Dal censimento ufficiale degli Stati Uniti realizzato nel 2020 (il precedente risale al 2010) emergono diversi sviluppi degni di nota. La storia della nazione è stata contraddistinta dal costante — e a tratti rapido — aumento della popolazione e caratterizzata dalla mobilità geografica. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, fatta eccezione per alcuni specifici periodi, sono sempre stati accoglienti nei confronti degli immigrati, che hanno contribuito all’aumento della popolazione e alla ricchezza della nostra cultura.
I dati più recenti indicano una battuta d’arresto delle tendenze che hanno definito quello statunitense come popolo e come nazione. Le principali tendenze rilevate nel 2020 mostrano: un’inedita stagnazione nella crescita complessiva della popolazione; una popolazione anziana in rapida crescita; un calo costante della popolazione bianca; un aumento della diversità razziale ed etnica, specialmente fra gli americani nati dopo il 1980; la previsione di un ulteriore rallentamento della crescita dopo il 2030.
Queste tendenze sono importanti non solo perché determinano una discontinuità nei vettori demografici che hanno accompagnato il paese per molto tempo, ma anche perché richiedono significativi cambiamenti culturali e politici nella gestione complessiva del governo, dell’economia e delle relazioni sociali. Esaminiamo alcune di queste tendenze, valutandone le conseguenze.
IL DECLINO DELLA POPOLAZIONE BIANCA E L’INFLUENZA MILLENNIAL. La verità è che gli Stati Uniti sono sempre stati multirazziali nei numeri, nelle influenze culturali e nella forza lavoro, così come nella lingua e nei costumi, ma il percorso verso una “nazione a maggioranza minoritaria” sta continuando a ritmo serrato.
C’è in primo luogo il forte declino della popolazione bianca, e con essa della percentuale di americani caucasici. Se il numero totale dei bianchi dagli anni Settanta e Ottanta a oggi è cresciuto di 71,2 milioni, fra il 2010 e il 2020 la crescita è stata di soli 2,8 milioni. Un fattore trainante è stato l’invecchiamento dei bianchi e la crescita di “Millennial” e della “Generazione Z”. Oggi i Millennial (nati fra il 1980 e il 1996) rappresentano il 22% della popolazione totale, seguiti dagli appartenenti alla GenZ (nati fra il 1996 e il 2012), che si attestano al 20,3%. I nati dopo il 2012 rappresentano l’8,4%. Il totale complessivo degli americani che hanno meno di 43 anni è del 50,7%. I “Boomer” (nati fra il 1946 e il 1964) sono il 21,8%, gli appartenenti alla “Generazione X” (nati fra il 1965 e il 1979) sono il 19,9% e i nati prima del 1946 sono il 7,6%. La composizione razziale di queste fasce di età è molto diversa.
Si prevede che la percentuale di americani neri resterà costante, mentre coloro che si identificano come ispanici, asiatici, isolani del Pacifico o altro continueranno a crescere. Gli isolani del Pacifico dovrebbero raddoppiare, fino a raggiungere i 46 milioni entro il 2060. I numeri sono chiari ma la storia che raccontano è molto più importante. Gli sforzi fatti da molte aziende e agenzie per creare iniziative di “diversità, equità e inclusione”, per meglio rappresentare il crescente multilinguismo dei loro dipendenti e delle comunità a cui si rivolgono, non sono esoterici o accademici. Si tratta di una necessità assoluta. Col mutare della composizione del loro contesto, queste istituzioni dovranno essere più culturalmente sensibili alle questioni di razza ed etnicità, oltre che a quelle dell’età.
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Man mano che i lavoratori giovani diventeranno una maggioranza sempre più ampia, i datori di lavoro dovranno adeguarsi a nuovi tipi di famiglie e di rapporti di lavoro, dovranno favorire lo sviluppo di squadre anziché di strutture decisionali gerarchiche e dovranno prestare più attenzione alle interazioni fra i nuovi dipendenti, più giovani e impazienti, e i loro mentori, meno attenti all’uso del tempo.
I Millennial e gli appartenenti alla GenZ sono impegnati nelle comunità in cui vivono o da cui provengono. Sempre più aziende devono prestare attenzione al tempo libero dei dipendenti e ad altre forme di attivismo. Gli adulti degli anni Sessanta marciavano per i diritti civili, è vero, e i giovani perlopiù bianchi del passato erano impegnati a favore del “prossimo”. I giovani di oggi invece marciano per sé stessi, perché i loro numeri riflettono la diversità delle loro comunità e della nazione. Un’alimentazione più sana, la palestra in ufficio, la cucina fusion e la globalizzazione degli “under 40” sono tutti ancora fattori nuovi.
333 MILIONI DI PERSONE E UNA QUESTIONE DA AFFRONTARE. Il censimento è fondamentale non solo per capire chi siano gli americani, ma anche per guidare la spesa del governo e l’allocazione di molte risorse. È uno strumento vitale per urbanisti, costruttori, responsabili delle risorse umane, addetti al marketing, educatori e molti altri professionisti. C’è però un’altra realtà con cui tutti dovranno presto iniziare a fare i conti. Come si devono gestire quelle forze che stanno sempre più pensando, calcolando e operando al posto dei cittadini? C’è un vivace dibattito sul significato dell’intelligenza artificiale e sulle conseguenze che avrà sulle vite individuali e collettive. Questa forza “intelligente” supererà gli uomini e ridefinirà il concetto di umano? Diventeremo servitori delle macchine? Che tipo di influenza avrà l’IA sulla nostra identità e sul nostro ruolo in futuro?
Secondo una visione molto più ottimista di questo scontro fra uomini e macchine, gli uomini hanno la capacità di trascendere i cinque sensi e i compiti di routine per pensare, filosofeggiare sul senso della vita, creare opere d’arte originali, sviluppare relazioni durature, mostrare empatia genuina e autenticità. Le macchine saranno sempre più in grado di lavorare per noi, scrivere i nostri discorsi, pulire le nostre case, monitorare i nostri parametri vitali, spiare le nostre azioni, trovare e usare frasi che ci faranno piangere, ridere, pensare e meravigliare. Ma non sono come noi.
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Indipendentemente dal nostro atteggiamento, l’intelligenza artificiale è qui per restare; i suoi usi, programmi, dimensioni, compiti e capacità stanno crescendo esponenzialmente. È giusto quindi chiedersi se sia sufficiente censire soltanto la popolazione umana, dal momento che queste macchine sono (e saranno) una forza crescente nelle nostre vite che contribuirà a definire chi siamo, che cosa facciamo e che cosa possiamo fare. Forse si dovrà fare un censimento, o meglio un inventario, che misuri la presenza di queste macchine, il loro numero, i programmi e le capacità, i lavori che faranno, la loro collocazione geografica e il modo in cui cresceranno e si svilupperanno. Entro il 2030 l’Ufficio del censimento dovrà mettere a punto un sistema per tracciare questa presenza nelle nostre vite. Il suo impatto è già grande e non può che aumentare.
Anche questo, in breve, indica che gli Stati Uniti sono una nazione composta sempre meno da nativi e sempre più da nuovi arrivati. E, come sempre, dovranno trovare il modo di convivere.
Questo articolo è pubblicato sul numero 2/2023 di Aspenia