L’attenzione di policy maker, media, consumatori e imprese di tutto il mondo è sempre più focalizzata su alcuni temi principali: ambiente e cambiamento climatico, ridefinizione degli equilibri politici mondiali e protezionismo, diseguaglianze e connesso populismo, migrazioni e gestione dei flussi migratori, crescita economica in rallentamento e rischi connessi al livello del debito.
La portata catastrofica di questi temi è sicuramente enfatizzata in maniera sproporzionata dai media, spesso spinti anche da (legittimi) interessi di parte, siano essi degli editori o di gruppi lobbistici. Il risultato però è spesso la perdita di vista della dimensione dei problemi come ce li descrivono i dati. Ecco alcuni esempi.
La catastrofe annunciata per il 2030 da Greta Thunberg e dal movimento che a lei si ispira non trova corrispondenza nelle analisi dell’IPCC (il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici), della NASA e dei maggiori centri di studi di climatologia mondiali.
La correlazione e soprattutto la causalità tra diseguaglianze di reddito e populismo è spesso data per scontata. Molte analisi economiche quantitative danno però risultati tutt’altro che definitivi sia sull’aumento delle disuguaglianze che sui motivi molto complessi dietro l’ascesa dei populismi.
La stessa escalation del confronto tra grandi potenze del pianeta con annesse guerre commerciali è lontana dal minacciare una recessione globale, almeno nei termini attuali della guerra tariffaria intrapresa da Donald Trump. Il debito globale, pur essendo più alto in proporzione al pil oggi che prima della crisi del 2008, non presenta (con poche eccezioni) profili di rischio sistemico.
L’unico tema che non ha bisogno di essere enfatizzato, data la sua gravità e dimensione è quello delle migrazioni. O meglio la gestione delle migrazioni da parte dei paesi verso cui il flusso migratorio si rivolge.
Fatta questa doverosa premessa relativa sia alla dimensione che alla difficoltà di individuare le radici profonde dei temi globali oggi alla ribalta, appare fondato considerare i temi sopra indicati come le questioni di fondo che i policy maker si trovano ad affrontare e che rappresentano i rischi più evidenti per la sostenibilità economica, sociale e ambientale del pianeta.
A fronte di questi temi di rilevanza storica, come da tradizione si sono tenuti poche settimane fa gli Spring Meetings, evento congiunto della Banca Mondiale (BM) e del Fondo Monetario Internazionale (FMI). L’obiettivo degli Spring Meetings è monitorare l’andamento dell’economia globale e dei fattori che ne costituiscono e ne costituiranno i driver nel futuro, in modo da verificare e indirizzare l’attività di FMI e BM.
Secondo quanto indicato da Christine Lagarde, l’economia globale è vista passare, rispetto a un anno fa, da un periodo di crescita sincronizzata (3,6% per il pil mondiale valutato in PPP) – ossia con una quota elevata di paesi in crescita – a un periodo di rallentamento sincronizzato relativo al 2019 (3,3%), con un 2020 atteso in recupero (3,6%) grazie alle politiche monetarie e di bilancio più espansive messe in atto in molti paesi (come dettagliatamente spiegato nel World Economic Outlook pubblicato in aprile). Questa valutazione è in linea con quella di gran parte degli analisti dei maggiori istituti di previsioni, pur se questi ultimi manifestano mediamente maggiore cautela per quel che riguarda il 2020. Il motivo di questa differente valutazione riguardo al 2020 è da ricercarsi nella sottostima da parte FMI/BM della probabilità e della dimensione dei rischi al ribasso.
Tra questi, alcuni sono da ricercarsi tra i temi di fondo elencati all’inizio. In particolare, il ritorno a pratiche protezionistiche, la sempre più elevata influenza dei movimenti populisti sulle politiche economiche e l’impatto negativo per la crescita economica derivante dal processo di deleveraging del debito con cui molti paesi si trovano e si troveranno a fare i conti. Pur se il rischio di default a impatto sistemico appare limitato (con le possibili eccezioni del settore privato cinese e del settore pubblico italiano), circa il 40% dei paesi a basso reddito si sta confrontando con seri livelli di stress da debito e una nuova ondata di crisi del debito potrebbe materializzarsi rendendo complicato il raggiungimento degli obiettivi elencati nei Sustainable Development Goals (SDG) fissati dall’ONU per il 2030.
Date le “mission” rispettive del FMI e della BM, la questione del debito e le sue criticità declinate in funzione della sua tipologia (pubblico o privato) e dei paesi o gruppi di paesi ha ricevuto un alto grado di attenzione. Tuttavia, nessuna proposta si è materializzata sul tema scottante della riforma dei meccanismi di ristrutturazione del debito sovrano – con il rappresentante FMI (David Lipton) che ha sottolineato la mancanza di volontà da parte della comunità internazionale, probabilmente un riferimento al mondo finanziario e alle posizioni dell’amministrazione americana.
A dire il vero, Lagarde ha indicato l’esistenza di ulteriori fattori di rischio quali le tensioni commerciali, il populismo e la Brexit (trascurando altri fattori) ma nel suo intervento di apertura – che come tutti gli interventi di apertura svela il messaggio politico dell’evento – questi fattori di rischio sono apparsi più che altro strumentali al richiamo a un “nuovo multilateralismo” e di un “imperativo di cooperazione internazionale”. Né Lagarde è stata reticente su questo richiamo, adducendolo come motivo per una agenda degli Spring Meetings più lunga degli anni precedenti, in modo da consentire di focalizzare il dibattito sui vari livelli di cui il “nuovo multilateralismo” si compone. Nella sessione dedicata al 75° anniversario di Bretton Woods, da cui nacquero alcuni pilastri della cooperazione internazionale, tra cui lo stesso FMI e la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (oggi parte della BM) sono state avanzate proposte per un nuovo e più moderno ruolo del FMI come pivot di un sistema monetario caratterizzato da più monete di riserva.
Nello sforzo di rilanciare una politica internazionale basata sul multilateralismo, sono stati approfonditi temi che per definizione richiedono uno sforzo di cooperazione globale, quali la riforma del sistema di tassazione internazionale e la guerra alla corruzione, entrambe sempre più sfuggenti alle regolamentazioni nazionali. Purtroppo, anche a questo proposito l’efficacia del sistema FMI/BM appare condizionata da equilibri politici e lobbistici difficili da conciliare. Il focus sulla corruzione dei paesi in via di sviluppo da un lato e dall’altro la possibilità di agire come tax haven per molti paesi avanzati ne sono due esempi.
Su alcuni punti fondamentali come il protezionismo e il cambiamento climatico l’agenda è poi apparsa debole e il dibattito quasi assente. La problematica delle tariffe e della guerra commerciale avviata dagli USA non è stata menzionata nell’intervento introduttivo ed è risultata assente nelle circa settanta sessioni tenutesi nell’ambito degli Spring Meetings, eccezion fatta per qualche accenno – come nell’intervento del Ministro delle Finanze norvegese Siv Jensen in una sessione di argomento molto generico come “Key Global Trends and Implications for the Fund’s Policy Advice”.
Tuttavia, nel suo discorso introduttivo, Lagarde ha indicato la necessità di revisione strutturale del commercio internazionale al fine di affrontarne le distorsioni e le pratiche scorrette. Questo punto di vista riconosce i punti principali della posizione USA (che accusa la Cina di pratiche scorrette), e allo stesso tempo ha consentito a Lagarde di rilanciare una volta di più il ritorno al multilateralismo, indicando un WTO riformato come lo strumento più appropriato per riequilibrare il sistema di barriere tariffarie e non-tariffarie oggi presenti nel commercio mondiale.
L’altra grande questione poco approfondita nel dibattito è stata quella ambientale. Mentre il mondo intero si interroga su come, quanto e in che tempi ridurre il contributo umano all’innalzamento delle temperature, solo una sessione è stata dedicata a questo complesso problema. La sessione “ambientale” è consistita peraltro solamente di una intervista al divulgatore scientifico britannico David Attenborough da parte di Lagarde; è mancato un dibattito e non sono stati toccati temi come l’equilibrio demografico, la sostenibilità delle politiche economiche, il contributo allo sviluppo tecnologico, la necessità di investimenti e come essi possano essere finanziati. L’intervista a Sir Attenborough è stata un grido di allarme per la situazione del pianeta e un appello a far presto per evitare tragedie imminenti. Nessun cenno è stato fatto nel corso del convegno alla contraddizione di una BM che presenta una posizione di alto profilo sulla questione del cambiamento climatico e allo stesso tempo fornisce molto più project finance ai progetti infrastrutturali che poggiano sui combustibili fossili che sulle energie rinnovabili.
Grande risalto è stato dato invece al dibattito sulle nuove tecnologie e le opportunità e le implicazioni che esse avranno sull’economia, sull’occupazione, sulla finanza, sulla società e sui paesi in via di sviluppo. Inaspettatamente, il FMI richiama l’attenzione sulle opportunità e le sfide dell’innovazione tecnologica derivante dall’avvento della blockchain nel mercato dei capitali, accompagnate da considerazioni di cautela sui temi legali, di regolamentazione e di competizione. Sorprende meno che in un periodo storico in cui si stanno affacciando nuove tecnologie, in pressoché tutte le aree della società (dalla salute, all’energia, all’internet of things, ecc.) le sessioni degli Spring Meetings abbiano posto l’enfasi proprio sugli aspetti tecnologici che richiedono maggiore cooperazione internazionale per sviluppare gestione e supervisione delle macchine e dei software – come ad esempio AI, robotics, fin-tech, cyber-security e appunto blockchain.
In sintesi, gli Spring Meetings del 2019 hanno dato il loro classico contributo di riflessione su importanti temi recenti sia economico/finanziari che riguardo agli sviluppi critici della società in generale e soprattutto dei paesi più deboli. Ma ci lasciano la spiacevole sensazione di un’istituzione che per decenni è stata al cuore delle relazioni internazionali e che fatica a ricavarsi un nuovo ruolo nella gestione delle “questioni di fondo”. Intanto, il mondo è caratterizzato da mutamenti veloci, e alcuni dei protagonisti principali pensano di che del FMI, in fin dei conti, si potrebbe fare a meno.