La Nigeria tra islamismo militante e questioni politiche irrisolte

 

Lo scorso 14 ottobre l’esercito nigeriano ha annunciato la morte di Abu Musab al-Barnawi, comandante dello Stato Islamico della provincia dell’Africa occidentale, in inglese Islamic State West Africa Province (ISWAP) [1]. I precedenti invitano a prendere con cautela la notizia: gli ufficiali avevano dichiarato più volte nel corso degli anni anche la scomparsa di Abubakar Shekau, storico leader della formazione jihadista Boko Haram, salvo vederlo puntualmente riapparire.

Shekau è morto per davvero lo scorso maggio, ma per mano dei rivali dello Stato Islamico che hanno espugnato la sua roccaforte nella foresta di Sambisa. Tra le due formazioni jihadiste, frutto di una scissione interna avvenuta nel 2016, è infatti in corso da due anni una guerra fratricida, che negli ultimi mesi ha provocato centinaia di caduti negli scontri. A guidare ciò che rimane di Boko Haram ora è un luogotenente del defunto, noto come Bakura.

La parabola di Boko Haram sembra quindi avviata verso la fine. Dopo il picco raggiunto nel 2015, quando la formazione era arrivata a occupare un territorio grande quanto il Belgio, ne hanno segnato il tragitto discendente sia la controffensiva del governo, che ha riconquistato l’80% dei territori occupati, sia la spaccatura interna. Dopo la morte di Shekau, circa 7.000 persone, tra guerriglieri, familiari e simpatizzanti si sono arresi finora per sfuggire alla morte per mano dei soldati o dei rivali. Tuttavia, la jihad nigeriana non finirà con Boko Haram.

La presenza territoriale dell’ISWAP e di Boko Haram a inizio 2019. Il nome ufficiale di Boko Haram è in realtà Jamā’at Ahl as-Sunnah lid-Da’wah wa’l-Jihād (JAS), in italiano “Gruppo della Gente della Sunna per la propaganda religiosa e per il Jihād”.

 

Nei dodici anni trascorsi sinora dal suo inizio, il fenomeno jihadista nigeriano ha devastato la regione nordorientale del paese, debordando anche nei vicini Ciad, Camerun e Niger, e ha provocato 2 milioni di sfollati e 350.000 morti, di cui oltre 30.000 per cause violente. Nell’immediato, a portare avanti la torcia dell’islamismo armato c’è lo Stato Islamico, uscito dallo scontro interno in forma assai migliore del rivale.

 

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Dal punto di vista delle forze in campo, secondo una stima del Dipartimento di Stato americano, nel 2020 l’ISWAP poteva contare su un organico tra 3.500 e 5.000 combattenti, contro i 1.500 o 2.000 di Boko Haram[2]. La formazione persegue inoltre una politica di assorbimento dei rivali nelle proprie fila, strategia che le consente di attenuare le perdite subite nella lotta intestina.

La filiale nigeriana dello Stato Islamico vanta poi rapporti saldi con la casa madre, in grado di fornire finanziamenti e addestramento, e può contare sulla presenza di un’altra branca nella regione saheliana, in Mali. Sotto questo aspetto la cesura è netta con la leadership del fu Shekau, che con la violenza indiscriminata contro i civili musulmani locali aveva alienato persino i suoi alleati internazionali.

I rapporti si erano guastati prima con Al Qaeda nel Maghreb (AQIM), che nel 2012 aveva fomentato una prima fuoriuscita da Boko Haram di un gruppo minoritario noto come Ansaru, poi con lo stesso califfato di al-Baghdadi. Lo Stato Islamico, dopo aver inizialmente accolto l’adesione al movimento di Boko Haram nel 2015, dando vita all’ISWAP, aveva ordinato l’anno successivo la destituzione di Shekau a favore di al-Barnawi, scatenando così la scissione tra le due formazioni.

Ragazze nigeriane liberate dalla prigionia nei campi di Boko Haram. Migliaia di donne, anche giovanissime, sono state rapite dalla formazione e costrette a diventare mogli dei combattenti, schiave e attentatrici suicide.

 

Peraltro al-Barnawi vanta, o vantava a darlo per morto, un pedigree ben più importante del rivale: suo padre era infatti il fondatore di Boko Haram, il predicatore Ustaz Mohammed Yusuf, giustiziato sommariamente dall’esercito nigeriano nel 2009 dopo una fallita rivolta che segnò l’inizio dell’insurrezione.

A livello economico l’ISWAP ha a disposizione diverse fonti di finanziamento già sfruttate in passato dai rivali, tra cui la tassazione dell’agricoltura e del commercio locale, in particolare quello del peperoncino e del pesce del lago Ciad, valutato quasi 50 milioni di dollari[3], e il contrabbando transfrontaliero di medicinali, combustibile, armi e altri beni[4].  Secondo i militari nigeriani, inoltre, i jihadisti starebbero collaborando con gang di banditi specializzate nei rapimenti, particolarmente attive nel nordovest del paese dove questo crimine è diventato un’emergenza di sicurezza[5].

Accanto alla presenza dell’ISWAP, a prospettare la resilienza della jihad nigeriana sono anche le cause profonde del fenomeno, che affondano nella storia e nella natura socioeconomica del paese. Come molti degli Stati africani, la Nigeria come entità statale è una creazione artificiale di epoca coloniale che ha costretto a una convivenza forzata popolazioni differenti per etnia, cultura, religione e storia.

Grande più di tre volte l’Italia, la Nigeria oggi è il settimo paese più popoloso del mondo con 211 milioni di abitanti stimati, divisi in 250 gruppi etnici che parlano 500 lingue diverse. L’affiliazione religiosa si divide quasi equamente tra musulmani, concentrati negli stati settentrionali, e cristiani, prevalenti invece al sud. Una divisione che ha sempre pesato nella politica nazionale, sin da prima dell’indipendenza conseguita nel 1960, con le redini del potere rimbalzate da una comunità all’altra e con periodici episodi di violenza e ribellione a sfondo religioso. Dopo la fine dell’ultima dittatura militare nel 1999, i dodici stati settentrionali a maggioranza musulmana ottennero che nei loro territori la shari’a costituisse il fondamento normativo del diritto civile e penale

Gli stati nigeriani dove la legge è basata sulla shari’a. Il fenomeno jihadista è concentrato nello stato di Borno, a Nord-Est.

 

Il fulcro del risentimento dei nigeriani del nord contro il governo e gli stati meridionali risiede tuttavia nella disparità economica.  Secondo il Nigerian National Bureau of Statistics, il tasso di povertà nazionale si attesta al 40%, ma con notevoli differenze regionali: negli stati nordorientali i valori arrivano a toccare l’80%[6]. Il bilancio federale, che paga la spesa pubblica, è finanziato per oltre due terzi dai proventi relativi alle concessioni dei giacimenti di petrolio e gas, situati lungo le coste meridionali. I cittadini settentrionali si percepiscono come marginalizzati e defraudati dall’élite politica, notoriamente corrotta e clientelare.

Il capro espiatorio più popolare insieme ai politici è l’educazione occidentale, assimilata al sistema scolastico federale. Oltre a essere percepita come incompatibile con la dottrina islamica, è ritenuta inutile, dati gli alti tassi di disoccupazione che affliggono anche coloro che possiedono titoli di studio, e anzi dannosa, avendo formato proprio l’élite cleptocratica che deruba il paese[7]. Boko Haram è traducibile appunto come “l’educazione occidentale è proibita”, e questa fu la piattaforma ideologica su cui la formazione riuscì a radunare la sua base di consenso prima dell’insurrezione.

 

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Yusuf e gli altri tre fondatori originali di Boko Haram non erano in realtà ferrati neanche sotto il profilo dottrinale: avevano ricevuto un’educazione scarsa e non erano in rado di comprendere la normativa e la giurisprudenza islamiche. Coglievano però il potenziale dell’islamismo e l’importanza di costruire una rete di sostenitori tra la massa[8].

L’ostilità settentrionale verso il governo nigeriano è alimentata anche dai soprusi e dalle violazioni dei diritti umani compiuti dalle forze di sicurezza nel corso delle operazioni contro i jihadisti. Le truppe nigeriane, che collaborano in questa battaglia con i colleghi di Benin, Camerun, Ciad e Niger sotto l’egida della Multinational Joint Task Force (MNJTF, sorta a metà degli anni ‘90), si sono macchiate di una vasta gamma di crimini andati impuniti, dalla distruzione di villaggi alla detenzione arbitraria di migliaia di “sospettati”, comprese donne e bambini, da esecuzioni sommarie di massa – oltre 1.000 stimate solo tra il 2013 e il 2014 – a furti e ruberie.

Un soldato delle Nigerian Armed Forces (NAF). L’esercito nigeriano ha stanziato decine di migliaia di truppe nella lotta contro Boko Haram, ma le diffuse truffe negli appalti per le forniture ne hanno minato l’efficienza e il morale.

 

A loro si aggiungono le milizie locali filogovernative, raccolti sotto l’ombrello della Civilian Joint Task Force (CJTF), tra i 25.000 e i 27.000 uomini armati e a cui l’esercito regolare si affida per l’intelligence sul territorio e le operazioni di polizia. Solo 2.000 sono a libro paga dello stato, alimentano così il risentimento e l’ingovernabilità dei rimanenti miliziani che pretendono anch’essi un riconoscimento formale ed economico. Anche questi gruppi paramilitari si macchiano sovente di abusi e violenze e talvolta si vendono ai politici locali come militanti nelle contese elettorali[9].

La risposta militare da sola non potrà essere sufficiente quindi a stroncare il jihadismo in Nigeria, ma dovrà essere affiancata sia da una migliore azione di polizia e di intelligence, che permetta di colpire chirurgicamente i vertici del terrorismo, sia dalla ricerca di una soluzione politica, che fornisca risposte alle cause reali del malcontento popolare. Lo suggeriscono anche i precedenti storici: uno studio del 2008 rivelava che di tutti i gruppi terroristici dei precedenti quarant’anni, solo il 7% aveva cessato la sua attività a seguito di una sconfitta manu militari. Per le negoziazioni politiche, la percentuale saliva al 43%[10].

 

 


Note:

[1] West Africa’s top ISIL leader is dead, says Nigerian army, Aljazeera.com, 14 ottobre 2021, https://www.aljazeera.com/news/2021/10/14/nigeria-army-west-africa-isil-leader-abu-musab-al-barnawi-dead

[2] Boko Haram and the Islamic State’s West Africa Province, Tomás F. Husted, Congressional Research Service, 2021

[3] We must understand terrorist financing to defeat Boko Haram and Nigeria’s insurgents, Uche Igwe, LSE, 3 agosto 2021, https://blogs.lse.ac.uk/africaatlse/2021/08/03/terrorist-financing-economy-defeat-boko-haram-nigeria-insurgents/

[4] Militias (and Militancy) in Nigeria’s North-East NOT GOING AWAY, Vanda Felbab-Brown, in “Hybrid Conflict, Hybrid Peace. How militias and paramilitary groups shape post-conflict transitions”, Adam Day, United Nations University, 2020

[5] Nigeria warns kidnap gangs train with jihadists as cooperation grows, AFP, 6 agosto 2021 https://news.yahoo.com/nigeria-warns-kidnap-gangs-train-135010092.html

[6]2019 Poverty and Inequality in Nigeria, National Bureau of Statistics (NBS), 2020

[7] From “Western education is forbidden” to the world’s deadliest terrorist group. Education and Boko Haram in Nigeria, Madiha Afzal, Brookings, 2020

[8] Violent Extremism in Sub-Saharan Africa: Lessons from the Rise of Boko Haram, Audu Bulama Bukarti, Tony Blair Institute for Global Change, 2021

[9] Nigeria case study, Vanda Felbab-Brown, in “The Limits of Punishment. Transitional Justice and Violent Extremism, Institute For Integrated Transitions”, 2018.

[10] HOW TERRORIST GROUPS END Lessons for Countering al Qa’ida, Seth G. Jones e Martin C. Libicki, RAND Corporation, 2008

 

 

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