Nessun Paese europeo più della Germania è legato così tanto ai destini politico-ideologici degli Stati Uniti d’America. La costruzione pratica e culturale di una liberal-democrazia tedesca dopo il 1945 è stata condotta da Washington, ha attraversato la Riunificazione ed è giunta fino all’apogeo della Germania come “prima della classe” della globalizzazione.
L’incrocio Berlino-Washington
La concomitanza dell’arrivo della seconda presidenza di Donald Trump con una delle più severe crisi politiche tedesche è quindi una tempesta perfetta per tutti i partiti che per decenni si sono alternati alla guida del Paese. Lo scenario favorisce invece l’ultra-destra tedesca AfD, che nelle ultime settimane è stata galvanizzata dal sostegno radicalmente disruptive e anti-UE di Elon Musk. La prima presidenza Trump (2017-20) era stata considerata una potenziale eccezione temporanea anche a Berlino, soprattutto quando il mondo e diversi media liberal-democrat avevano scelto Angela Merkel come “volto” del mondo libero in funzione anti-Trump.
Questa volta, però, il trumpismo è tornato trionfalmente, presentandosi come cesura storica consolidata e con una progettualità ideologica innegabilmente più potente. Per decenni, la grammatica politica degli USA è sempre stata velocemente tradotta e adattata negli equilibri interni tedeschi. Ma come tradurrà ora Berlino la nuova Washington?
La nuova fragilità della Germania verso il voto
La Germania emersa da 16 anni di merkelismo (2005-21) si è mostrata fragile e confusa. Il governo SPD-Verdi-FDP guidato da Olaf Scholz è crollato tra le liti lo scorso 6 novembre. Ma l’interrogativo non è come l’esecutivo sia potuto cadere, quanto come abbia fatto a resistere per quasi tre anni. Quella coalizione era infatti una scommessa su un mondo che ha smesso di esistere pochi mesi dopo l’inizio dello stesso esecutivo.
L’invasione russa dell’Ucraina ha velocemente spezzato il vantaggio dell’accesso energetico a basso costo per l’industria tedesca, suggellato negli anni precedenti dall’apertura del Nord Stream, trascinando con sé l’illusione della Germania di farsi avanguardia industriale di una svolta green tanto vincente quanto indolore. Dopo le sospensioni dei vincoli finanziari del periodo Covid e post-Covid, è stata invece la Corte Costituzionale tedesca a stroncare il piano del governo Scholz di poter aggirare ripetutamente la regola costituzionale della Schuldenbremse (il freno al debito) con diversi fondi speciali.
L’esacerbazione crescente e inarrestabile della questione immigrazione, con un susseguirsi di attentati e atti di violenza, hanno proseguito l’opera di erosione della proverbiale stabilità politica tedesca. Lo scontro feroce in parlamento tra CDU-CSU e Verdi-SPD su una mozione di stretta sull’immigrazione con il sostegno di AfD ha aperto un caotico scambio di accuse incrociate, sancendo uno scenario di tensione inedita, e si è concretizzato nel “no” in extremis del Bundestag a una relativa legge della CDU.
Verso le elezioni del 23 febbraio, gli ultimi sondaggi danno in vantaggio la CDU-CSU intorno al 30%. Seconda sembra essere AfD (di alcuni punti sopra al 20%), terza la SPD (15-17%) e quarti i Verdi (13-15%). La sinistra nazionalista BSW è data tra il 4 e il 6 %, i liberali di FDP e la Linke sembrerebbero lottare intorno o sotto la soglia di sbarramento del 5%. Dopo lo psicodramma in parlamento sull’immigrazione, tuttavia, lo scenario è in continuo aggiornamento, i sondaggi potrebbero cambiare velocemente, così come sottostimare alcune forze e sovrastimarne altre.
La crisi economica come fattore destabilizzante
Un tema strutturale delle elezioni rimane la crisi economica interna. Recessione e inflazione hanno caratterizzato l’ultimo biennio, mettendo in difficoltà privati cittadini e aziende piccole, medie e grandi. Anche i colossi dell’automotive hanno accusato il colpo. L’annuncio in autunno di Volkswagen di voler tagliare posti di lavoro in Germania è stato uno shock istantaneo per il paese. Da decenni il mercato globale è il campo in cui Berlino – anche se sarebbe meglio dire l’indice DAX della borsa di Francoforte – esprime quell’attivismo per il proprio interesse nazionale che invece evita di mostrare apertamente nella diplomazia, nell’intelligence o nella difesa. La crisi dell’economia tedesca legata alle mutazioni internazionali rimane un elemento fondamentale di un contesto in cui le altre crisi si fanno progressivamente più severe.
Le risposte promesse dai partiti per rispondere alle difficoltà attuali palesano una nuova distinzione tra destra e sinistra. La CDU-CSU chiede un rilancio della crescita, con una riforma del sistema sociale e del mercato del lavoro ribattezzata Agenda 2030 (riprendendo il nome della epocale Agenda 2010 del socialdemocratico Gerhard Schröder). I cristiano-democratici vogliono sgravi fiscali ed eliminare il contributo di solidarietà (imposta nata nel 1991 per finanziare la Riunificazione, oggi ancora prevista sui redditi imponibili superiori a 65.516 euro), così come una nuova riforma del sussidio di base, appena modificato durante il governo Scholz verso un modello di reddito di cittadinanza più ampio e remunerativo. Sia CDU-CSU sia FDP puntano sulla parola d’ordine della deburocratizzazione, soprattutto per le imprese, in nome della competitività globale. L’attacco contro la burocrazia interessa anche diverse regole ambientali inserite negli ultimi anni.
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Questo tema apre lo scontro con i Verdi, partito che nel triennio di governo è stato scelto dalle forze liberal-conservatrici, così come dall’ultra-destra, come bersaglio perfetto per criticare le posizioni più ecologiste, liberal e woke. Sul piano fiscale, i Verdi e la SPD sono invece orientati a una più classica redistribuzione della ricchezza, incluse maggiori imposte per i patrimoni più grandi. Per finanziare nuove spese, investimenti pubblici e politiche sociali, Verdi ed SPD sono orientati alla sospensione del freno al debito, cosa che CDU-CSU e FDP rifiutano, almeno formalmente. Anche i conservatori, infatti, potrebbero in verità iniziare a rivalutare la rigidità del freno, considerando che oltre la metà dei tedeschi sembra ormai sostenere una modifica della Schuldenbremse. Sul piano energetico, è infine significativa e indicativa la riapertura del candidato cancelliere cristiano-democratico Friedrich Merz all’opzione del nucleare civile.
La questione cruciale dell’immigrazione e l’eredità di Merkel
Secondo molteplici sondaggi tra gli elettori tedeschi, il tema dell’immigrazione è sempre considerato il più pressante. Un peso primario ha la correlazione tra sicurezza e immigrazione più recente, a partire da quella illegale. Una cesura nel dibattito è stato, lo scorso 22 gennaio, l’orribile assassinio nella cittadina di Aschaffenburg di un bimbo di 2 anni e di un 41enne. L’omicida, un richiedente asilo afgano di 28 anni, era infatti già noto per violenze e gravi disturbi psichiatrici, ma la sua espulsione non era mai stata attuata. Una espulsione non attuata era stata anche decisiva nel caso dell’autore dell’attacco terrorista islamista di Solingen, in cui sono state uccise 3 persone.
Gli errori e la lentezza del sistema burocratico nel gestire l’immigrazione, soprattutto in casi di criminalità ripetuta, sono una delle promesse maggiormente tradite dal “Wir schaffen das” (“ce la facciamo”) della Willkommenspolitik (politica dell’accoglienza) di Angela Merkel nel 2015. Non è un caso se, durante un recente comizio, Merz abbia infine rinnegato Merkel, dicendo in merito alla capacità di assorbimento nel welfare di nuovi migranti che: “possiamo sforzarci quanto vogliamo, ma non ce la faremo”.
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Non solo. Poche ore dopo l’attacco di Aschaffenburg, Merz ha dichiarato che “la misura è colma”, lanciando cinque punti sull’immigrazione da implementare dal primo giorno, nel caso diventi cancelliere, per rimediare a “dieci anni di politiche fallimentari”. La richiesta della CDU è di controlli permanenti ai confini e divieti “di fatto” dell’ingresso in Germania di chiunque non abbia autorizzazione, cioè anche di chi arrivi e chieda asilo. Nei cinque punti rientra anche la facilitazione della detenzione di chi debba essere espulso, così come maggiori poteri alla polizia federale di confine Bundespolizei e restrizioni ai ricongiungimenti familiari. Per Merz, “le regole europee – Dublino, Schengen, Eurodac – sono disfunzionali. La Germania deve quindi ricorrere al primato del diritto nazionale”. Un’ipotesi di linea dura favorita ovviamente dal privilegio tedesco di non trovarsi lungo le frontiere esterne dell’UE.
Mercoledì 29 e venerdì 31 gennaio, Merz ha deciso di scommettere in modo convinto e spericolato sulla propria posizione. Il 29 è passata in parlamento una mozione non vincolante sui cinque punti dei cristiano-democratici, con i voti di CDU-CSU, FDP e, anche, dell’ultra-destra AfD. Merz ha dichiarato che le sue proposte venivano “dal centro” e ha prima chiesto il sostegno di Verdi ed SPD, posizionandosi apertamente contro AfD, ma aggiungendo poi che una proposta non diventa sbagliata se la votano anche le persone “sbagliate”. Lo scontro in parlamento è stato durissimo, infuocato e drammatico. Merz è stato accusato da più parti di aver fatto cadere la cosiddetta Brandmauer, il “muro tagliafuoco” o cordone sanitario contro AfD. La mobilitazione contro i cristiano-democratici, anche di piazza, è cresciuta velocemente. La CDU ha risposto che con AfD non c’è stato nessun accordo e che le critiche in merito alla Brandmauer vengono usate da sinistra per imporre ai cristiano-democratici la loro linea “ormai minoritaria politicamente e socialmente” sull’immigrazione. SPD e Verdi hanno ugualmente parlato di errore storico, sconfitta epocale della democrazia tedesca e censurato moralmente Merz, fino a convincere probabilmente alcuni cristiano-democratici della necessità di rinnegare il percorso del proprio leader. Anche l’ex cancelliera Merkel ha interrotto il proprio usuale silenzio per definire “sbagliata” la mossa di Merz, con conseguenze dirette sui più fedeli merkeliani ancora nella CDU.
In questo clima, il 31 gennaio la CDU ha presentato in parlamento una proposta di legge denominata Zustrombegrenzungsgesetz (legge sulla limitazione dei flussi), già proposta senza successo lo scorso settembre. La proposta di legge era meno severa e più vaga dei cinque punti della mozione di due giorni prima e non può certo essere considerata di “estrema destra”. Il Zustrombegrenzungsgesetz si basava soprattutto sul reinserire nella legge sull’immigrazione non solo l’obiettivo del “controllo”, ma anche la “limitazione” dell’afflusso di migranti come fine primario (il termine “limitazione” era stato eliminato nel 2023). Dopo una lunga giornata, la proposta di legge non è stata approvata dal Bundestag, nonostante il sostegno di AfD. Decisive sono state le 12 defezioni su 196 deputati all’interno della stessa CDU e 23 su 90 nella FDP.
Per Merz si è trattato di una sconfitta personale – nessun leader diventa più forte quando perde deputati durante una votazione – e certamente ci saranno pressioni per mettere in dubbio il suo stesso ruolo di candidato cancelliere. L’accettazione del voto di AfD da parte della CDU allontanerà degli elettori dai cristiano-democratici. Al tempo stesso, il voto potrebbe permettere a Merz di completare una resa dei conti con l’ala merkeliana del suo partito, riconquistando una parte del voto più conservatore, e la sua scommessa potrebbe infine rivelarsi ugualmente vincente. Significativo è infatti che, al momento, sembrerebbe che circa due terzi dei tedeschi siano comunque a favore dell’irrigidimento del contrasto all’immigrazione proposto da Merz. Viste le posizioni dell’opinione pubblica sull’immigrazione, sul Zustrombegrenzungsgesetz potrebbe quindi essere la sinistra tedesca ad aver vissuto una vittoria di Pirro.
Al di là dei sentimenti sempre più esasperati nel parlamento tedesco, il tema del rapporto tra immigrazione recente e sicurezza non è infatti basato solo su posizioni propagandistiche. Dal rapporto per l’anno 2023 della BKA (Polizia Criminale Federale tedesca) emerge che per quanto riguarda i reati violenti (Gewaltkriminalität) – cioè aggressioni con ferimento, omicidi, violenze sessuali, rapine – i cittadini non tedeschi indiziati sono stati il 41% del totale. I dati possono essere contestualizzati e relativizzati con varie declinazioni: percentuale di risoluzione dei casi, criminalità sommersa, indagati che si riveleranno innocenti, sovrarappresentazione di immigrati anche tra le vittime di reati, propensione alla denuncia, tendenza alla profilazione etnica nelle indagini. La statistica suggerisce tuttavia una chiara sovrarappresentazione di indiziati stranieri rispetto alla popolazione straniera in Germania, che è del 15%. Rilevante nella statistica (più del 13% del totale) sembra inoltre essere il ruolo nella Gewaltkriminalität di migranti recenti con richiesta di asilo, spesso negata, quindi talvolta in “presenza tollerata”, non autorizzata o in attesa formale di un’espulsione dal paese. Persone che si muovono in un limbo burocratico e di diritto gestito molto male dallo Stato tedesco, in cui la criminalità e la violenza sembrano inevitabilmente proliferare.
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Il dossier immigrazione continuerà a infiammare le ultime settimane prima del voto, senza esclusione di colpi, mentre la società tedesca sembra sempre più trasversalmente orientata a sostenere politiche che invertano la stagione merkeliana della Willkommenspolitik, nonostante per la Germania resti consolidata la necessità economica e demografica dell’immigrazione.
Il fattore AfD e il ruolo di Musk
Dopo le vicissitudini al Bundestag, l’ultra-destra AfD potrà ora presentarsi come il solo partito davvero coerente sull’immigrazione, mentre i partiti tradizionali non sono riusciti a trovare alcun accordo per modificare le politiche di asilo. Per AfD inizierà anche un nuovo tentativo di erodere voti alla CDU, indicando Merz come un leader in crisi.
Se una parte consistente del supporto per AfD è legato alle specificità e alle insoddisfazioni dei Länder della ex Germania Est, lo sfondamento del partito in tutti gli strati sociali e territori concerne indissolubilmente la questione migratoria e a un rivendicato rifiuto etno-nazionalista del multiculturalismo.
Più nello specifico, AfD ha costruito il proprio successo sul rifiuto dell’immigrazione araba-musulmana. AfD sta beneficiando dell’accelerazione trumpiana e neo-sovranista a livello internazionale.
AfD resta una realtà molto eterogenea al proprio interno. Durante una recente intervista-dialogo su X con Elon Musk, la candidata cancelliera di AfD Alice Weidel ha puntato moltissimo sul proprio profilo più di destra libertaria e liberista. La stessa sciagurata scelta di Weidel di parlare di un Adolf Hitler come “comunista e socialista” rientrava nel tentativo di caratterizzarsi appunto nella destra libertaria, accomunando la dittatura nazista allo statalismo social-comunista. Quel profilo appartiene però forse alla biografia personale-professionale di Weidel, ma molto poco al suo partito. AfD resta infatti soprattutto profondamente statalista-autoritaria, convintamente anti-liberale, con contatti esterni che conducono fino alla galassia neonazista, e con una specifica apertura alle influenze russe in nome di una radicata tradizione anti-americana di stampo euroasiatico. Caratteristiche incarnate dalla corrente di destra radicale dentro la stessa AfD, guidata da Björn Höcke, leader di AfD in Turingia.
Pare tuttavia che questa differenziazione interessi poco a Musk, visto che l’uomo più ricco del mondo sembra principalmente attratto dal potenziale dirompente della crescita di una AfD ostile a Bruxelles, all’UE e alle sue regolamentazioni, così come al multiculturalismo come modello sociale. Musk è anche attratto dalla dimensione anti-woke di AfD, come ha dimostrato il suo intervento digitale presso il congresso di AfD a Halle. In quel caso, il proprietario di X ha applicato al tabù fondante della colpa tedesca del nazismo quello stesso rifiuto dei paradigmi della cosiddetta “colpa bianca-occidentale” che si sta affermando come rivendicazione neo-identitaria negli USA.
La Germania tra Europa, USA e Russia
Su politiche anti-immigrazione, declinate in un nazional-populismo di sinistra, si è basata anche l’operazione del BSW di Sahra Wagenknecht. Dopo un exploit nelle recenti elezioni europee e in tre Länder orientali, BSW sta adesso arretrando nei sondaggi. L’elemento più palese del partito è emerso come un costante e quasi ossessivo orientamento filo-russo, anche su base locale, in modo anche sproporzionato rispetto alle possibilità politiche e amministrative delle realtà dei singoli Länder. Il caso BSW mostra come la Germania resti territorio decisivo di influenze russe in funzione anti-NATO.
L’invasione dell’Ucraina ha come sappiamo aperto la strada al fondo speciale da 100 miliardi per la Bundeswehr, all’interno di una cosiddetta Zeitenwende, “svolta epocale”. La realtà è che le forze armate tedesche erano in condizioni così insufficienti che, per ora, il fondo sta solo portando l’esercito a un livello normale per un Paese della caratura della Germania. I deficit nel settore militare restano: vanno da un personale molto più spesso impiegatizio che operativo alla lentezza burocratica nell’acquisto e produzione di armamenti.
Le posizioni sulla guerra in Ucraina continuano a mostrare le differenze tra i maggiori partiti tedeschi. Se Verdi e FDP sono schierati decisamente sul sostegno a Kiev, la CDU-CSU lo è stata in questi tre anni all’opposizione, ma sembra ora in parte frenare, forse sperando di poter beneficiare di una soluzione del conflitto al momento di governare. Ancora più cauta è intanto diventato l’atteggiamento del cancelliere Olaf Scholz, da sempre irremovibile nel non mandare all’Ucraina armi che permettano operazioni difensive fino nel territorio russo (come nel caso dei missili da crociera Taurus). Durante la campagna elettorale, Scholz ha scelto di puntare ancor di più più sull’elettorato più ostile a una crescita della conflittualità con Mosca. Nel suo ruolo di cancelliere, sul tema Russia-Ucraina, Scholz ha avuto in questi anni la possibilità di evitare molte decisioni o responsabilità dirette schermandosi dietro a quelle assunte da Joe Biden. Ma il prossimo cancelliere tedesco non avrà una sponda così rassicurante a Washington.
L’incertezza sull’impostazione di Trump al riguardo potrebbe aver rafforzato nella CDU un certo attendismo. Dall’altro lato, Merz ha anche già optato per il lancio di nuove parole d’ordine sull’autonomia tedesco-europea. Il leader CDU ha sottolineato l’arrivo di una “rottura epocale” sul piano geopolitico, in cui la Germania dovrà guidare un’UE unita, puntando su un asse sia con la Francia sia con la Polonia.
Donald Trump sembra addirittura orientato ad alzare l’impegno richiesto ai membri della NATO fino a una spesa per la difesa pari al 5% del PIL. La Germania è appena riuscita a raggiungere il 2% e si ritiene incapace di fare di più. Ma anche su questo fronte potranno esserci delle conflittualità e delle accelerazioni. Proprio la Polonia sta puntando alla soglia del 5%. Nelle dinamiche interne all’Alleanza atlantica, le relazioni dei paesi dell’Europa centro-orientale con Washington avranno ripercussioni importanti su Berlino e, paradossalmente, potranno anche aprire dei canali di dialogo inediti. Ad esempio, anche tramite la stessa Italia.
Il dilemma delle coalizioni di governo
Data l’incertezza generale e la sconfitta parlamentare della CDU sull’immigrazione, non è per niente scontato che il prossimo Cancelliere tedesco diventi Friedrich Merz (o, comunque, un cristiano-democratico).
Il giorno dell’inaugurazione della presidenza Trump, Merz ha però intanto inviato congratulazioni più che amichevoli al neo-presidente, parlando di un possibile “nuovo capitolo” nelle relazioni Germania-Stati Uniti. In un’altra occasione, Merz aveva sottolineato il suo passato come manager di BlackRock, rivendicando la capacità di proporre a Trump un accordo che risolva la questione dei dazi, ad esempio all’interno di un nuovo trattato di libero commercio UE-USA e limitando il surplus commerciale tedesco tramite un maggiore import di GNL americano.
Un eventuale governo a guida CDU sarebbe comunque quasi inevitabilmente influenzato da almeno un alleato. A seconda dell’ingresso nel Bundestag dei partiti che ruotano intorno alla soglia del 5% necessaria per avere rappresentanza parlamentare, la coalizione dell’esecutivo potrà avere forme e necessità numeriche differenti. In presenza dei seggi necessari, una delle opzioni probabili resta una riedizione della storica Große Koalition CDU-CSU e SPD. Tuttavia il voto sul Zustrombegrenzungsgesetz ha creato uno scontro che non sarà così semplice sanare. Potrebbero ad esempio essere necessari dei cambi di leadership. Anche una coalizione CDU-CSU e Verdi è diventata sempre più difficile dopo le liti parlamentari su immigrazione e AfD. Altrettanto complessa sarebbe una coalizione “Kenya” che metta insieme CDU-CSU, SPD e Verdi. Significativo è come tra alcuni membri di AfD si faccia il tifo per una coalizione in cui ci siano proprio CDU-CSU e Verdi: le loro contraddizioni sempre più insanabili favorirebbero infatti il consenso dell’ultra-destra, che potrebbe così capitalizzare al più tardi nel 2029. Una (difficile) presenza in parlamento di una FDP sopra al 5% potrebbe invece aiutare la CDU-CSU nella formazione di una coalizione. Anche l’opzione di un governo di minoranza non è assolutamente da escludere dopo le elezioni, soprattutto con un risultato molto frastagliato.
I cristiano-democratici continuano sempre a rifiutare categoricamente l’idea di una coalizione con AfD, negando quindi l’opzione di sfondare davvero il muro tagliafuoco. Ma dato lo scenario internazionale di stravolgimenti accelerati, non è da escludere che, prima o poi, in Germania arrivi un modello “austriaco” di collaborazione verso destra, magari con un ricambio alla testa dei partiti, o uno stallo governativo.
Al momento, il solo dato consolidato è che dopo il 23 febbraio si aprirà una fase molto delicata per la democrazia tedesca. E la concomitanza con le trasformazioni negli USA, appunto, è tutt’altro che casuale. La natura del rapporto transatlantico sarà di nuovo cruciale, sia che Berlino tenda verso un riallineamento con l’America trumpiana, sia che Berlino cerchi nuove forme di autonomia.