Mercoledì 3 settembre, a Pechino, il presidente cinese Xi Jinping, l’omologo russo Vladimir Putin e il leader nordcoreano Kim Jong-un camminano in testa a un corteo di dignitari stranieri confluiti in piazza Tienanmen per assistere alla parata in occasione dell’80° anniversario dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Parlottano, si scambiano sorrisi. I microfoni della televisione di Stato cinese catturano una strana conversazione. “Ora le persone a 70 anni sono ancora giovani” – dice Xi – “Un tempo difficilmente la gente viveva oltre i 70 anni, ma oggi a 70 anni… sei ancora un bambino”.
Chissà se nel 2035 Xi, che oggi ha 72 anni, sarà ancora presidente della Repubblica Popolare e segretario generale del partito comunista. Rimossi i limiti al mandato presidenziale, probabilmente solo la salute potrebbe costringerlo al pensionamento. Eppure quella data sopravviverà anche a lui, immortalata nei documenti ufficiali presentati durante l’ultimo Congresso del partito nel 2020.
Il 2035 segna infatti il momento in cui i dirigenti cinesi puntano a completare la cosiddetta “modernizzazione socialista”, termine che alle nostre latitudini può suonare anacronistico ma che in realtà presuppone obiettivi molto concreti: “maggiore autosufficienza e forza nella scienza e nella tecnologia”; un sistema migliore di “distribuzione del reddito, occupazione e previdenza sociale, servizi pubblici di base più equilibrati e accessibili, così da assicurare la “prosperità comune per tutti”; “protezione ecologica” e perseguimento di “uno sviluppo verde e a basse emissioni di carbonio, al fine di promuovere l’armonia tra umanità e natura”; un “sistema di sicurezza nazionale, attraverso la creazione di “nuove istituzioni, meccanismi e metodi per la governance sociale per costruire una nuova architettura di sicurezza”.
E’ un percorso di lungo periodo che prevede nell’arco del prossimo decennio fasi intermedie: due piani quinquennali, lascito dell’economia pianificata di stampo sovietico e poi maoista, scandiranno il tortuoso corso verso il massimo compimento del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Il primo comincerà nel 2026 e sarà finalizzato a dotare la Repubblica Popolare di una maggiore resilienza economica davanti a vecchie e nuove sfide. Se infatti il 14° piano quinquennale (2021-2015) si inseriva nel quadro della pandemia da Covid-19 e della conseguente prima contrazione del PIL cinese in oltre quattro decenni, il 15° dovrà tenere conto non solo dei vecchi problemi irrisolti, ma anche delle nuove incertezze internazionali, provocate dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e in generale dal nuovo atteggiamento americano e dall’evoluzione dello scacchiere internazionale. Secondo l’autorevole Accademia Cinese delle Scienze Sociali, il tasso di crescita economica della Cina per il periodo 2026-2030 si attesterà al 4,88%, rispetto al 5,3% del primo semestre di quest’anno.
I contenuti esatti del piano saranno discussi solo nel mese di ottobre, quando si terrà la quarta riunione plenaria del 20° Comitato centrale del partito, nell’attesa che a marzo il parlamento approvi il testo finale. Ma qualche anticipazione lascia intuire le priorità dei dirigenti. Xi Jinping è stato molto chiaro lo scorso aprile durante un simposio sullo sviluppo economico: “Durante il periodo di pianificazione, è essenziale adottare un approccio lungimirante per valutare l’impatto degli sviluppi globali sulla Cina, adattarsi al mutevole panorama internazionale”. Ma ha anche rimarcato la determinazione a perseguire “un’apertura ad alto livello verso il mondo”.
Il ricordo dell’interruzione della catena di approvvigionamento globale del periodo pandemico (con conseguente crollo, tra le altre cose, delle forniture di circuiti integrati) continuerà a incentivare la diversificazione dei rapporti commerciali nonché una riduzione della dipendenza dalle importazioni di materiali critici, quali litio e grafite.
In segno di continuità con il 14° piano quinquennale nel prossimo lustro la lista delle priorità vedrà primeggiare lo sviluppo scientifico e tecnologico. O come dicono nei palazzi del potere, le “nuove forze produttive di qualità”, ovvero prodotti ad alto valore aggiunto in grado di colmare il divario con le economie più avanzate in termini di qualità. Ma anche capaci di rilanciare i settori tradizionali, favorendo la costruzione di un sistema industriale avanzato. L’iniziativa AI Plus, lanciata ad agosto, ad esempio, mira a integrare l’intelligenza artificiale in un’ampia gamma di settori per migliorare l’automazione, aumentare la produttività, ridurre i costi operativi e accelerare la trasformazione digitale dell’economia cinese. Un processo in cui il partito, dopo la stretta degli ultimi anni sulle big tech, sta cercando di coinvolgere di nuovo il settore privato – rappresentato dai vari DeepSeek, Ant Group, BGI Genomics – vero motore dell’innovazione.
Anche a fronte dei primi importanti traguardi ambientali (raggiungere il picco delle emissioni di carbonio entro il 2030, e arrivare alla neutralità carbonica nel 2060) le tecnologie verdi resteranno tra i segmenti industriali più importanti del prossimo quinquennio. Occorre però correggere la concorrenza “di tipo involutivo”, ossia la guerra dei prezzi che sta rosicchiando i profitti nel fotovoltaico così come nel settore delle auto elettriche e delle consegne a domicilio, dove sono sempre più attive alcune delle principali aziende di e-commerce, come Alibaba e JD.
Non perde importanza nemmeno la necessità di rafforzare la domanda interna, considerata ormai da tempo potenziale salvagente davanti alla progressiva chiusura dei mercati esteri al made in China. Non sono solo Stati Uniti ed Europa a respingere la sovracapacità industriale della Repubblica Popolare. Anche nel Sud globale i flussi massicci di veicoli elettrici e merci cinesi a basso costo cominciano a scontrarsi con le prime barriere commerciali.
Agli ostacoli strutturali – contrazione demografica in primis – si aggiunge la riluttanza dei cittadini a spendere in un contesto economico incerto, soprattutto dopo il tracollo del settore immobiliare, che in Cina rappresenta in media il 70% del patrimonio famigliare. La ricetta promossa da Pechino, con discreto riscontro, nell’ultimo anno ha previsto sussidi statali per beni durevoli (elettrodomestici, auto, prodotti per la casa). Ma sul lungo termine servono politiche strutturali per aumentare i redditi, ridurre il divario tra aree urbane e rurali, nonché fornire sostegno ai ceti medio-bassi.
Sconfitta – almeno ufficialmente – la povertà assoluta nel 2021, nel corso degli ultimi anni, la rivitalizzazione delle regioni agricole è evoluta in qualcosa di più ambizioso: non si parla più solo di migliorare i mezzi di sussistenza rurali, ma anche di garantire la sicurezza alimentare, promuovere la transizione verde e ampliare i consumi interni. In linea con le “nuove forze produttive”, gli obiettivi del governo includono l’introduzione di tecnologie e pratiche agricole innovative, un ulteriore sviluppo dell’e-commerce rurale e della logistica. Ma anche maggiore responsabilità da parte dei datori di lavoro in materia di protezione sociale per i lavoratori migranti, comprese assistenza sanitaria, pensioni e indennità di disoccupazione.
Quello della sicurezza sociale resta uno dei nodi più difficili da sciogliere. Secondo gli esperti il fondo pensionistico statale potrebbe esaurirsi entro il 2035. Correndo ai ripari, le autorità cinesi hanno stabilito che dal 1° settembre tutti i datori di lavoro devono contribuire ai benefit dei propri dipendenti, per sostenere le pensioni, l’assistenza medica, e il congedo di maternità. Si tratta di una misura già in vigore da tempo ma che una recente interpretazione della Corte Suprema (organo subordinato al partito) ha reso non più aggirabile.
Finora molte persone hanno preferito siglare accordi informali con i titolari per intascare subito più soldi per le loro necessità quotidiane anziché pretendere il versamento dei contributi. Ora l’inasprimento del quadro normativo rischia di esacerbare i contraccolpi del rallentamento economico: come conseguenza della revisione, i piccoli imprenditori lamentano un aumento del costo del lavoro, mentre i dipendenti temono licenziamenti o riduzioni degli stipendi per compensare la spesa destinata alla previdenza sociale. Come conseguenza più persone potrebbero optare per lavori a tempo parziale, precari e sottopagati, con il rischio di abbassare il tasso di occupazione formale e alimentare un sistema contraddistinto da tutele ancora basse.
La questione welfare è dirimente per poter raggiungere il traguardo della “modernizzazione socialista”. Tra le oltre 3.113.000 proposte per il 15° piano quinquennale sottoposte dai cittadini al governo attraverso apposite app figurano proprio “più politiche di sussidi per l’educazione dei figli, oltre all’istituzione di meccanismi legati a detrazioni fiscali sul reddito e garanzie abitative”. Molte persone ritengono sia necessario ampliare la copertura assicurativa per la maternità per i lavoratori informali e aumentare la quota di iscrizione all’assicurazione sanitaria per i neonati. La demografia sta infatti incombendo su un Paese in cui il tasso di fertilità si attesta intorno agli 1,1 figli per donna, tra i più bassi del mondo, e dove la popolazione sta ormai diminuendo per il terzo anno consecutivo.
Riuscire a soddisfare tali aspettative favorirebbe anche un aumento dei consumi interni. Fallire invece nell’immediato potrebbe avere ripercussioni non solo economiche ma anche politiche. Secondo China Dissent Monitor, piattaforma gestita dal gruppo per la difesa dei diritti umani Freedom House, nel 2024 le manifestazioni di protesta sono aumentate del 39% su base annua, soprattutto quelle imputabili principalmente a problemi finanziari.
In qualche misura, e seppure nelle classiche modalità di un regime come quello cinese, la stessa leadership riconosce in sostanza queste sfide: “È necessario porre maggiore enfasi sul coordinamento tra sviluppo e sicurezza, affrontando al contempo i rischi e le sfide interne ed esterne con un approccio onnicomprensivo, migliorando il sistema di sicurezza nazionale e potenziando la capacità di salvaguardare la sicurezza”, ha dichiarato Xi ad aprile.
Tra epurazioni nell’esercito e sporadiche assenze dai riflettori mediatici, la maestosa parata per il Giorno della Vittoria sembra aver definitivamente smentito le voci che da settimane davano il presidente gravemente malato o addirittura vittima di un colpo di Stato. Per Xi, le insidie, quelle vere, però permangono. Il 2035 sembra lontano ma per il capo di Stato cinese la “modernizzazione socialista” è una scommessa che va vinta oggi.