Nate Silver, uno dei più noti sondaggisti americani, ha ribadito questo punto nel suo ultimo bollettino: chi si dice certo del risultato, visti i numeri che girano – bloccati su una corsa 50 a 50 – sta bluffando. Silver ha aggiunto che se deve proprio esprimerli, i suoi “gut feelings” lo portano a vedere Trump favorito per tre ragioni principali: il costo della vita (“si stava meglio quattro anni fa” è il mantra popolare che avvantaggia Donald Trump), l’immigrazione (punto debole del Vicepresidente che doveva occuparsi, alla Casa Bianca, delle “cause profonde” dei movimenti di popolazione dal famoso confine con il Messico) e il fatto che Kamala Harris resti un oggetto abbastanza misterioso per una parte notevole dell’elettorato americano.
In sintesi: l’economia reale va bene e l’inflazione è tornata sotto controllo, ma la percezione dominante nella classe media americana è che i prezzi di beni essenziali siano rimasti troppo alti; si aggiunge il tema immigrazione, simbolo del peso delle guerre identitarie in una società fortemente polarizzata; e in più Harris, pur avendo vinto l’unico dibattito con il suo rivale e pur avendo raccolto una montagna di fondi, non riesce a presentare una proposta chiara per il futuro del Paese. Le elezioni saranno così un referendum su Trump.
Yes, but: sì, ma esistono altri fattori da non trascurare. Per esempio: se guardiamo alle “guerre identitarie”, la battaglia sull’aborto – che chiaramente imbarazza Trump e che ha già permesso ai Democratici di “tenere” alle elezioni di mid-term del 2022 – avvantaggia invece Harris. E conduce a un tema più generale: fra le tante linee divisive di queste elezioni, esiste anche uno scarto potenziale fra elettori uomini e donne.
Va detto che Harris, a differenza di Hillary Clinton, evita di insistere sul fattore “genere”: è consapevole che potrebbe solo indebolirla, come indica la sconfitta di Hillary nel 2016, con il suo appello reiterato a rompere il “soffitto di cristallo” ai vertici della politica americana. Non scordiamoci che il voto delle donne bianche nei suburbi degli Stati in bilico, fu allora decisivo per rendere possibile la vittoria di Trump.
La previsione che circola oggi, guardando alla media dei sondaggi, è che voteranno per Trump il 60% degli uomini e per Harris circa il 55 % delle donne. Alla fine scopriremo chi terrà di più, in questa nuova edizione della battaglia fra sessi. Tenendo conto che, rispetto al 2016, l’abolizione del diritto federale all’aborto ha nel frattempo scosso le convinzioni di parte delle donne.
Sul New York Times del 28 ottobre, la decana delle editorialiste, Maureen Dowd, si chiede: siamo tornati ai giorni dello scontro fra Marte e Venere? O non ce ne siamo, come americani, mai liberati? Il divario fra sessi potrebbe essere dipinto così in termini simbolici. Da una parte le giovani donne, che detestano la misoginia di Trump e del suo giro, che temono il potere non più occulto di Elon Musk e che difendono la loro libertà di scelta; dall’altra gli uomini, con i giovani della generazione Z che si sentono esclusi da un mondo liberal troppo favorevole alle donne e alla parità di genere; e inclusi numeri importanti di afro-americani ed ispanici, che vedono in Trump l’unico difensore forte dei loro diritti acquisiti.
Senza parlare della classe media bianca, che teme per ragioni demografiche di essere minoranza nel proprio Paese. E di cui il Vicepresidente in pectore di Trump, JD Vance, con il suo nazionalismo cristiano, è il nuovo eroe di riferimento (avviso ai lettori: per chi non abbia ancora dato un’occhiata ad Elegia americana, il libro scritto da Vance per spiegare l’alienazione delle comunità bianche del Kentucky e dintorni, è il momento di farlo).
E’ abbastanza evidente: la divisione fra sessi, nell’America del 2024, ha un peso politico rilevante. Ma senza forzare troppo la tesi. La polarizzazione della società americana passa per altri fattori (fra cui quelli citati da Nate Silver, appunto) che complicano una lettura delle elezioni in chiave di “genere”. Resta un punto vero: votare per un Presidente donna continua a generare dei dubbi nella maggiore democrazia occidentale. In particolare fra gli afro-americani: non a caso, sia Barack che Michelle Obama stanno cercando, nello scorcio finale della campagna elettorale, di sollecitare gli elettori neri a superare questa loro diffidenza.
Se Harris non recupererà terreno nella minoranza da cui deriva, rischierà di perdere gli Stati cruciali del Blue Wall (Michigan e Pennsylvania) e di conseguenza la Casa Bianca. In parte vale anche per gli ispanici, dove Harris ha oggi numeri inferiori a quelli di Joe Biden nel 2020. In uno dei tanti paradossi della politica contemporanea, Kamala Harris potrebbe perdere proprio dove dovrebbe vincere se tenesse ancora la coalizione di minoranze del Partito Democratico.
*Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Repubblica del 30/10/2024