Il rebus della nuova coalizione tedesca

Domenica sera i tedeschi sono stati privati della loro “Tatort“, una serie poliziesca in onda ininterrottamente dal 1970: ma, nel cambio con la serata elettorale, ci hanno guadagnato. Delle prime elezioni senza Angela Merkel non è chiaro chi ha vinto, chi guiderà il governo, quale sarà la coalizione che lo sosterrà: un vero e proprio giallo, che non sarà risolto in prime time ma, se tutto va bene, entro Natale.

Il risultato elettorale, in percentuale dei voti validi. Fonte: Die Zeit

 

Olaf Scholz, leader della SPD, chiede ovviamente le chiavi del governo, che in Germania di solito toccano al capolista del partito più votato: “Sono in tanti ad averci scelto, perché vogliono il cambiamento, vogliono che il prossimo cancelliere si chiami Olaf Scholz”, ha dichiarato, parlando di sé in terza persona, posizionato accanto al busto del Cancelliere Willy Brandt. Il leader dell’Union (CDU + CSU) Armin Laschet ha ribattuto che nulla impedisce anche al secondo classificato (lui) di tentare di formare un governo. Che alla guida del Paese vada il capo del secondo partito non è molto comune in effetti, ma successe ad esempio nel 1980, quando la CDU/CSU di Franz-Josef Strauss vinse le elezioni, ma al governo andarono i socialdemocratici di Helmut Schmidt in coalizione coi liberali.

I due pretendenti hanno raccolto dalle urne un risultato simile: 25,7% dei voti il primo, 24,1% il secondo. Ma questi numeri hanno un significato molto diverso tra loro. Quello dei socialdemocratici è un successo che arriva dopo una serie di rovesci, proprio alle scorse elezioni fu toccato il minimo storico vicino al 20%, che avevano fatto addirittura temere l’estinzione di uno dei partiti più antichi della sinistra europea, dalla storia ormai plurisecolare. Certo, il 25,7% non è un risultato oceanico: nel 2013 la SPD guidata da Peer Steinbrück prese gli stessi voti, che però sembrarono un misero bottino di fronte allo schiacciante 41% di Angela Merkel. Oggi però, in una situazione molto più frammentata, basta almeno per cantare vittoria.

Quello di Armin Laschet invece è un chiaro rovescio: quasi il 9% in meno rispetto al 2017. Un rovescio previsto, tanto che la stessa Angela Merkel qualche giorno fa dovette scomodarsi a specificare che sì, avrebbe votato per Laschet, suo successore alla guida della CDU, che non si pensasse altrimenti. E a partecipare ad alcuni eventi di campagna elettorale per evitare una diserzione definitiva dell’elettorato democristiano, poco convinto del candidato fin dall’inizio, e ancora meno convinto da quando Laschet fu colto dalle telecamere a ridere sguaiatamente mentre il presidente della Repubblica faceva un discorso ufficiale in una delle città devastate dall’alluvione di questa estate.

Dai collegi le notizie per i grossi calibri del partito sono state terribili: a Stralsund sul Mar Baltico la SPD ha vinto nel collegio in cui Angela Merkel aveva dominato per 31 anni. Ad Aquisgrana, feudo di Laschet, la candidata CDU è stata battuta dai Verdi. Nella Saar, il ministro dell’Economia CDU Peter Altmaier ha perso contro il ministro degli Esteri SPD Heiko Maas. E anche la ministra della Difesa Annegret Kramp-Karrembauer, che ha sostituito al governo Ursula von der Leyen ed è stata considerata per mesi la vera delfina di Angela Merkel, è stata battuta da un candidato socialdemocratico. Infine in Assia il numero due della Cancelleria Helge Braun ha perso contro un altro socialdemocratico.

L’impegno in extremis di Angela Merkel, oltre a regalarci una foto memorabile della Cancelliera che ha governato la Germania per sedici anni circondata da vispi pappagalli, ha comunque permesso a Laschet di non soccombere del tutto: la CDU ha ancora la chance di formare e guidare il governo, perché il risultato elettorale permette numerose formule di coalizione.

Le possibili coalizioni per il governo della Germania. Fonte: Die Zeit

 

Socialdemocratici e democristiani potrebbero governare insieme, come hanno fatto dal 2005 al 2009 e dal 2013 a oggi, con la differenza che il Cancelliere sarebbe della SPD, ma il peso dei due partiti dentro nell’esecutivo sarebbe abbastanza simile. Potrebbero anche decidere di includere una terza forza: i Verdi, più vicini alle posizioni della sinistra, o i Liberali a destra.

I Verdi e i Liberali hanno un potere di contrattazione più alto dei loro risultati elettorali – rispettivamente 14,8 e 11,5%. Se è vero che potrebbero diventare quasi un inutile orpello in una squadra di governo dominata da socialdemocratici e democristiani, si trovano però a sommare abbastanza seggi da poter offrire, insieme, a uno solo di questi partiti la possibilità di guidare il Paese. La coalizione “semaforo” (Ampel) vedrebbe i Verdi e i Liberali al governo insieme alla SPD. La coalizione Giamaica li vedrebbe al governo insieme alla CDU/CSU. Sarebbe un governo con un partito chiaramente egemone – e dunque sarà la soluzione preferita, almeno all’inizio, sia dalla SPD che dalla CDU/CSU. Nonostante le differenze ideologiche, forse meno marcate di quanto possa apparire al primo sguardo, il partito degli ecologisti e quello dell’impresa, entrambi molto votati dai giovani e guidati da leader quarantenni, si avvicineranno, in queste settimane, per concordare il proprio sostegno.

A proposito dei Verdi, il loro risultato ha due facce. Da un lato, il 14,8% lascia l’amaro in bocca alla formazione guidata da Annalena Baerbock, che per mesi è stata pronosticata dai sondaggi in testa alle intenzioni di voto, e descritta dai media internazionali, soprattutto quelli liberali anglosassoni, come destinata a lasciare la sua impronta sulla Germania degli anni’ 20. L’Angela Merkel del futuro, però, non è lei. Dall’altro, i Verdi tedeschi non avevano mai preso tanti voti: li hanno quasi raddoppiati rispetto a quattro anni fa, e anche se restano un partito radicato nelle zone benestanti e urbane, a piccoli passi avanzano in tutta la Germania.

Le differenza nel voto dei partiti, per territorio, tra il 2017 e il 2021. Fonte: Die Zeit.

 

Anche la SPD è cresciuta su tutto il territorio tedesco, ma non in maniera uniforme: qui, la mappa del voto svela un altro paradosso. Non è grazie a un recupero nelle antiche roccaforti che il partito di Olaf Scholz ha vinto le elezioni, ma è grazie al disastro della sinistra radicale nei Land orientali: la metà degli elettori della Linke si è spostata sui socialdemocratici. Il crollo della Linke ha aiutato la SPD, ma ha anche finito per impedire un’ipotesi che si stava facendo strada nei giorni prima del voto, quella di un governo di sinistra-sinistra: la coalizione tra sinistra socialdemocratica, verde e radicale non è possibile perché ai tre partiti mancherebbero sei seggi per raggiungere la maggioranza assoluta al Budestag. La Linke non ha superato la soglia di sbarramento del 5%: si è fermata al 4,9%. Ha rappresentanza parlamentare perché è riuscita ad eleggere tre deputati nei collegi, avendo così diritto alla ripartizione proporzionale dei seggi.

I Liberali, la FDP di Christian Lindner, migliorano il risultato positivo del 2017 e mantengono un buon potere di coalizione. Forse stavolta vorranno usarlo, al contrario di quattro anni fa quando dopo un mese e mezzo di trattative chiusero la porta ad Angela Merkel sulla questione dei ricongiungimenti familiari dei rifugiati. Lindner non la voleva, Merkel dovette rivolgersi di nuovo ai socialdemocratici.

La palma di ultimo tra i grandi partiti va ad Alternative für Deutschland. Il 10,3% di AfD non è brillante, si tratta di un milione di voti in meno rispetto alle elezioni di quattro anni fa, e sono voti pesanti, persi in Baviera, ma la formazione di estrema destra può contare comunque su due risorse preziose. La prima: essere nel Bundestag ma fuori dalle coalizioni di governo – da cui è esclusa a prescindere qualsiasi forma queste prendano – può essere un vantaggio, se il prossimo esecutivo sarà impopolare. La seconda: il partito si sta territorializzando, soprattutto nei Land orientali come la Sassonia e la Turingia, dove in molte province è la forza più votata: mettere radici nella politica locale può permettere in futuro di provare intese politiche, magari con i liberali o i democristiani, che a livello nazionale sono ancora precluse.

Le differenza nel voto dei partiti, per territorio, tra il 2017 e il 2021. Fonte: Die Zeit.

 

In attesa che il mistero di chi governerà la Germania sia sciolto nei prossimi mesi, due dati centrali emergono dal voto tedesco. Per prima cosa, l’usura dei grandi partiti popolari è sempre più evidente: per la prima volta nella storia i due grandi Volkspartei, la SPD e la CDU/CSU, rappresentano meno del 50% dei voti espressi. Nel 2017 ne totalizzavano il 53%, nel 2013 il 67%, nel 2009 il 57%, nel 2005 il 69%, nel 2001 il 77%. Il calo è stato inesorabile, e si inserisce pienamente nella tendenza europea degli ultimi decenni.

Il secondo dato è che nel 2017 la crisi dei grandi partiti aveva beneficiato le forze all’estrema destra e all’estrema sinistra, AfD e Linke, che insieme superavano il 20% dei voti. Stavolta, l’elettorato ha premiato di più i Verdi e i Liberali, partiti molto più integrati nelle famiglie politiche che governano l’Unione Europea.

 

 

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