E se il 2015 fosse davvero l’anno di Cipro? La riunificazione definitiva dopo 41 anni di traumatica divisione – sulla base di una federazione “bi-zonale e bi-comunitaria”, auspicata sin dall’accordo quadro del 1977 – sembra infatti a portata di negoziato. I fattori necessari all’intesa appaiono tutti allineati virtuosamente: la Turchia è concretamente favorevole sin dal 2004, quando il “piano Annan” venne accettato dai turco-ciprioti e rifiutato dai greco-ciprioti; la Grecia non ha obiezioni significative e ha al momento tutt’altre priorità; il presidente greco-cipriota Nicos Anastasiades nel referendum del 2004 era schierato a favore del sì; il leader turco-cipriota Mustafa Akıncı dal momento della sua elezione, lo scorso maggio, ha dato l’impulso giusto e trascinante per la ripresa delle trattative (di nuovo ferme, dopo la storica “dichiarazione congiunta” dell’11 febbraio 2014).
E anche le rispettive opinioni pubbliche mostrano ottimismo: gli oltranzisti greco-ciprioti continuano nella loro retorica fondata sul rigetto, ma è nettamente prevalente l’entusiasmo costruttivo di chi nelle due comunità non ha mai smesso di organizzare eventi e progetti condivisi, così da preservare lo spirito di cooperazione che – prima degli scontri inter-etnici del 1964 – sull’isola di Afrodite era la regola e non l’eccezione. Un esempio concreto: l’impegno comune – con avallo politico, naturalmente – per il riconoscimento imminente della “designazione di origine protetta” europea dell’halloumi/hellim, il formaggio che per tutti i ciprioti è motivo di orgoglio nazionale e che negli ultimi decenni è stato motivo di polemiche fratricide. Intanto, già si parla del recupero, grazie a imprenditori delle due comunità, del centro turistico di Varosha – nei pressi della città medievale di Famagusta – off limits da 41 anni: così da (ri)costruire gradualmente la reciproca fiducia. Le giovani generazioni, soprattutto, in maggioranza militano attivamente per la riunificazione, con tanto di hashtag #TearDownTheWall.
2015, o al massimo 2016. Secondo Akıncı la riunificazione dovrà essere formalizzata assolutamente entro maggio del prossimo anno: prima cioè del rinnovo del parlamento nella Repubblica di Cipro, così da non dar modo agli oppositori di conquistare posizioni dalle quali procedere al sempre possibile sabotaggio. Bisogna insistere adesso: e Anastasiades lo sta assecondando. I due leader negli ultimi mesi si sono infatti incontrati regolarmente e frequentemente, per sette volte e da ultimo martedì 1 settembre nella buffer-zone di Nicosia; e altri incontri sono previsti, sempre sotto l’egida del rappresentante dell’ONU, il norvegese Espen Barth Eide. Nel frattempo, ci saranno riunioni dei comitati tecnici – hanno il compito di dare contenuto formale e mutualmente accettabile alle conversazioni politiche – pressoché ogni giorno.
Ma chi conosceva Akıncı di certo non è rimasto sorpreso: da sindaco della porzione turco-cipriota di Nicosia, negli anni Ottanta, insieme al collega greco-cipriota Lellos Demetriades aveva già dato vita ad esempi di gestione in comune di risorse e servizi, dalle fognature al master plan per la preservazione del centro storico medievale e veneziano della capitale. È invece rimasto spiazzato il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, per delle dichiarazioni iniziali in cui il presidente della Repubblica turca di Cipro settentrionale rivendicava maggiore autonomia da Ankara; ma lo scontro, dai toni anche accesi, è presto rientrato: soggetti a un devastante embargo internazionale, i turco-ciprioti continuano a dipendere economicamente dalla Turchia.
Il nuovo round negoziale tra Anastasiades e Akıncı – tra l’altro, sono tutti e due originari di Limassol – ha segnato dei passi in avanti, ma non è di certo stato risolutivo: le convergenze da perfezionare nei prossimi mesi sono infatti ancora molte e tutte delicate. Dopo il vertice, il rappresentante dell’ONU ha parlato di “dialogo costruttivo”, il presidente greco-cipriota si è dichiarato “cautamente ottimista”, il suo omologo turco-cipriota ha come suo solito espresso parole incoraggianti, mentre Jean-Claude Juncker – in un colloquio con Anastasiades – ha confermato la volontà della Commissione Europea “di contribuire agli attuali sforzi per una soluzione della questione cipriota”.
Come spiegato nel comunicato di Eide, negli ultimi colloqui si è parlato soprattutto di governance e delle proprietà dei rifugiati greco-ciprioti e turco-ciprioti, costretti ad abbandonare rispettivamente il nord e il sud dell’isola dopo il colpo di stato filo-ellenico e l’intervento militare turco (poi trasformatosi in occupazione) del 1974: proprietà che rappresentano il tema più spinoso da affrontare, perché il modo in cui verrà risolto – in larga parte attraverso risarcimenti, con decisioni definitive demandate a una commissione mista e paritaria – avrà un impatto diretto su centinaia di migliaia di persone. Sembra invece ormai mutualmente accettata l’idea che l’istituenda federazione – due regioni etnicamente omogenee con piena uguaglianza politica, cittadinanza e sovranità unica – avrà un nuovo nome e una nuova bandiera, ma sarà la continuazione della Repubblica di Cipro nella membership alle Nazioni unite e nell’Unione Europea (euro compreso); insomma, tutti i cittadini ciprioti – non solo greco-ciprioti, ma anche turco-ciprioti – diventeranno automaticamente cittadini europei.
Gli altri nodi che i negoziati dovranno sciogliere sono non meno impegnativi: i turco-ciprioti chiedono ad esempio una presidenza federale a rotazione, mentre i greco-ciprioti al momento accettano solo l’istituzione di una vice-presidenza riservata alla minoranza; c’è in gioco la sorte dei coloni turchi che si sono insediati nel nord, a cui Akıncı vorrebbe fossero riconosciuti pieni diritti di cittadinanza. Verranno sicuramente discussi alla fine dell’iter l’estensione delle effettive zone di competenza (sono previste rettifiche di frontiera a favore dei greco-ciprioti) e il ruolo delle potenze garanti: cioè, cosa avverrà delle basi militari britanniche, delle truppe greche e soprattutto turche presenti in modo ingombrante sull’isola.
Quali saranno le proposte e le richieste di Ankara in chiave militare? Le posizioni irragionevoli appartengono al passato, la volontà di chiudere la questione cipriota una volta per tutte e di riacquisire spazio di manovra in Europa è chiaramente nell’interesse della Turchia: anche se la delega specifica affidata al leader nazionalista Turgut Türkeş in qualità di nuovo vice-premier – in un governo elettorale che sarà in carica per pochi mesi, però – ha creato malumori tra i greco-ciprioti. D’altra parte, il ministro degli Esteri Ioannis Kasoulidis ha pubblicamente riconosciuto che il presidente Recep Tayyip Erdoğan non sta cercando di imporre il proprio punto di vista ad Akıncı, mentre l’omologo turco-cipriota Emine Çolak ha affermato in una recente intervista che il sostegno turco ai negoziati è un vero e proprio “assegno in bianco”. A riunificazione avvenuta, inoltre, sarà proprio la penisola anatolica il più conveniente punto di transito verso l’Europa per il gas naturale rinvenuto a largo di Cipro: un motivo ulteriore per giungere a quell’accordo che ormai tutti (o quasi) non solo auspicano ma credono finalmente possibile.