La Germania tra gas russo e tabù nucleare

L’inserimento dell’energia nucleare nella bozza della “Tassonomia per le attività sostenibili” della Commissione UE è la prima vera frenata per chi scommetteva su una Germania che si facesse avanguardia europea della svolta ecologica. Proprio nell’ultimo giorno del 2021, mentre gli ambientalisti tedeschi celebravano la chiusura di altre tre centrali nucleari, è emersa la bozza della Commissione che include nucleare (di ultima generazione) e gas naturale tra le fonti di energia sostenibili. La tassonomia della Commissione dovrà ora passare ai paesi membri e al Parlamento europeo. Il documento sarà decisivo nel definire quali fonti e impianti energetici potranno essere finanziati e sostenuti con i fondi del New Green Deal e degli sforzi europei verso l’obiettivo “zero emissioni” entro il 2050.

La presenza del nucleare nella tassonomia è stata accolta con favore da almeno 15 nazioni UE, tra cui Finlandia, Rep. Ceca, Polonia, Slovenia, Bulgaria, Croazia e Romania. La vera vincitrice della bozza, com’è noto, è stata però la Francia, forte delle sue 19 centrali nucleari (56 reattori complessivi), da cui preleva il 70% della sua energia elettrica.

Opposta è stata la reazione di paesi come Spagna, Lussemburgo e Austria, fortemente contrari a un nuovo sdoganamento green del nucleare. Anche la Germania ha inizialmente reagito con asprezza, tanto che il ministro dell’Economia e clima, il verde Robert Habeck, ha direttamente parlato di un’operazione di “greenwashing” del nucleare. Nelle ore successive, però, soprattutto su spinta dei socialdemocratici e del Cancellierato, l’opposizione tedesca alla tassonomia si è rivelata soprattutto formale e ideale. La ministra dell’Ambiente tedesca, la verde Steffi Lemke, ha confermato il “no” assoluto tedesco alla classificazione della Commissione UE, ma ha anche riconosciuto che non ci siano probabilmente le condizioni pratiche perché la Germania e altri paesi blocchino la tassonomia. A riaccendere le speranze di chi si oppone alla tassonomia, tuttavia, è poi arrivato a sorpresa il parere del gruppo di esperti interpellati dalla stessa Commissione UE, che hanno a loro volta bocciato l’inserimento di nucleare e gas tra le opzioni della tassonomia, riaprendo fortemente il dibattito sulla modifica parziale o totale della bozza.

 

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Sul fronte della Realpolitik, i motivi di questa parziale accettazione tedesca della bozza della Commissione restano principalmente tre: l’impreparazione di Berlino a uno scontro epocale sul nucleare con Parigi, l’interesse materiale tedesco per il riconoscimento nella stessa tassonomia del gas naturale come fonte energetica “ponte” almeno parzialmente sostenibile, il timore dei membri del nuovo governo di Berlino di doversi già scontrare pubblicamente tra loro su un dossier esplosivo come quello dell’energia.

 

Un tabù esistenziale per i Verdi tedeschi

La proposta della Commissione UE è stata innanzitutto uno smacco per i Verdi tedeschi, secondo forza di governo, che da tempo sognano un’accelerazione euro-tedesca del Green Deal. Senza la loro storica lotta al nucleare, forse i Grünen tedeschi non esisterebbero nemmeno. Un’intera generazione di politici e attivisti verdi si è socializzata politicamente all’interno della lotta all’energia atomica. Dagli anni ‘80 a oggi, i Grünen hanno abbandonato molti dei loro tabù, da quello originario della partecipazione a governi di coalizione a quello dell’appoggio ad azioni militari all’estero. Il rifiuto dell’energia atomica è però sempre rimasto un cavallo di battaglia inviolabile.

Quando, dopo i terribili incidenti di Fukushima del 2011, Angela Merkel ha assorbito le preoccupazioni dell’opinione pubblica tedesca e ha deciso l’addio al nucleare, i Verdi hanno visto concretizzarsi la loro più grande vittoria politico-culturale. L’istituzionalizzazione di quella che fino a pochi anni prima era una posizione considerata ecologista-radicale è stata un passaggio simbolicamente determinante per consolidare definitivamente la Regierungsfähigkeit (l’essere adatti a governare) dei Grünen. Il legame dei Verdi con la lotta al nucleare rimane così originario, identitario e quindi irrinunciabile.

Il problema per gli ambientalisti tedeschi, però, è che oggi il tema principale della lotta al cambiamento climatico è soprattutto la lotta alle emissioni di CO2. Una battaglia entro cui, come ha pienamente dimostrato la tassonomia della Commissione UE, continuerà a esserci chi spinge l’energia nucleare come soluzione green (o comunque un po’ più green di altre). La questione per i Grünen, un partito da sempre ultra-europeista e strategicamente legato all’asse franco-tedesco, si complica ancora di più se si considera come la spinta per il nucleare arrivi proprio dall’Unione Europea e da un alleato strettissimo come Parigi.

La leader dei Verdi tedeschi e ministra degli Esteri Annalena Baerbock con lo slogan “Tutto è possibile”

 

Il gas come soluzione complessa

La nuova tassonomia della Commissione UE ha sicuramente ricompattato il fronte tedesco che vorrebbe perlomeno un addio più lento al nucleare (previsto in Germania per la fine del 2022).

Il Ministro delle finanze Christian Lindner ha però prontamente confermato che per la Germania non ci sarà alcun ripensamento sul nucleare. Lo stesso Cancelliere Olaf Scholz ha poi affermato che per la Energiewende (svolta energetica) della Germania si “spingerà sulle energie rinnovabili”. Il Cancelliere ha così cercato di rassicurare chi teme che operazioni come quelle della tassonomia UE possano rallentare anche in Germania gli investimenti su eolico, solare e idrogeno verde. Scholz si è però anche sentito in dovere di aggiungere che “la protezione del clima è politica industriale” e che la Germania diventerà ancora “più competitiva” di prima. Una dichiarazione, quest’ultima, che risponde apertamente a chi invece si preoccupa che, con una fuga in avanti green, l’economia tedesca si possa trovare in difficoltà rispetto ai competitor internazionali.

 

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Un elemento, intanto, resta certo: nei prossimi anni la copertura energetica tedesca dovrà essere ampiamente offerta dal gas naturale.

Se si guarda alle fonti di energia primaria, le energie rinnovabili coprono attualmente il 17% del consumo tedesco, molto indietro rispetto a petrolio (34%) e gas (27%), ma già davanti a carbone (16%) e nucleare (6%).

Sul fronte del riscaldamento delle abitazioni il contributo delle rinnovabili (principalmente teleriscaldamento) è attualmente del 15% e la parte da gigante nel riscaldamento continuano a farla il gas (48%) e il gasolio (25%). Sul piano della produzione di energia elettrica sono invece stati fatti i progressi più evidenti: nell’anno 2020 le rinnovabili hanno generato il 45% dell’energia elettrica, seguite al 16% dal carbone, al 16% dal gas naturale e all’11% dal nucleare. Con la chiusura delle centrali nucleari e con l’obiettivo tedesco di un abbandono del carbone “idealmente” entro il 2030, anche la stessa produzione di energia elettrica non potrà però essere subito assorbita dalle fonti rinnovabili e sarà necessario un progressivo e significativo aumento del contributo delle centrali a gas.

 

Il gas russo

La dipendenza tedesca dal gas naturale ha notoriamente un nucleo geopolitico di primaria importanza. Più del 90% del gas usato in Germania è oggi frutto di importazioni, di cui circa la metà è proveniente dalla Russia. Le crisi in Bielorussia e in Ucraina hanno nuovamente mostrato come la dipendenza energetica tedesca dal Cremlino ponga Berlino in una difficile geometria geostrategica. Nel suo accordo di coalizione, il governo Scholz ha di fatto evitato di parlare direttamente di gas russo e Nord Stream 2. Nelle ultime settimane, tuttavia, si è ricreato anche nel governo Scholz il confronto tra un fronte verde più neo-atlantista e uno socialdemocratico più orientato verso l’Ostpolitik di interessi con Mosca.

Più che emblematica in questo senso è la contesa sotterranea tra Scholz e la ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, su chi debba occuparsi del dossier russo. Altrettanto emblematici sono confronti come quello tra Luisa Neubauer, volto mediaticamente più noto di Fridays for Future Germania (e anche membro dei Grünen), e Kevin Kühnert, Segretario generale della SPD ed ex leader dei giovani socialdemocratici. Neubauer ha infatti pubblicamente criticato l’invito di Kühnert a concludere le discussioni sul Nord Stream 2 e iniziare a utilizzare l’infrastruttura. Anche le più giovani leadership di SPD e Verdi hanno quindi ereditato in pieno sia il conflitto geopolitico-strategico sul gas russo sia quello politico-programmatico sull’uso stesso del gas come fonte energetica.

La dipendenza energetica dei paesi europei dalla Russia (2019)

 

La via tedesca e la via francese al Green Deal

A seconda degli sviluppi sul dossier tassonomia, nei prossimi mesi si potrà quindi potenzialmente osservare una dialettica di governo – più o meno aperta – tra socialdemocratici e Verdi su come portare avanti il Green Deal tedesco. Il terzo alleato nell’esecutivo, la FDP, sarà probabilmente impegnata a portare sul tavolo le esigenze più immediate del mondo industriale tedesco. Sul fronte dell’opposizione, il ritorno al nucleare potrà essere spinto dalla CDU-CSU, all’interno di una nuova narrazione conservativo-produttivista e tatticamente anti-ecologista.

Sul piano degli equilibri europei, intanto, potrebbero palesarsi due diverse vie al Green Deal, una tedesca che punta (temporaneamente) sul gas naturale e una francese che punta (temporaneamente?) sul nucleare. Da tempo a Berlino c’è chi è convinto che in questo confronto la via tedesca abbia un primato morale e ideale. Sul piano concreto dei rapporti intra-europei, però, il governo tedesco ha appena dovuto ammettere di potersi trovare in una posizione di minoranza. La questione resta molto aperta.

 

 

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