Dopo la vittoria elettorale di Boris Johnson il 12 dicembre 2019, è terminata la “saga” della Brexit nella Camera dei Comuni. Essa ha scosso il prestigio dell’antico Parlamento britannico e della stessa democrazia. Le conseguenze della Brexit, sia interne sia sui cittadini stranieri residenti nel Regno Unito, potranno essere valutate con precisione solo dopo gli accordi del nuovo governo con l’UE. Potrebbe esserci un no deal, cioè l’assenza di un accordo concordato, oppure un hard deal, a cui probabilmente lo stesso Johnson è orientato, per non subire ritorsioni. E’ impossibile dire se l’entità del successo elettorale indurrà il Primo Ministro a irrigidire la posizione negoziale britannica, oppure a renderla più flessibile non dovendo temere di poter essere messo in minoranza.
In ogni caso, gli impatti principali possono essere individuati sin d’ora. Possiamo distinguerli in tre gruppi. Il primo riguarda la politica interna della Gran Bretagna. Il secondo, l’UE nel suo complesso. Il terzo le relazioni britanniche con il resto del mondo.
L’analisi del voto dimostra l’esistenza di profonde divisioni nel Regno Unito, non solo fra le campagne e le città, ma anche le divergenze che caratterizzano la Scozia più l’Irlanda del Nord, in cui è prevalso il voto dei Remain, rispetto al resto del paese. In Scozia potrebbe essere richiesto un nuovo referendum sull’indipendenza. L’Irlanda del Nord potrebbe chiedere di unirsi all’EIRE, e non si può escludere che le eventuali richieste ufficiali siano fiancheggiate – in modo autonomo – anche da una nuova ondata terroristica.
Va poi notato che, sebbene un risultato tanto favorevole ai Conservatori potrebbe essere stato influenzato dall’errore commesso da Jeremy Corbyn di spostarsi troppo “a sinistra”, perdendo parte del suo elettorato tradizionale, la maggioranza dei cittadini britannici ha espresso la sua avversione all’UE, affermando la forza del nazionalismo e la contrarietà alla presenza di lavoratori stranieri, in un paese generalmente molto liberale. La forza del nazionalismo e del populismo non va sottovalutata. I cittadini europei residenti nel Regno Unito potrebbero divenire “ostaggi” per ricattare l’UE e ottenere migliori condizioni economiche nei negoziati sui legami futuri. L’avversione a Corbyn spiega per inciso anche le reazioni favorevoli dei mercati alla vittoria dei conservatori.
Altrettanto rilevanti sono gli impatti – economici, sociali, politici e militari – della Brexit sull’Unione Europea e sui suoi vari Stati membri. Complessivamente quelli sull’UE sono negativi: non perderà solo 65 milioni dei suoi 513 milioni di abitanti e 2 trilioni su 15 del suo PIL, ma anche il paese più forte militarmente e anche politicamente. Ne soffrirà la capacità dell’Unione di essere un attore geopolitico globale. L’UE perderà anche un contributore netto al bilancio comunitario per 8-9 miliardi di euro. Ciò obbligherà a ridurre i fondi di coesione, con impatti sociali molto rilevanti sulle regioni e i paesi più poveri. Gli effetti della Brexit muteranno poi i delicati equilibri interni dell’Unione. Si rafforzerà la Germania e l’asse franco-tedesco, equilibrate in parte dalla presenza britannica.
Le conseguenze della Brexit saranno differenti da Stato a Stato. Economicamente, l’Italia sarà presumibilmente la meno svantaggiata. Secondo Standard&Poor è per vulnerabilità alla Brexit la 19a sui 20 paesi esaminati. Ne soffriranno però le sue esportazioni agroalimentari. Saranno sottoposte a una forte concorrenza da parte degli USA. Trump ha fortemente sostenuto la Brexit e ha preannunciato un trattato commerciale favorevole alla Gran Bretagna.
Politicamente, l’Italia rischia poi di essere ancora più isolata in Europa. Londra compensava almeno in parte lo strapotere di Parigi e Berlino. Rafforzava l’impegno americano in Europa, essenziale per gli interessi italiani anche nel Mediterraneo, dati anche i nostri non eccellenti rapporti con l’Egitto e le Turchia. C’è infine da augurarsi che la Brexit non stimoli altri Stati ad abbandonare l’UE, come si era temuto dopo il primo referendum britannico del 23 giugno 2016. Tale pericolo era stato allora evitato. Sarà più difficile oggi, data l’ondata sovranista e populista crescente in tutta il continente e l’aumento delle pressioni non solo russe, ma anche americane volte all’indebolimento dell’UE. Esse potranno aumentare soprattutto se, per giungere ad ogni costo a un accordo con Londra, l’UE farà troppe concessioni.
Muteranno anche i rapporti e lo status internazionali dell’UE. Essa diventerà più debole globalmente. Con l’uscita di un suo membro perderà parte del suo prestigio e del suo soft power internazionale. L’uscita del Regno Unito ridurrà inevitabilmente l’impegno USA per la sicurezza europea. Londra perderà in gran parte il suo ruolo di “ponte” fra le due sponde dell’Atlantico. I suoi già forti legami con gli USA si rafforzeranno, anche per l’interesse di Washington – non solo del presidente Trump – di avere accordi con i singoli Stati europei, anziché con un’Europa compatta, che renderebbe più difficile l’esercizio della leadership americana nella NATO. La già debole potenza negoziale dell’Europa – anche per contrastare l’espansione della Cina nell’Europa orientale e in quella mediterranea – diminuirà ulteriormente.
La Brexit non escluderà Londra dalla sicurezza europea, che continuerà a essere basata sul coupling transatlantico. Renderà però ancora più ridicolo di quanto già lo sia oggi ogni progetto dell’UE di difesa europea separata dall’Alleanza. Infatti, la Gran Bretagna continuerà a partecipare oltre che alla NATO anche al cosiddetto ”EI2” (European Intervention Initiative) voluta dal presidente francese Macron. Si accrescerà comunque la dipendenza strategica dell’Europa dagli USA, sempre più portati a strumentalizzarla per i loro interessi economici. Per tutte queste ragioni, la Brexit indebolirà l’UE, forse ancor più di quanto recherà danno ai britannici.