La Germania saluta Biden tra entusiasmo e realismo

Il 9 novembre, ricordando la caduta del Muro di Berlino di 31 anni fa, Angela Merkel ha ringraziato gli Stati Uniti per il fondamentale contributo americano alla Riunificazione tedesca. La Cancelliera si è poi congratulata con il President-elect Joe Biden, che ha descritto come politico esperto che “conosce la Germania e l’Europa”, e la Vice Kamala Harris, che ha definito “ispirazione per molte persone e un esempio delle possibilità che esistono in America”. Merkel non ha mai nominato il Presidente uscente Donald Trump, riaffermando fin da subito una precisa impostazione secondo cui gli ultimi quattro anni siano da dimenticare il più presto possibile e l’esecutivo tedesco debba ora ripartire dai fondamenti tradizionali del rapporto Germania-USA.

Ovviamente però anche la Kanzlerin sa che il passato non tornerà come con un semplice backup e che il trumpismo è stato comunque sintomatico di mutazioni storiche che non si possono più riavvolgere. Ma con la Presidenza Biden in arrivo, Berlino vuole quindi attualizzare, rimodulare e ridefinire i rapporti transatlantici, per provare a preservare con nuove formule quella che Merkel ha chiamato “economia globale di libero scambio”. In altre parole, l’hard power politico tedesco vuole adesso proteggere il più possibile quel mercato globale che continua a scorrere sulle rotte marittime, protette soprattutto dalle flotte della United States Navy, e che garantisce alla Germania (e alla sua catena di valore europea) il ruolo di campione dell’export.

Joe Biden in visita alla Cancelleria tedesca nel 2013

 

Il valore della forma nei rapporti transatlantici

Lo scorso 3 novembre la Germania non aveva un vero piano da mettere in pratica in caso di vittoria di Donald Trump. L’opzione in pratica era vista come disastrosa ed era “sognata” solo da alcuni settori molto marginali dello spettro politico tedesco, più che altro attirati proprio dalle conseguenze disruptive di una riconferma del Presidente-tycoon. L’entusiasmo generale di media e politica tedeschi per l’affermazione di Biden è stato quindi più che plateale.

Berlino è sicura che Biden riporterà al centro del dibattito transatlantico un diverso modo di dialogare, che sia multilaterale perlomeno nel linguaggio e che abbia un’attenzione per la forma diplomatica enormemente differente rispetto al trumpismo. Nei corridoi della politica tedesca, infatti, negli ultimi quattro anni si è soprattutto notata una cosa: anche la forma contribuisce alla sostanza geopolitica e i mille riti della tradizione diplomatica, benché talvolta troppo cerimoniali e al tempo stesso volutamente ambivalenti, sono spesso garanti strutturali e strutturanti del mantenimento della pace tra nazioni e degli equilibri tra alleati.

 

Ripercussioni esterne di un’America divisa

Detto questo, a Berlino si sa molto bene che gli Stati Uniti che Joe Biden si appresta a guidare saranno un paese difficile: eroso dal dramma del Covid-19, lacerato da polarizzazioni sociali e identitarie, messo alla prova dalla crisi viscerale delle narrazioni nazionali comuni. Prima ancora di occuparsi di politica estera, quindi, Biden e Harris dovranno provare a occuparsi di curare le tante ferite interne del proprio Paese, anche sul fronte economico più immediato. Per farlo la nuova amministrazione potrà cercare di evitare il protezionismo ideologico di Trump, eliminando ad esempio le ipotesi di dazi anti-europei più estremi (si veda il settore automotive), ma non potrà (e non vorrà) cancellare i tentativi di rilocalizzare l’industria in America e di creare circuiti interni di produzione-consumo volti a sostenere il made in USA.

Solo a gennaio si saprà inoltre quale maggioranza ci sarà al Senato americano. Un Senato a maggioranza repubblicana renderebbe tecnicamente molto più difficile perseguire accordi (non solo commerciali) sull’asse transatlantico. Al tempo stesso, l’industria tedesca potrebbe però apprezzare proprio un freno nel Senato USA a riforme fiscali più espansive che potrebbero invece causare un’eccessiva svalutazione del dollaro che peserebbe sulla competitività dell’export della Germania.

A Berlino è comunque chiaro che, anche senza le asprezze e le provocazioni tattiche di Donald Trump, non ci sarà più la vecchia disponibilità imperiale americana a far prosperare gli affari degli alleati-clienti europei nel caso questi vadano a scapito dell’economia interna degli USA. Le nuove prospettive transatlantiche che Berlino potrà sviluppare saranno quindi legate a eventuali nuovi accordi win-win, reciprocamente convenienti, con Washington. Accordi che Berlino (e Francoforte) giudicano comunque preziosi, se rapportati a un’amministrazione Trump che vedeva invece i rapporti con l’economia tedesca tramite il solo prisma di un gioco a somma zero, per cui ciò che era male per Berlino era bene per Washington.

 

Cosa sarà fattibile tra USA e Germania?

Oltre a parlare di un’economia mondiale aperta e del valore del libero scambio, congratulandosi con Biden-Harris Merkel ha suggerito almeno altri tre punti di convergenza immediata con gli Stati Uniti: la lotta contro la pandemia, la lotta contro il cambiamento climatico, la lotta contro il terrorismo.

Sul primo punto ci sono nuove possibilità di un’integrazione dell’approccio dell’UE e degli USA nel combattere il Covid-19, incluse eventuali collaborazioni sul tema decisivo del vaccino. Il terzo punto, quello della lotta al terrorismo, è stato citato da Merkel considerando il recente attacco jihadista di Vienna e rispecchia la volontà tedesca (ed europea) di rinvigorire una strategia anti-terrorismo comune che coinvolga anche Washington. Passaggio che non sarà però scontato: Berlino potrà ad esempio trovarsi presto incastrata tra la nuova impostazione di Parigi, che ha scelto un attacco frontale e determinato contro l’Islam politico, e l’eventuale volontà USA di perseguire invece una de-escalation con parti di islamismo politico giudicato potenzialmente più moderato. Nuove forme di collaborazione anti-terrorismo potranno invece essere impostate in merito al terrorismo neonazista e di estrema destra, che ha raggiunto dimensioni molto significative (e ideologicamente sempre più interconnesse) sia negli USA sia in Germania.

Il secondo punto citato da Merkel, l’emergenza ambientale, è e sarà invece centrale nei prossimi anni di rapporti transatlantici. Non è per niente scontato che gli Stati Uniti possano rientrare nell’accordo di Parigi, ma è certo che l’amministrazione Biden sarà molto più aperta ad accordi internazionali per affrontare l’emergenza climatica. In merito al dossier ambientale nei rapporti transatlantici, un altro aspetto decisivo sarà il suo aggancio alla competizione strategica sino-americana, ad esempio tramite la creazione di nuovi standard USA-UE nell’innovazione e negli scambi commerciali green oriented che limitino di fatto l’espansione cinese e il tentativo di Pechino di profilarsi come partner internazionale anche nel campo della green economy.

 

Le questioni cinese e russa

Quello del nuovo green deal europeo è del resto solo uno dei dossier su cui l’Europa e Berlino dovranno superare specifiche e concrete ambiguità di realpolitik di fronte a Washington. Se l’amministrazione Biden porterà più apertura verso la Germania, chiederà però anche con insistenza di risolvere questioni che Berlino aveva nascosto negli ultimi anni proprio dietro alle difficoltà di dialogare con il Presidente Trump.

Sul fronte tecnologico e digitale, al di là di quale dimensione reale avrà il decantato decoupling (lo sganciamento reciproco delle economie di USA e Cina in quanto a interdipendenza delle filiere produttive, innovazione, compatibilità tecnologica), alla Germania verrà domandato di posizionarsi molto più chiarmente, a partire ovviamente dal nodo 5G. Un simile approccio inoltre arriverà da Washington a Berlino sul tema della dipendenza energetica europea da Mosca. A tutta la politica tedesca è più che chiaro che le sanzioni USA contro il Nord Stream 2 sono state bipartisan e resteranno tali.

Con una presidenza Biden le tattiche politiche dei PutinVersteher (chi in Germania “capisce” il Presidente russo e vuole una politica molto conciliante con il Cremlino) saranno sicuramente meno semplici. L’attrito tra convivenza tattica euroasiatica e tenuta transatlantica comparirà ancora di più come argomento sui tavoli dei think tank tedeschi. Senz’altro favorevole alla Germania e all’UE sarà invece l’occhio di riguardo che Biden potrà avere per l’open border irlandese nelle trattative Brexit, dove l’assenza del sostegno di Trump potrà sfibrare la forza dei massimalisti inglesi del No-Deal.

 

Il dilemma militare tedesco

Se l’annunciata ritirata vendicativa di migliaia di militari USA dalle basi tedesche verrà molto probabilmente bloccata dall’amministrazione Biden (così come richiesto dagli stessi vertici militari americani), non ci saranno però sconti alla Germania sul suo ritardo nel contribuire al budget Nato con il 2% del proprio PIL.

Ci sarà però certamente tutt’altro modo di affrontare la questione, in un quadro in cui una presidenza Dem riafferma l’interesse di valorizzare l’alleanza atlantica, seppur continuando un riorientamento geostrategico del primato militare USA. Questo dossier, però, non potrà certo essere risolto nei soli anni di amministrazione Biden-Harris e sul tema ci sono e ci saranno numerose divergenze interne alla politica tedesca ed europea.

Pochi giorni prima delle elezioni americane, la ministra della Difesa tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer ha appositamente scritto un op-ed in cui ha invitato la Germania a dare tutto il proprio contributo alla Nato e, al tempo stesso, ad abbandonare “l’illusione di autonomia strategica europea”, perché “gli europei non saranno in grado di sostituire il ruolo cruciale dell’America come fornitore di sicurezza”. Si tratta di un posizionamento molto specifico, per certi versi neo-atlantista, che limita la tendenza ad accelerare invece il più possibile verso una difesa europea più indipendente. Volontà di accelerazione dell’autonomia strategica UE che è innanzitutto molto francese, come dimostra l’ultima intervista del Presidente Macron a “Le Grand Continent” (in cui ha criticato proprio le posizioni di Kramp-Karrenbauer). La prospettiva di sganciamento dagli USA è però anche diffusa in ampi segmenti della politica di governo tedesca, soprattutto tra le fila della SPD.

Se è inevitabile che in molti scenari di crisi vicino e intorno al continente europeo gli stati UE dovranno assumersi molte più responsabilità, per Berlino non è però ancora chiaro come diventare più indipendente militarmente restando però agganciata alla necessità strategica della propria fedeltà atlantica. Un interrogativo che sarà decisivo nei prossimi anni, ma a cui la nuova amministrazione di Washington, per le già citate ragioni di politica interna, potrebbe non saper dare risposte sufficienti. Una cosa resta sicura: in qualsiasi scenario geopolitico, il dilemma militare tedesco continua a presentarsi all’orizzonte.

 

Basterà un’altra visione del mondo?

Se sul brevissimo periodo gran parte della Germania politica festeggia quindi la sconfitta di Trump e sul medio periodo si aprono prospettive di collaborazione e intesa tra esecutivo tedesco e prossima amministrazione USA, sul lungo periodo ci sono interrogativi geopolitici che rimangono aperti in tutta la loro complessità. Per ora, però, Berlino si vuole accontentare del fatto che Biden abbia tutt’altra visione del mondo rispetto a Trump. Per una nazione che ha esportato in mezzo mondo il concetto di Weltanschauung non è certo una differenza da poco.

 

 

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