, in cui la sintesi merkeliana delle polarizzazioni potrebbe non essere più risolutiva.

Mentre il dibattito sul ruolo tedesco in Europa cresce, sembra oggi tornare una speciale paura che la Germania ha di fronte alla Storia. Paura che la Storia si rimetta in moto e costringa Berlino a porsi domande e prendere decisioni evitate e rimandate per anni. Abituata per decenni di Pax Americana a non pensare strategicamente se non in termini economicistici, peso massimo economico ma peso leggero militare, la Germania si è sempre rifugiata in una responsabilità politica europea che non andasse mai al di là della mera regolamentazione economica.

Ma la grave ed epocale crisi del Covid-19 potrà ora essere in grado di costringere definitivamente i tedeschi a pensare e quindi agire sempre più in prospettiva geopolitica. I risultati di tale evoluzione potranno essere molto positivi, ma anche molto negativi, per l’Unione Europea.

 

 

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