La transizione energetica cinese procede con il passo del gambero

I leader cinesi si sono impegnati a raggiungere il picco delle emissioni prima del 2030 e a conseguire la neutralità carbonica (net zero) entro il 2060. Questi impegni sono stati presi a settembre 2020, nel pieno della forte ripresa economica dopo il rallentamento indotto dalla pandemia. Il pacchetto di aiuti all’economia cinese poneva l’accento sulle infrastrutture per elettrificare gli usi finali dell’energia e accelerare la transizione verso un’economia a basse emissioni: la ripresa, però, non è stata granché verde.

La pianificazione a lungo termine – compreso il 14° Piano quinquennale e i documenti “n+1” (così sono definite in Cina le direttive nazionali e settoriali per raggiungere gli obiettivi 2030-2060), sottolinea gli sforzi di decarbonizzazione e il desiderio di indirizzare l’attività economica, nonché gli usi dell’energia, verso una traiettoria più sostenibile. Tuttavia, la forte crescita economica, la carenza energetica osservata a più riprese con i blackout del 2021, e gli alti costi delle materie prime indotti dall’invasione russa dell’Ucraina hanno rilanciato l’importanza del carbone nazionale come fonte affidabile d’energia.

Eppure, accanto alla rinnovata fame di carbone le politiche industriali e ambientali continuano a promuovere lo sviluppo di fonti rinnovabili, mentre le politiche dei prezzi sostengono la graduale diversificazione del mix energetico a favore delle energie pulite. Insomma: pur facendo ancora affidamento sul carbone, la Cina sta tangibilmente incrementando il sostegno a progetti ecocompatibili. La transizione verso un’economia a basse emissioni procede, sebbene non in modo lineare.

Pannelli solari in una regione montuosa della Cina. La Cina ha promesso la neutralità carbonica per il 2060.

 

Una traiettoria più sostenibile 

Nel corso del 13° Piano quinquennale (2016-2020), il consumo primario d’energia della Cina è cresciuto in media del 3% l’anno, mentre le emissioni di CO2 connesse al settore energetico sono aumentate in media dell’1,6% l’anno[1]. Tali incrementi erano mediamente inferiori all’espansione dell’economia in quegli anni, e comunque al di sotto delle tendenze rilevate nel precedente quinquennio, durante il quale la domanda primaria d’energia era cresciuta in media del 3,6%, mentre le emissioni del 2,6%. Il contenimento delle emissioni si deve in parte al rallentamento economico, ma anche alle politiche governative.

Via via che la protezione dell’ambiente scalava l’agenda di governo, sono stati stabiliti tetti vincolanti al consumo totale d’energia e all’intensità energetica a livello sia nazionale che provinciale, municipale e regionale, che hanno permesso alla Cina di centrare gli obiettivi di riduzione del consumo energetico per unità di pil (prodotto interno lordo) fissati dal piano quinquennale (sebbene quelli sull’intensità carbonica siano stati sforati, seppur di poco). A ciò hanno concorso cambiamenti strutturali nell’economia, che ha visto crescere la quota di servizi e industria leggera a scapito dell’industria pesante e degli investimenti infrastrutturali.

 

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Malgrado i notevoli progressi in termini di efficienza energetica, il periodo 2019-2022 è stato tumultuoso. Il Covid-19 ha comportato massicci lockdown in Cina e nei suoi principali mercati d’esportazione. La risultante contrazione dell’economia cinese è stata seguita da una ripresa che ha generato un rimbalzo dei settori altamente energivori e, seppure a singhiozzo, della domanda di carbone.

 

La sicurezza energetica in primo piano

Nel 2021, intanto, il disallineamento tra i prezzi internazionali del carbone e i meccanismi interni di formazione del prezzo, sommato ai segnali politici discordanti sulle forniture, ha provocato massicci ammanchi di energia. Sullo sfondo, la volatilità delle quotazioni di gas e petrolio, esacerbata nel 2022 dall’invasione russa dell’Ucraina. Le preoccupazioni per la disponibilità e accessibilità dell’energia hanno imposto all’agenda politica la questione della sicurezza energetica, di fronte alla quale il governo cinese ha risposto in due modi: procedendo con le riforme del mercato energetico che tra l’altro scaricano maggiormente i costi dell’elettricità sulle aziende altamente energivore; e puntando maggiormente sulle risorse interne, tanto il carbone quanto le rinnovabili.

Malgrado politiche sempre più ambiziose di contenimento delle emissioni, l’ambiente macroeconomico della Cina continua a plasmarne le scelte energetiche di breve termine e i livelli di emissioni. Il ribilanciamento economico di lungo periodo perseguito dal governo include il passaggio a un’economia più basata sui servizi e sui consumi interni, che per sua natura ha un’intensità carbonica minore. Inoltre, tutti i documenti governativi enfatizzano la sostenibilità e promuovono fonti energetiche più verdi, come le rinnovabili, oltre a incentivare l’elettrificazione della mobilità su gomma, porre obiettivi per il picco delle emissioni dell’industria pesante e puntare a rendere più efficiente la domanda d’energia.

 

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Per ora, tuttavia, malgrado i passi avanti l’economia resta ad alta intensità energetica. Ciò si deve alla quota ancora elevata di manifattura pesante, all’importanza del carbone come combustibile di questo comparto, al fatto che il mercato energetico cinese ruota attorno alle centrali convenzionali e alla conseguente mancanza di incentivi economici all’efficienza energetica in alcuni settori. Questa situazione è strettamente legata al ruolo dominante dello Stato nell’estrazione e nel commercio di combustibili fossili, nello sviluppo delle infrastrutture e nell’allocazione delle risorse.

 

Segnali contraddittori

La rinnovata attenzione della Cina alla sicurezza energetica (della quale il carbone è tassello fondamentale) risale a un importante discorso pronunciato dal premier Li Keqiang a fine 2019, in una delle fasi di massima tensione tra Pechino e Washington. Da allora il tema ha continuato a dominare discorsi e documenti ufficiali, man mano che i rapporti commerciali Cina-Usa peggioravano e ancor più dopo i blackout cinesi del 2021. Il conflitto russo-ucraino e il sovvertimento del mercato globale dell’energia hanno determinato una forte enfasi sul carbone come pilastro del sistema energetico cinese.

Al contempo, in linea con l’impegno cinese 30-60 (raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e la neutralità carbonica entro il 2060), il governo ha elaborato piani per “controllare rigorosamente” l’uso del carbone durante il 14° Piano quinquennale (2021-2025) e cominciare a eliminarlo nel quinquennio successivo. Dopo questi annunci le autorizzazioni di nuove centrali a carbone sono crollate: ma i blackout dell’autunno 2021 le hanno fatte nuovamente lievitare nell’ultima parte dell’anno.

Il richiamo del carbone deriva anche dal fatto che la domanda cinese di energia elettrica è prevista in aumento nei prossimi anni, sospinta dalla progressiva urbanizzazione, dalla crescita economica, dall’espansione della base industriale energivora, dall’elettrificazione della mobilità e dei sistemi di riscaldamento. I leader cinesi mirano a coprire il 50% di tale incremento con le rinnovabili, ma questo lascia spazio a un ulteriore aumento delle fonti fossili.

Creare nuova offerta di energia e alimentare nuovi settori industriali (come le rinnovabili e le batterie) sono considerati strumenti importanti per generare crescita; allo stesso tempo, però, in alcune province l’industria del carbone è un pilastro economico e occupazionale. Inoltre, i criteri di promozione dei funzionari locali e provinciali sono spesso legati alla capacità di garantire la stabilità economica nel breve periodo, che può essere perseguita con progetti infrastrutturali (sinonimo di occupazione e forniture energetiche), anche se inutili in prospettiva.

Il governo prova dunque a bilanciare gli obiettivi di lungo termine con le realtà del breve periodo, prendendo in considerazione necessità e risorse specifiche delle varie province. Questo consente una certa flessibilità, ma può generale segnali contrastanti. Il 14° Piano quinquennale afferma di voler limitare le nuove centrali a carbone, ma non pone limiti alla produzione interna e al consumo dello stesso, né alla relativa capacità di generazione elettrica, parlando invece di “rafforzare il ruolo del carbone come garanzia della sicurezza energetica [nazionale]” e del suo “ruolo stabilizzante nel sistema elettrico”. Inoltre, il piano dice che le centrali a carbone nuove o ammodernate fungeranno da fonti flessibili, non fisse. L’idea è verosimilmente quella di usarle per compensare le fluttuazioni delle rinnovabili, sebbene l’insicurezza energetica del paese e i blackout non siano dovuti alle rinnovabili, quanto al meccanismo interno che determina i prezzi dell’elettricità.

Una centrale alimentata a carbone nella provincia di Jiangsu

 

Il lato positivo

Se gli amministratori locali vedono nella nuova attenzione alla sicurezza energetica un’autorizzazione a costruire nuove centrali a carbone, Pechino sa che il primato nazionale nell’industria delle energie pulite assicura in prospettiva benefici strategici anche in termini di certezza degli approvvigionamenti. La posizione unica e in rapida evoluzione della Cina nel campo delle tecnologie energetiche le consente di perseguire al contempo sicurezza energetica e obiettivi climatici. Pertanto, anche se nel breve periodo la risposta agli imperativi di sicurezza e stabilità è il carbone, il discorso potrebbe evolversi.

Il dibattito cinese sulla sicurezza energetica si è a lungo incentrato sull’accesso alle fonti (principalmente petrolio e gas) e sul connesso rischio geopolitico. Si è discusso anche della gestione della domanda, ma nei documenti ufficiali il governo sembra associare sempre più la sicurezza alla resilienza e a un approccio ampio alle risorse. Questo implicherebbe costruire un mercato energetico nazionale e, come suggerito anche dal 14° Piano quinquennale riguardo alla modernizzazione energetica, gettare le basi del futuro sistema dell’energia. Questo obiettivo prevede l’uso delle rinnovabili e anche del carbone, ma richiede sistemi di stoccaggio e meccanismi validi di determinazione del prezzo.

Le riforme in materia varate nell’ottobre 2021 in risposta ai blackout potrebbero contribuire a uniformare le condizioni di mercato e a rendere economicamente più competitive le rinnovabili. Inoltre, nel dicembre 2021 alti funzionari cinesi hanno indicato nella sicurezza energetica la massima priorità, individuando nel graduale sviluppo delle rinnovabili uno dei tanti modi per perseguirla. Sebbene eolico e solare abbiano rendimenti discontinui, infatti, offrono benefici concreti in termini di sicurezza degli approvvigionamenti: data l’assenza di costi per il combustibile, possono concorrere a stabilizzare prezzi dell’elettricità che risentono delle quotazioni volatili di gas e petrolio. Inoltre, non sono soggetti ai colli di bottiglia — soprattutto marittimi, come lo stretto di Hormuz – che punteggiano le rotte degli idrocarburi.

Con il proseguire delle riforme, il mercato energetico può svolgere un ruolo crescente nell’accelerare la transizione alle energie pulite cambiando le decisioni d’investimento degli attori economici e le preferenze dei consumatori, dato che i parchi eolici e solari di nuova costruzione possono competere con i prezzi dell’energia prodotta dalle centrali a carbone.

Negli ultimi dieci anni la Cina è divenuta il primo paese al mondo per potenza eolica e fotovoltaica installata, grazie alle economie di scala dei suoi produttori e al forte sostegno legislativo. Di recente i sussidi per le rinnovabili sono stati ridimensionati o cancellati e di conseguenza la corsa alle rinnovabili è rallentata: eppure la Cina si appresta a centrare l’obiettivo dei 1.200 GW di solare ed eolico installati entro il 2030 (dai 600 GW del 2021).

 

Una transizione estremamente graduale

La produzione e l’installazione di impianti per le rinnovabili in Cina proseguiranno dunque a ritmo crescente, dato che rispondono a priorità sia industriali che di sicurezza energetica. Ma l’aumento delle autorizzazioni per nuove centrali a carbone nei primi sei mesi del 2022 (il maggiore dal 2016) resta motivo di preoccupazione. Ciò detto, si osserva un rallentamento nell’avvio, nel completamento e nell’annuncio di tali progetti, perché la loro esecuzione non dipende dal governo bensì dalle aziende del settore. Queste, malgrado gli obiettivi fissati dal governo di aumento della capacità generativa legata al carbone, mostrano evidentemente cautela verso una fonte che nell’ultimo anno si è rivelata assai poco redditizia.

 

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Come conciliare queste dinamiche divergenti? Le priorità energetiche e industriali della Cina puntano al rapido sviluppo delle rinnovabili, la cui integrazione nell’attuale sistema energetico sarà favorita dalle dinamiche dei prezzi e dalle riforme del mercato. Al contempo però, l’importanza del carbone nel sistema energetico e nell’economia politica cinesi indica che un abbandono del carbone sarà molto problematico. Ciò suggerisce che l’allineamento delle emissioni cinesi all’obiettivo dichiarato della neutralità carbonica entro il 2060 sarà estremamente graduale.

I piani governativi sono abbastanza concreti da indicare la direzione generale, ma abbastanza vaghi da fare sì che il ritmo del cambiamento sia dettato dagli imperativi di breve termine e dalle dinamiche territoriali.

 

 


[1] BP Statistical Review of World Energy, 2022.

 

 

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