La minaccia nucleare russa: solo un bluff?

Quanto credibile è la minaccia russa di usare le armi nucleari? È una eventualità che gli esperti americani ritengono improbabile ma non impossibile. Jake Sullivan, Assistente alla Sicurezza Nazionale del Presidente Biden, ha dichiarato che l’Amministrazione la prende sul serio.

 

La storia della Guerra fredda, con la produzione di bombe H con una potenza cento o mille volte superiore a quella di Hiroshima, ci ha abituato a considerare il superamento della soglia  nucleare come l’anticamera dell’annientamento reciproco (mutual assured destruction, MAD), dunque pura follia, e perciò paradossalmente la migliore garanzia contro una nuova guerra mondiale. Ma in realtà l’esistenza di armi nucleari cosiddette “tattiche”, anche di piccole dimensioni, ha notevolmente abbassato la soglia. Un belligerante convinto di poter bloccare sul nascere la spirale della escalation potrebbe decidere di varcarla.

 

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Cosa intendiamo per “tattiche”? Per le superpotenze, tutte quelle a corta o media gittata (inclusi gli IRBM che colpiscono a migliaia di chilometri di distanza), atte a distruggere “soltanto” il teatro europeo. Sottinteso: finché non si varca una seconda soglia, quella delle armi “strategiche” (a portata intercontinentale), esse stesse possono sperare di rimanere indenni. Con sentite condoglianze per gli alleati. Ovviamente per noi europei sono „strategici“ anche i missili a testata nucleare con gittata di poche centinaia di chilometri puntati contro di noi. È dunque più appropriato parlare di armi “del campo di battaglia”; e più specificamente di quelle con potenza ridotta, tale da non costituire un pericolo per chi le impiega.

Ne esistono da qualche centinaio di kiloton (Hiroshima: 15 kiloton), ma anche da meno di un kiloton. Negli anni ’60 le forze USA in Europa avevano in dotazione il “Davy Crockett“, un piccolo ordigno da 0.01-0,02 kiloton (un centesimo di Hiroshima) che poteva essere sparato da un lanciagranate montato su una jeep o su un treppiede, a una distanza di pochi chilometri.

Sul campo di battaglia ucraino ordigni nucleari potrebbero essere lanciati mediante vettori “dual use“: missili balistici o missili cruise come quelli già impiegati in questi mesi dai russi con testate convenzionali, o anche pezzi di artiglieria.

Questa relativa banalizzazione della differenza fra nucleare e convenzionale non permette di escludere del tutto che, messo alle strette, Putin possa decidere di intimare l’alt a un‘eventuale controffensiva vittoriosa degli ucraini con un impiego limitato dell’arma nucleare, a scopo più dimostrativo che tattico: ipotizzabile un solo missile contro una centrale elettrica o una fabbrica di armi in una zona poco popolata; o alcune mine nucleari per fermare l’avanzata di una divisione corazzata (in questo caso un uso tattico, oltre che psicologico).

Gli Stati Uniti non potrebbero astenersi da una rappresaglia proporzionata. Jake Sullivan ha rivelato di aver messo in guardia i russi, ovviamente senza specificare il tipo di reazione. Si può pensare sia a un devastante attacco convenzionale, sia a un missile con testata nucleare contro una raffineria in località isolata o una nave militare, in modo da limitare il numero delle vittime dell’esplosione e del fall-out radioattivo; e con l’invito a chiudere così la partita, evitando la spiralizzazione.

Sono scenari che un anno fa avremmo considerato indebitamente allarmistici, anzi offensivi. Ma tutto è cambiato con l’aggressione assolutamente non provocata del 24 febbraio, e a maggior ragione con l’annessione delle quattro regioni (comprendenti teoricamente anche porzioni di territorio attualmente sotto controllo ucraino). Un anno fa sarebbe apparso di cattivo gusto paragonare Putin a Hitler. Ma a pensarci bene, con l’Anschluss dell’Austria e l’annessione dei Sudeti, nel 1938 la Germania nazista non aveva ancora commesso violazioni del diritto internazionale così gravi come quelle di cui si è macchiata la Russia in questi sette mesi, non aveva bombardato condominii, scuole, campi di prigionia, ospedali lontani dal fronte. La relativa indifferenza mostrata da metà del mondo verso questi crimini che fanno inorridire solo noi occidentali deve aver spinto Putin ad esasperare i toni della sfida all’America.

 

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Se ciononostante la messa in pratica della minaccia nucleare, già evocata in febbraio, appare poco probabile è perché i vertici militari difficilmente eseguirebbero un ordine del genere senza obiettare; e perché è impensabile che Pechino, pur avendo sinora deluso chi si aspettava una azione moderatrice, consenta a Mosca di infrangere il tabù atomico quando non è in gioco l’integrità territoriale della Federazione Russa nei suoi confini internazionalmente riconosciuti.

Perciò il sabre-rattling di Putin non avrà l’effetto di convincere gli Stati Uniti a ridurre le forniture militari all’Ucraina o a consigliarle – come vorrebbero molti pacifisti – di capitolare rinunciando a tutti i territori attualmente occupati.

 

 

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