La pericolosa debolezza di Putin

 Qualunque cosa accada in Ucraina andrà d’ora in poi analizzata tenendo conto della debolezza politica di Vladimir Putin. Questo è il giudizio di uno dei maggiori studiosi contemporanei di strategia militare, Lawrence Freedman. Ed è un giudizio importante: spiega infatti la rilevanza del fronte interno russo per il futuro di una guerra cominciata otto mesi fa, di cui si vede l’orrore ma non si vede la fine.

Siamo abituati a scrivere con approssimazione che Vladimir Putin è il nuovo Zar del Cremlino, con un potere basato sull’antico compromesso con gli oligarchi e su relazioni privilegiate con i ”siloviki“, anzitutto i servizi segreti. Le cose sono più complicate di così, come era chiaro da tempo. Putin è stato reso vulnerabile, come leader di una “guerra per scelta”, dai successi della contro-offensiva ucraina e dall’attentato al ponte di Kerch, il ponte simbolo dell’annessione illegale della Crimea. Dopo questa ultima umiliazione, il fronte interno è diventato incandescente.

 

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Da una parte, le élite di Mosca stanno per la prima volta capendo di essere in guerra; e che la guerra, fra sanzioni e ostracismo occidentale, danneggia fortemente la Russia. La scelta della (semi) mobilitazione militare ha distrutto il tentativo del Cremlino di “isolare” la società russa dal conflitto in Ucraina. Chi riesce e chi può lascia semplicemente il paese. D’altra parte, gli “ultra-nazionalisti” chiedono a Putin, con l’appoggio di media e blog militari, di combattere finalmente con tutti i mezzi a disposizione e con la stessa brutalità dimostrata in Cecenia e in Siria. E’ il partito della guerra totale, animato da personaggi come il leader ceceno Ramzan Kadyrov e il proprietario delle milizie della Wagner, Yevgeniy Prigozhin. E’ il partito che festeggia la ripresa dei bombardamenti su Kyiv, gli attacchi su dieci altre città dell’Ucraina e l’ennesimo cambiamento dei vertici militari: il nuovo comandante delle forze russe in Ucraina, il generale Sergej Surovikin, ha un curriculum che fa spavento, fra appoggio al golpe contro Gorbaciov nel 1991, condanne per traffico illegale di armi, campagne in Cecenia e distruzione di Aleppo.

Vladimir Putin e Ramzan Kadyrov

 

Perfino nella sua cerchia più ristretta, Putin è per la prima volta oggetto di critiche. In breve: l’andamento del conflitto in Ucraina ha indebolito il leader del Cremlino, sul piano politico e non solo militare. Ciò spinge Putin verso l’escalation in una guerra che è diventata per lui esistenziale: non può perderla senza perdere il potere. Ma una scelta del genere erode anche il consenso, aliena la parte dei militari su cui vengono scaricati gli insuccessi in Ucraina e non risolve il punto fondamentale: Mosca, in difficoltà nel confronto con l’esercito ucraino, non riesce a controllare territori che si è annessa con finti referendum.

Se il fronte interno russo è agitato, il fronte interno americano non si muoverà di molto fino alle elezioni di mid-term dell’8 novembre. E’ vero che Washington ha sempre tenuto aperti canali di comunicazione con Mosca, per evitare incidenti ha spiegato Jake Sullivan, Consigliere alla Sicurezza nazionale. E’ vero anche che gli Stati Uniti sono interessati a indebolire la Russia, junior partner del vero competitore strategico: la Cina di Xi Jinping, che sta per ricevere dal XX Congresso del PCC il suo terzo mandato al potere. Ma Washington è sempre stata attenta a prevenire la possibilità di uno scontro diretto fra Mosca e la NATO. Di qui la linea stretta fra l’importanza dell’appoggio militare e finanziario a Volodymyr Zelenskyi, incluse le nuove forniture di sistemi di difesa aerea, e la scelta di negare a Kyiv mezzi per colpire direttamente la Russia (come missili a più lungo raggio). Insieme al tentativo, non sempre riuscito, di dissuadere azioni ucraine al di là dei confini con la Federazione russa.

 

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Dopo i bombardamenti di Mosca in Ucraina, la linea stretta si allargherà? E cambierà qualcosa se i Repubblicani, al mid-term, conquistassero la Camera o il Senato? Secondo il senatore democratico Chris Murphy, un Congresso guidato dal Grand Old Party, con parecchi sostenitori della linea ambigua di Trump su Russia e dintorni, potrebbe essere più restio a finanziare massicciamente l’Ucraina. Per ora, in verità, l’opposizione repubblicana ha votato al Senato tutte le richieste di Joe Biden relative agli aiuti a Kyiv, fino ai 12 miliardi di dollari aggiuntivi del settembre scorso. L’Ucraina è, come la Cina, un raro terreno di consenso bipartisan. Resta il fatto che un Presidente azzoppato sarebbe un alleato più debole per Zelenskyi. Joe Biden potrebbe tentare di compensare lo stallo di politica interna con la politica estera: esistono parecchi precedenti fra i presidenti americani. Ma è difficile prevedere come questo inciderà sulle scelte verso l’Ucraina e la Russia. Putin sta infatti bruciando, mentre colpisce direttamente i civili, anche gli spazi negoziali.

Fra debolezza del Cremlino, mascherata da forza, e interrogativi che riguardano la Casa Bianca, è indispensabile che tenga intanto il fronte europeo, messo alla prova dalla crisi energetica e dai rischi di recessione economica. L’escalation di Putin unisce i governi, se non le opinioni pubbliche; l’economia di guerra divide.

Mosca non ha ancora rinunciato all’idea di potere piegare gli europei usando l’arma del gas e mezze minacce nucleari. Sta a noi dimostrare il contrario se vogliamo evitare che l’Unione Europea diventi una vittima collaterale del conflitto in Ucraina.

 

 


*Una versione di questo articolo è stata pubblicata su La Repubblica dell’11 ottobre 2022.

 

 

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