Purtroppo, i segnali erano piuttosto chiari che vi fosse in Donald Trump una spinta, quasi una pulsione, non soltanto strategica e calcolata ma personale ed emotiva, a rompere gli argini istituzionali. Si noti bene: non soltanto i vincoli culturali del politically correct o di un establishment politico incardinato sia nel Congresso che nell’amministrazione federale; Trump ha mostrato fin dall’inizio la volontà di spezzare le stesse catene decisionali del sistema di governo americano.
Il momento in cui la folla rompe le finestre del Congresso USA e penetra all’interno. Fonte: Washington Post.
Avrebbe forse potuto essere frenato, meglio consigliato, indirizzato da qualche collaboratore fidato – ma quasi nulla di tutto ciò è accaduto. In alcune occasioni le Forze Armate sembrano aver svolto un ruolo di moderazione, se non proprio di opposizione diretta, e in altri casi l’apparato giudiziario (fino alla Corte Suprema) ha fissato dei paletti invalicabili. Nel frattempo, la squadra di governo è stata praticamente annichilita dalla personalità e dai metodi comunicativi del Capo dell’Esecutivo, con una rotazione troppo frequente delle figure-chiave per consentire qualsiasi dialettica interna. Il Partito Repubblicano ha invece scelto sistematicamente l’acquiescenza, scommettendo sulla forza elettorale del Presidente o temendone la vendetta – al contrario di quanto alcuni avevano sperato.
Basta ripercorrere le tappe principali di questa parabola presidenziale per farsi un’idea del piano inclinato su cui il Paese è stato posto a partire dalla campagna elettorale del 2016. Proprio la circostanza che si possono citare analisi pubblicate da chi scrive (tra le molte altre, spesso più approfondite, apparse su Aspenia online), senza dover ripetere quanto già scritto, rivela quanto – purtroppo – la forza di gravità abbia fatto il resto lungo il piano inclinato.
La contesa presidenziale del 2016 fu vinta da Donald Trump, con la “scalata ostile” di un outsider ai danni del Partito Repubblicano, portando alla Casa Bianca dei veri demoni: quello della cospirazione politica e mediatica – contro di lui anzitutto, ma anche contro l’americano medio; quello della cospirazione economica nel contesto della globalizzazione – a tutto vantaggio di una ristretta fascia di ricchi super-istruiti; e infine quello della paura – soprattutto nei cittadini bianchi – per un futuro demografico e culturale che si vuole in pratica fermare. Quei demoni non hanno mai abbandonato la politica americana.
E’ quasi subito emerso in tutta evidenza il “metodo-Trump”: i ruoli istituzionali vengono utilizzati soltanto in base a rapporti di forza e lealtà individuale, mentre c’è una quasi totale personalizzazione dell’esercizio del potere presidenziale.
Si è poi assistito al rapido superamento di un’illusione che molti avevano nutrito: che Trump fosse un mago dei negoziati o degli accordi pragmatici, soprattutto in politica estera. In realtà, il suo fondamentale punto di riferimento – per quanto paradossale – è una sorta di ossessione per Barack Obama, che diventa una bussola politica, naturalmente invertita.
Si manifestano intanto i vari effetti dell’assenza internazionale degli Stati Uniti, che è peggio di un’abdicazione perché accompagnata a un’opera di erosione dei rapporti di alleanza e dei metodi della cooperazione multilaterale – come se questi fossero il problema in sé invece che uno strumento imperfetto ma spesso utile.
Poi giunge la più forte reazione da parte dell’opposizione interna, cioè la procedura di impeachment voluta dai Democratici: bloccata come previsto dalla maggioranza dei Repubblicani al Senato, è comunque una macchia indelebile per un Presidente e soprattutto una ferita per il Paese. La conferma drammatica della spaccatura insanabile tra “due Americhe” è raffigurata dalle immagini dello State of the Union del febbraio 2020, quando il Presidente rifiuta di stringere la mano della Speaker of the House, Nancy Pelosi, la quale da parte sua straccia il testo del discorso presidenziale.
Infine arriva la pandemia, e la presidenza finisce in terapia intensiva, per non uscirne più. Il resto è la cronaca di queste ultime settimane, cioè di una vera crisi costituzionale le cui premesse furono poste molto prima.
A conclusione di questa parabola, il Presidente uscente, rifiutando di accettare la sconfitta alle urne, ha tentato di far crollare il tempio del sistema politico americano: “muoia Sansone con tutti i filistei”. Le immagini di Capitol Hill assediata ed evacuata, con le cariche delle forze dell’ordine, i morti e i feriti, sono ormai il fardello di Joe Biden e della sua amministrazione. Si tratta di capire ora quanti americani vorranno fare la fine dei filistei.