La Moldavia tra espansionismo russo, aspirazioni europee e legame con la NATO

La Moldavia si trova oggi in un limbo. Da un lato l’attuale classe dirigente, guidata dalla presidente Maia Sandu, sta cercando di orientare progressivamente il piccolo Paese est-europeo, che fino al 1991 fu una repubblica dell’URSS, verso Occidente. Dall’altro, la Russia non ha intenzione di perdere un’altra zona d’influenza. Soprattutto se si considera che comunque terminerà il conflitto in Ucraina, gli equilibri della regione saranno a lungo precari.

La presidente moldava Maia Sandu al giuramento del nuovo primo ministro Dorin Recean

 

Per questo fin dal 24 febbraio 2022 è stato più volte paventato il rischio che le forze separatiste filo-russe della Transnistria, una regione orientale della Moldavia situata proprio al confine con l’Ucraina, stimate intorno alle 1500 unità, magari spalleggiate da piccoli gruppi di militari russi, aprissero un altro fronte contro l’esercito ucraino. Per qualche tempo si è temuto anche che le forze separatiste potessero organizzare il terreno per un eventuale sbarco dei reparti speciali russi di stanza nel Mar Nero. L’obiettivo in tal caso sarebbe stata la vicina Odessa, città simbolo dell’espansione russa verso ovest nel XIX secolo e più volte menzionata da Vladimir Putin come «parte della Russia storica» che il capo del Cremlino sembrerebbe voler ricreare.

Al momento nessuno di questi scenari si è concretizzato ma, ciononostante, nell’ex repubblica sovietica la situazione è tutt’altro che pacificata. L’interruzione delle forniture energetiche dalla Russia, dovuta sia a un debito da oltre 700 milioni di dollari accumulato prima del conflitto in Ucraina, sia alle difficoltà logistiche conseguenti alla guerra, ad esempio, ha determinato un incremento dei prezzi dell’energia di ben sette volte e un successivo aumento del costo della vita che ha portato l’inflazione intorno al 30%. Ciò ha generato un’ondata di malcontento in tutto il Paese, non solo nelle zone cosiddette filorusse. Diversi analisti occidentali ritengono che Mosca abbia già tentato di utilizzare la paura della recessione e l’impoverimento generale delle classi meno abbienti come strumento di pressione contro il governo moldavo, per impedirne l’avvicinamento all’Occidente.

A sostegno di questa tesi ci sarebbe un documento segreto russo ottenuto da un funzionario occidentale a inizio 2023. Stando a un’inchiesta realizzata congiuntamente, a partire dal suddetto documento top secret e dalle dichiarazioni del funzionario anonimo, da diverse testate in Estonia, Svezia, Gran Bretagna, Polonia e Germania, oggi siamo a conoscenza di un presunto piano del Cremlino per ottenere il controllo di fatto della Moldavia entro il 2030. In estrema sintesi la Direzione per la cooperazione transfrontaliera del Cremlino, guidata da Alexey Filatov, che riferisce direttamente a Dmitri Kozak, il vice-capo dell’amministrazione del Presidente Vladimir Putin, avrebbe redatto un documento intitolato «Obiettivi strategici della Federazione Russa nella Repubblica di Moldavia» nel 2021. Nel testo si leggerebbe che gli obiettivi principali della Russia sono quelli di garantire che i politici moldavi e la società in generale abbiano un atteggiamento negativo nei confronti della NATO e che il Paese abbia una forte presenza di gruppi di influenza filo-russi nella politica e nell’economia. Il piano avrebbe subito una serie di battute d’arresto significative con l’invasione dell’Ucraina lo scorso anno. Tuttavia, anche senza le soffiate dei Servizi segreti, quanto è accaduto nel territorio di Chisinau dopo il 1991 ci consegna una realtà molto complessa.

 

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La storia recente della Moldavia è nota soprattutto per la presenza, sul territorio nazionale, delle enclave autonomiste della Gagauzia e della Transnistria. Entrambi i territori sono fortemente legati al passato sovietico della Moldavia e non hanno mai rinnegato i legami culturali ed economici con il governo di Mosca. Tuttavia, mentre la Gagauzia nel 1994 è stata reintegrata pienamente sotto la giurisdizione del governo moldavo tramite un accordo che gli ha riconosciuto un’ampia autonomia territoriale e amministrativa, in Transnistria la situazione è più complessa. Si consideri inoltre che politicamente i partiti comunisti e socialisti filo-russi hanno sempre goduto di un largo sostegno da parte della popolazione moldava anche al di fuori delle regioni separatiste e, difatti, negli ultimi vent’anni questi gruppi politici hanno tenuto il potere quasi in tutte le legislature. Nel 2020, c’è stato l’exploit del Partito d’Azione e Solidarietà (PAS) che ha portato alla carica di presidente la politica filo-occidentale Maia Sandu, confermata da una vittoria schiacciante alle elezioni parlamentari dell’anno successivo.

Suddivisioni etniche e politiche in Moldavia

 

Per due anni Natalia Gavrilita, considerata da molti come il braccio destro di Sandu e uno dei simboli del “nuovo corso” europeista del Paese, ha ricoperto la carica di primo ministro. Fino al 16 febbraio 2023 quando, quasi certamente su richiesta di Sandu, Gavrilita si è dimessa e al suo posto la presidente ha nominato Dorin Recean, segretario del Consiglio di sicurezza nazionale. Una figura vicina ai servizi di Intelligence e all’esercito, nonché ex ministro dell’Interno, che ha chiesto la fiducia al parlamento in uno dei momenti più difficili degli ultimi anni. Pochi giorni prima un missile russo aveva sorvolato lo spazio aereo moldavo nell’ambito dell’ennesimo bombardamento massiccio alle città ucraine da parte dell’esercito del Cremlino. Chisinau aveva subito confermato la notizia e «richiamato ufficialmente» l’ambasciatore di Mosca. Ma tra gli analisti c’è chi crede che non si sia trattato di una provocazione casuale. Infatti, le notizie secondo le quali ci sarebbe stato il rischio di un colpo di mano dei separatisti della Transnistria, smascherato dai servizi moldavi a fine gennaio, si sono rapidamente diffuse su tutte le testate europee all’inizio dell’anno. Tuttavia, il tranquillo passaggio di consegne tra i primi ministri e la salda tenuta del governo sono stati interpretati come un ulteriore avvicinamento del Paese verso l’Occidente.

Poco tempo dopo, il 28 febbraio, centinaia di persone provenienti da tutta la Moldavia sono arrivate nella capitale Chisinau per manifestare contro la crisi economica e il governo in carica, e chiedere elezioni anticipate. La giornata di protesta è stata organizzata e promossa dal «Movimento per il popolo», una formazione che riunisce diverse sigle, tra cui il partito filo-russo «Sor». Infatti, i dirigenti del Sor, durante la giornata di disordini erano presenti alla testa del corteo che ha attraversato le strade di Chisinau, urlando slogan contro il governo e esigendo dimissioni immediate. «Chiediamo elezioni anticipate» aveva dichiarato, ad esempio, Vadim Fotescu, un parlamentare di Sor, «è il governo a dover pagare le bollette ai cittadini, dato che sono aumentate più volte per colpa delle autorità». Ma dietro lo spauracchio del caro-vita, per il quale è stata ufficialmente convocata la manifestazione del 28, c’era una ragione ulteriore: «Chiediamo anche che venga osservata la neutralità, come è scritto nella costituzione, in modo che il nostro Paese non sia trascinato in operazioni di guerra» aveva aggiunto Fotescu, riferendosi appunto alla linea pro-Occidente e pro-Ucraina mantenuta da Sandu.

Durante la protesta una parte dei manifestanti si è staccata dal corteo e si è diretta verso il parlamento, dove ha tentato di fare irruzione. Tuttavia, a differenza di Capitol Hill e di Brasilia, i carabinieri moldavi erano pronti e non si sono lasciati scavalcare. O, forse, i loro capi non simpatizzavano con i rivoltosi come è accaduto altrove, e il bilancio a fine giornata è stato di decine di fermati. Dopo essere stati respinti davanti al Parlamento, diversi gruppi di manifestanti si sono diretti al palazzo del Municipio, ma anche lì si sono trovati di fronte uno schieramento consistente di forze dell’ordine e l’assalto non è riuscito. Secondo gli esponenti del PAS, i disordini sarebbero frutto di un «disegno» volto a «destabilizzare il Paese».

La situazione è tornata a precipitare quando, il 9 marzo, i filorussi della Transnistria hanno accusato i servizi segreti ucraini di aver tentato l’omicidio del presidente della giunta separatista, Vadim Krasnoselsky. I media locali e quelli russi hanno subito diffuso la notizia che l’Sbu (l’intelligence di Kiev) avrebbe tentato di eliminare il principale alleato di Putin nella regione a ridosso del confine con l’oblast di Odessa al fine di prenderne il controllo. Tuttavia, l’Sbu stavolta ha risposto pubblicamente e in tempi molto brevi che «qualsiasi dichiarazione della cosiddetta Repubblica popolare di Transnistria sul coinvolgimento dell’Sbu nella preparazione di un attacco terroristico deve essere considerata esclusivamente come una provocazione orchestrata dal Cremlino».

Il parlamento della Transnistria a Tiraspol, con la statua di Lenin e un cartellone che celebra la “Repubblica Moldava della Transnistria”

 

TV8, un sito di informazione moldavo, ha riportato in seguito che i funzionari della Transnistria hanno dichiarato di aver arrestato diversi sospetti, tra i quali un individuo nato a Tiraspol, la capitale della piccola regione separatista, e trasferitosi a Odessa diversi anni prima. Secondo queste fonti il complotto terroristico prevedeva l’uso di un suv imbottito di un’ingente quantità di esplosivo che avrebbe dovuto lanciarsi contro il convoglio sul quale viaggiavano Krasnoselsky e il suo entourage. Stando alle ricostruzioni effettuate, il carico di esplosivo era talmente significativo da poter provocare danni nel raggio di diverse centinaia di metri. Il presunto attentato sarebbe soltanto una delle «prove», secondo la ricostruzione dei separatisti transnistriani, che l’Ucraina, la Moldavia o la NATO «stanno preparando un attacco alla Transnistria». Gli ucraini, dal canto loro, sostengono che si sia trattato di un’operazione di facciata volta a creare un pretesto per l’invasione russa della Moldavia o la destabilizzazione del suo governo.

Del resto, non è sfuggito ai commentatori più attenti che circa due settimane prima, il 23 febbraio, il ministero della Difesa di Mosca aveva dichiarato che le forze di Kiev stavano preparando una provocazione in Transnistria per mezzo di soldati ucraini travestiti da soldati russi. Il che, in questi tempi difficili di propaganda e campagne mediatiche massicce, è stato considerato da alcuni come la prova che Mosca sospettasse qualcosa e da altri come una messa in scena.

Tra i leader europei la questione moldava non è in cima all’agenda politica, anche se a Chisinau lo scorso anno è stato concesso lo status di candidato all’ingresso nell’Unione. Il Presidente francese Emmanuel Macron, ad esempio, ha dichiarato in seguito a una telefonata con la Presidente Sandu: «ho espresso il sostegno della Francia alla Moldavia, l’impegno ad accompagnarla nella sua vocazione europea, a fronteggiare i tentativi di destabilizzazione come le conseguenze della guerra in Ucraina». Ma non si tratta solo di sostegno istituzionale. Il ministero della Difesa moldavo, difatti, ha annunciato che dal 27 marzo al 7 aprile di quest’anno sono state indette esercitazioni militari congiunte insieme ai soldati rumeni, britannici e statunitensi. Le stesse “esercitazioni” che Mosca denunciava come ingerenze degli addestratori della NATO in Ucraina prima del conflitto.

Secondo il rapporto della Difesa di Chisinau le esercitazioni hanno lo scopo di aiutare il personale a scambiare esperienze e ad aumentare il livello di interoperabilità tra i contingenti partecipanti. Si noti che le forze speciali moldave partecipano a questo tipo di esercitazioni congiunte con gli eserciti occidentali fin dal 2009, come ha specificato governo moldavo nel comunicato ufficiale che invita, tra l’altro, i cittadini che dovessero assistere allo spostamento di mezzi militari a non «non speculare sull’esercitazione».

Nell’attesa di nuovi sviluppi, ciò che conta di più è il contesto generale. La guerra in Ucraina ha fatto emergere molte tensioni sopite ai confini dell’area di influenza russa e la Moldavia è uno dei terreni dove questo conflitto tra il vecchio e il nuovo rischia maggiormente di radicalizzarsi.

 

 

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